Other Space Odysseys

Il catalogo della mostra omonima al CCA di Montreal.

Other Space Odysseys: Greg Lynn, Michael Maltzan, Alessandro Poli, Giovanna Borasi e Mirko Zardini, Lars Müller Publishers, Baden 2010 (Inglese o francese, pp. 81)

L'architetto Greg Lynn, ricordando in un'intervista con la curatrice di Other Space Odysseys Giovanna Borasi la diretta televisiva dell'atterraggio sulla Luna del luglio 1969, riflette: "Ho sempre pensato alla Luna come potrei pensare alle Hawaii". Riducendo incidentalmente i tradizionali grandi orizzonti dei viaggi nello spazio alle proporzioni di un weekend lungo, Lynn mette immediatamente in risalto quanto il "comodo ossimoro di glocal", come lo definisce Luis Fernández-Galiano, abbia pervaso la nostra realtà quotidiana (1). E in realtà l'impatto globale della cultura locale (e viceversa) non trova sufficiente estensione nella corrente terminologia terrestre.

Inizialmente al centro di questa concezione contemporanea del mondo come un'unica comunità interconnessa, interdipendente e per altro unita da legami deboli, c'era la capacità di visualizzarla come tale. Le immagini giunte dalle esplorazioni dello spazio vicino, in particolare dalle missioni lunari della Nasa degli anni Sessanta, offrivano all'umanità una nuova lente attraverso la quale osservare se stessa. Queste immagini, oggi celebri, costituivano la possibilità di concepire un movimento mondiale, incarnato per eccellenza nella lotta ecologica globale che oggi infiamma le discussioni sociopolitiche sul cambiamento climatico. Al nostro ingresso in una nuova èra di fascino dei viaggi nello spazio – per quanto con una motivazione ora fondamentalmente diversa, fondata sul profitto – quella iniziale riconcettualizzazione della nostra condizione in qualità di cittadini del mondo suggerisce la possibilità che si possa ancora imparare qualcosa dallo spazio.
In Other Space Odysseys, pubblicato da Lars Müller in occasione dell'omonima mostra allestita presso il Canadian Center for Architecture dall'aprile al settembre dello scorso anno, i curatori Giovanna Borasi e Mirko Zardini, insieme con gli architetti Greg Lynn, Alessandro Poli e Michael Maltzan, fanno questa semplice proposta: la disponibilità del contesto progettuale nello spazio dovrebbe liberarci dal modo in cui affrontiamo l'architettura nella routine quotidiana. Zardini, dichiaratamente impegnato nel ripensamento dei parametri terreni dell'architettura, afferma che mostra e libro "non hanno nulla a che fare con l'Architettura Spaziale o con l'architettura dello spazio esterno". In una serie di interviste, saggi e immagini i curatori mettono in circolo l'opera dei tre architetti per promuovere l'architettura non come "produzione di beni materiali" ma come "produzione di idee". A tutti e tre viene offerta l'occasione di rivolgersi direttamente alle intenzioni dei loro progetti e di collegare questi progetti con la tesi della pubblicazione. Nelle loro multiformi risposte alle condizioni del progetto al di fuori dell'atmosfera gli architetti fanno tesoro di un contesto lontanissimo, libero da ogni vincolo e tuttavia ancora accessibile, per delineare nuovi termini di creazione e di conoscenza qui sulla Terra.
Le idee di Lynn per abitazioni nell'atmosfera esterna e il progetto di Maltzan per il Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, in California, valgono a collegare il messaggio concettuale ai più consueti paradigmi architettonici di scala, gravità e spazio (qui intesi fenomenologicamente), pur nella contestazione di ciò che sono state le risposte normative ai problemi posti da questi paradigmi. New Outer Atmospheric Habitats e New City, le idee di Lynn di abitazioni nello spazio vicino, sono una sfida alle prevedibili strategie progettuali, e rendono banale l'impostazione miope delle precedenti architetture spaziali rifiutando le manifestazioni formali di strategie superate fondate sulla ricreazione di gravità e di massa. Per il Jet Propulsion Laboratory di Maltzan i curatori mantengono il tono da mondo alternativo della pubblicazione, evitando di soffermarsi sulla sua qualità di unico progetto, nel libro, previsto per una concreta realizzazione sulla terra. Scelgono invece di analizzarne le fasi costitutive attraverso testi e immagini riguardanti il processo, evitando in generale le questioni della struttura e del compromesso tra progettista e committente che inevitabilmente influiscono sulla forma di una realtà progettuale costruita.
La ricerca più personale e più lontana dalla vera e propria esplorazione dello spazio, quella di Poli sul contadino italiano Zeno Fiaschi, iniziata nel 1974 nel quadro di Cultura materiale extraurbana, presenta alcuni dei più pertinenti esempi del genere di alternativa ai sistemi costantemente codificati di produzione architettonica e di rappresentazione che la fuga in un contesto extraplanetario vuole offrire. Sul fondamento della propria inventiva per la sopravvivenza e riproponendo spesso l'"intenzionalità" dei materiali a portata di mano, l'autonomia rurale e apparentemente pedestre di Fiaschi gli forniva una piattaforma distaccata da cui osservare la vita moderna e offriva a Poli un tessuto analogo per accostarne la prospettiva a quella dell'astronauta Buzz Aldrin, di recente rientrato dalla missione Apollo. Entrambi risiedevano in un universo lontano da vincoli socioeconomici, politici e comunque convenzionali, in cui tutto ciò che li circondava diventava uno strumento materiale, adattabile all'infinito e considerato semplicemente come un mezzo rivolto a un fine. Inserite tra le provocatorie immagini del lavoro di Poli sull'Architettura interplanetaria realizzato quando faceva parte del gruppo Superstudio, le immagini seminarrative che coinvolgono Fiaschi e Aldrin sono presentate nel contesto di disegni e di saggi che servono a delineare con nettezza un universo parallelo, in cui il supposto valore intrinseco viene sostituito da una teleologia della necessità e i sistemi di controllo fisioculturali sono cosa del passato. Come afferma Poli, il progetto cercava di esprimere il rifiuto di condividere passivamente i vantaggi della società affluente, andando alla ricerca di un mutamento qualitativo dei bisogni.
Il multiforme richiamo di Other Spaces Odysseys a nuove, spettacolari prospettive della produzione architettonica è difficile da ignorare. Per banale che ne sia divenuta la denuncia, il genere di architettura a cui Poli si riferiva, per la sua contrapposizione quantitativa a questi valori nonostante i suoi effetti qualitativi palesemente negativi, continua a infestare la pratica professionale contemporanea. E la banalità di questo punto di vista è a sua volta il risultato delle stesse forze che strumentalizzano e classificano come irrilevanti le idee la cui forza intellettuale non si è ancora esaurita nella ricerca senza fine di novi e "migliori" prodotti. Sotto questo aspetto Other Space Odysseys presenta un'operazione davvero interessante per la sua carica di ispirazione metaforica, ma la definitiva rivalutazione della sua impostazione spetterà alla capacità del settore di metterla in pratica e di evitare di archiviarne semplicemente i pezzi accanto ad altre sperimentazioni formaliste e concettuali dei movimenti storici.

(1) Luis Fernández-Galiano, Spectacle and its Discontents; or, the Elusive Joys of Architainment, in William S. Saunders, a c. di, Commodification and Spectacle in Architecture, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2005, p. 2.

Jacob Moore è un critico di New York con esperienze di architettura e di organizzazione sociale.

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