Al Manakh 2: Gulf Continued

La maggior parte delle attenzioni occidentali per il Golfo si concentrano su Dubai, forse perché le sue realtà (o surrealtà) architettoniche sono diventate soggetto di titoli di giornale e di fieri attacchi. Questo libro si occupa dell'intera regione del Golfo.

Al Manakh 2: Gulf Continued, pubblicato come edizione speciale di Volume Magazine da Archis, OMA/AMO, Pink Tank e NAi.

Se il monolitico Al Manakh 1 era un'entusiasta, per quanto involontaria, macchina di propaganda, Al Manakh 2: Gulf Continued dimostra una maturità che nasce dal suo far propaganda in ogni direzione. L'introduzione di Rem Koolhaas ammette la situazione potenzialmente imbarazzante consistente nel fatto che, se Al Manakh 2 avesse adottato lo stesso programma editoriale della prima edizione, tutte le parti in causa avrebbero potuto ritrovarsi nel libro: un'entusiastica, progressista raccolta di articoli sull'edilizia della regione mediorientale del Golfo. Per fortuna, nell'eterogeneità dei contributi e delle posizioni redazionali, Al Manakh 2 è una lettura di acuto interesse, ma pare anche destinata a diventare una risorsa antropologica di rilievo negli anni, nei decenni e forse perfino nei secoli a venire.
Gulf Continued è un compendio di oltre 140 articoli, divisi in sei "capitoli" secondo il genere: La crisi e le crisi, Consulenti, La visione, A proposito di (Abu Dhabi Urban Planning Council), La coabitazione, il Golfo delle esportazioni. Ogni punto di vista (da quello del potente cittadino degli Emirati a quello dell'umile giornalista di New York) è rappresentato in vista del sostegno a un'argomentazione, della conferma di un giudizio di valore o della elaborazione di un ideale, a vari gradi di trasparenza. Queste prospettive differenti e a volte contraddittorie trasformano i libro in una specie di rivista, come se ciascun articolo fosse stato scelto da un differente giornale in giro per il mondo e poi tradotto in inglese. Si pensi a un sondaggio d'opinione sperimentale condotto ponendo a esperti di vari settori culturali la domanda: "Che cosa trova di interessante nel Golfo?"

È altrettanto importante sottolineare l'obiettivo totalizzante e onnicomprensivo di Al Manakh 2. La maggior parte delle attenzioni occidentali per il Golfo si concentrano su Dubai, forse perché le sue realtà (o surrealtà) architettoniche sono diventate soggetto di titoli di giornale e di fieri attacchi, come nell'azzeccatissima parodia di Dubai Bashing Article Generator ("Come scrivere un articolo contro Dubai") di Rory Hyde. Ma il libro si occupa dell'intera regione del Golfo, prendendo in esame Dubai, Abu Dhabi, Doha, Manama, Kuwait City e Riad, citando anche i rapporti della regione del Golfo con il Libano, l'Africa settentrionale e il Sudest asiatico.

L'impostazione multidimensionale del libro ha i suoi pregi e i suoi difetti. Certi articoli si addentrano in territori incredibilmente specifici o potenzialmente profetici, come la storia della scena culturale e artistica dell'Unione degli Emirati Arabi redatta da Antonia Carver sulla base del debutto bohémien del collettivo Mis negli anni 2001-2004; e come Abu Dubai: A Forward Tale of Two Cities That Could Only Be One ("Abu Dubai: una storia futura tra due città che potrebbero essere una sola") di Mishaal al Gergawi, che predice la fusione tra Abu Dhabi e Dubai. Tra gli altri articoli notevoli la breve storia, scritta da Kayoko Ota, della proposta di Kenzo Tange per un sistema urbanistico destinato all'haji, il pellegrinaggio alla Mecca (tragicamente naufragata in seguito all'assassinio di re Feisal ibn Abdul Aziz al Saud avvenuto nel 1975), e le numerose rassegne di ricerche di Sandra Bsat, Daniel Camara e Mitra Khobrou. L'inserimento di pagine di titoli di giornale e di potenti immagini a piena pagina forniscono un'istantanea del periodo sulla linea del tempo e uno scorcio del retroterra culturale che doveva ribollire in varie regioni del Golfo. Il tutto fortemente (e accuratamente) autoreferenziale grazie alla disseminazione di asterischi verdi che rimandano agli articoli correlati, tramite i quali il libro diventa quasi un romanzo a trama multipla, che salta da articolo ad articolo, da prospettiva a prospettiva in base a un collegamento aneddotico.

Tra le specifiche lacune del libro l'intervista di Rem Koolhaas e Todd Reisz a Khalid al Malik, che finisce per diventare quasi una (involontaria?) presentazione di vendita. Un immobiliarista che si diffonde in luoghi comuni sulla sua dedizione idealistica, tutto va sempre bene, affermazioni ingiustificate sul destino di Dubai che attirerà 15 milioni di visitatori entro il 2015. Si potrebbe perfino pensare che queste dichiarazioni vengano sbandierate come vere anche se magari non lo sono, come se fosse semplicemente impossibile che questa visione non si materializzasse. Inoltre il capitolo A proposito dell'Abu Dhabi Urban Planning Authority (UPC) pare un cartellone pubblicitario d'autostrada a paragone del resto del libro, il che non sorprende: l'UPC è il finanziatore unico del libro. L'articolo, pieno di immagini esemplari di progetti urbanistici, pieghevoli di agenzie immobiliari e di vaghe e ridondanti affermazioni sulla vita sociale e sul benessere, pare voler convincere dei suoi obiettivi l'UPC stessa non meno del lettore. Dà l'impressione che il gruppo che meno ha imparato dal decennio trascorso sia l'unico che lo giustifica.

Oggi che le complessità della regione del Golfo iniziano a venire in luce diventa necessario voltarsi indietro a riflettere al lontano 2007, quando fu pubblicato il primo Al Manakh. I due libri si possono considerare uno il contrappunto dell'altro, o come un'affermazione condizionale. Oppure si può anche pensare alle due pubblicazioni come ai primi due episodi di una futura trilogia di grande successo. A quale titolo potrebbe rifarsi Al Manakh 3, l'episodio conclusivo della trilogia: Il signore degli anelli: il ritorno del re, Indiana Jones: l'ultima crociata oppure Il buono, il brutto e il cattivo?

Oggi che le complessità della regione del Golfo iniziano a venire in luce diventa necessario voltarsi indietro a riflettere al lontano 2007, quando fu pubblicato il primo Al Manakh

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