L'architetto Greg Lynn, ricordando in un'intervista con la curatrice di Other Space Odysseys Giovanna Borasi la diretta televisiva dell'atterraggio sulla Luna del luglio 1969, riflette: "Ho sempre pensato alla Luna come potrei pensare alle Hawaii". Riducendo incidentalmente i tradizionali grandi orizzonti dei viaggi nello spazio alle proporzioni di un weekend lungo, Lynn mette immediatamente in risalto quanto il "comodo ossimoro di glocal", come lo definisce Luis Fernández-Galiano, abbia pervaso la nostra realtà quotidiana (1). E in realtà l'impatto globale della cultura locale (e viceversa) non trova sufficiente estensione nella corrente terminologia terrestre.
Inizialmente al centro di questa concezione contemporanea del mondo come un'unica comunità interconnessa, interdipendente e per altro unita da legami deboli, c'era la capacità di visualizzarla come tale. Le immagini giunte dalle esplorazioni dello spazio vicino, in particolare dalle missioni lunari della Nasa degli anni Sessanta, offrivano all'umanità una nuova lente attraverso la quale osservare se stessa. Queste immagini, oggi celebri, costituivano la possibilità di concepire un movimento mondiale, incarnato per eccellenza nella lotta ecologica globale che oggi infiamma le discussioni sociopolitiche sul cambiamento climatico. Al nostro ingresso in una nuova èra di fascino dei viaggi nello spazio – per quanto con una motivazione ora fondamentalmente diversa, fondata sul profitto – quella iniziale riconcettualizzazione della nostra condizione in qualità di cittadini del mondo suggerisce la possibilità che si possa ancora imparare qualcosa dallo spazio.
(1) Luis Fernández-Galiano, Spectacle and its Discontents; or, the Elusive Joys of Architainment, in William S. Saunders, a c. di, Commodification and Spectacle in Architecture, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2005, p. 2.
Jacob Moore è un critico di New York con esperienze di architettura e di organizzazione sociale.