La ricerca di un approccio alla progettazione dell'habitat contemporaneo, fondato sulle esigenze d'uso più che sulle regole compositive, indagando la tradizione ebraica e il suo rapporto non feticistico e anti-archeologico con il passato. Con questa suggestiva proposta metodologica il libro di Luca Zevi Conservazione dell'avvenire. Il progetto oltre gli abusi di identità e memoria ci invita a seguirlo in un personale e affascinante viaggio alla ricerca di possibili itinerari di ricostruzione disciplinare.
Sullo sfondo di un drammatico vuoto propositivo politico e culturale, caratterizzato da crescenti processi di megapolizzazione e da visioni di identità e memorie particolari che negando la possibilità di svilupparsi all'interno di una società polifonica preferiscono produrre ricostruzioni vittimistiche e fondamentalistiche delle singole storie, l'autore auspica un ruolo per l'architettura che vada oltre la semplice realizzazione di performances virtuosistiche.
In particolare per l'attuale crisi della plurimillenaria civiltà dell'insediamento stanziale, tema centrale su cui rimettersi ad agire progettualmente, Zevi suggerisce un'attenta lettura dell'ebraismo, inteso come un network ante litteram, che ha espresso una civiltà policentrica e a-stanziale (citando il filosofo Emil Cioran, l'esilio del popolo ebraico "prefigura la diaspora universale: il passato riassume il nostro avvenire") in cui prevale la dimensione del tempo su quella dello spazio, l'interesse per la storia piu'che per la geografía.
Le suggestioni provenienti dalla tradizione ebraica diventano quindi una premessa alla descrizione di una serie di esempi paradigmatici: il carattere prestazionale e antitipologico dell'architettura sinagogale, che con il suo approccio precario" e privo di regole rigorose è in grado rispondere alle esigenze contemporanee di diffuso bisogno di flessibilità d'uso e libertà compositiva; le geografie policentriche e diasporiche nelle vicende cinese ed ebraica; i complessi processi di mutazione urbana di Teheran, Beirut e Gerusalemme, espressioni del fallimento dei processi di modernizzazione e di intregrazione multietnica; la ripresa di una seria riflessione riguardo al modernismo architettonico che la declinazione mediterranea di Tel Aviv ci propone; i problematici usi dell'identità e della memoria nei musei e memoriali della Shoah (in particolare i progetti berlinesi dello Judisches Museum di Daniel Libeskind e dell'Holocaust-Denkmal di Peter Eisenman), in bilico tra rimozione, monumentalizzazione ed educazione; la necessità politica e culturale di un Museo delle Intolleranze e degli Stermini, come luogo nel quale si indaghi sulla genesi dei fenomeni di intolleranza; ed infine l'antiprogetto distruttivo delle Torri Gemelle di New York, visto come emblema dell'incapacità di progettare uno sviluppo equilibrato della società, da un lato, e di una risposta simmetrica a quella stessa incapacità, dall'altro.
L’esperienza spaziale ebraica di uno sdradicamento originariamente subito, potrebbe offrire un contributo decisivo all’immaginazione di un’organizzazione territoriale capace di superare le drammatiche contraddizioni ecologiche e sociali, determinate dall’attuale modello di sviluppo.