Difficoltà politiche dell'architettura in Italia,
1920-1940
Giulia Veronesi Christian Marinotti, Milano 2008 (pp. 184, € 16,50)
Il libro uscito nel 1953 presso la Libreria Editrice Politecnica Tamburini è ora riproposto nell'interessante collana "Vita delle forme" diretta da Gianni Contessi per le edizioni di Christian Marinotti. La storia delle difficoltà politiche dell'architettura italiana durante il ventennio fascista viene qui raccontata rievocando la figura di quattro protagonisti: Raffaello Giolli, Giuseppe Pagano, Giuseppe Terragni ed Edoardo Persico, tutti prematuramente scomparsi. Compito di questo racconto è restituire alla memoria storica il valore progressivo ed esemplare di una difficile esperienza interrotta dalla tragedia di tutta una generazione. La storia che la Veronesi rievoca è una vicenda di slanci, di lotte e di compromessi per l'affermazione del razionalismo. Si delinea qui una storia di quell'architettura razionale, considerata l'espressione più pura e più valida del pensiero architettonico europeo, in quell'ampio scorcio di secolo. Allora la poetica del moderno incontrava ostacoli, non solo da parte del pubblico ad accettare nuove forme, ma anche dal regime, che sembrava fare propri i nuovi orientamenti architettonici ma li contaminava con elementi neoclassici, riconducendoli così alla ostinata predilezione per la romanità imperiale. Il dramma che ne derivò fu per i protagonisti profondo e lacerante. Il potere snaturava la finalità del movimento moderno: dell'imperativo morale a risolvere il problema della casa per tutti, il regime ne coglieva assai poco e riduceva il razionalismo alla teoria per la creazione di scenari pubblici per i luoghi del potere. L'ideologia razionalista si trasformava e mancava così il bersaglio.
Persico per primo ne aveva avvertito il totale fallimento osservando, già nel 1934, che "la funzione sociale dell'architetto si è risolta nell'obbedire alle regole dell'arte... questa non è l'internazionalità del razionalismo". La posizione di Persico esprimeva da parte italiana probabilmente la più complessa e coerente coscienza del razionalismo, anche se la sua 'profezia' restò inascoltata, quindi, almeno per il momento, perdente. Per lui la storia del movimento moderno italiano è quella di un'esasperazione sentimentale: incosciente del sentimento che la metteva sullo stesso piano dell'architettura tedesca o sovietica, si è esaurita in una ricerca disperatamente romantica. I razionalisti italiani sono, così, degli antistorici inconsapevoli dell'unica realtà necessaria alla loro conquista: "Gli artisti – scriveva Persico – debbono affrontare, oggi, il problema più spinoso della vita italiana: la capacità di credere a ideologie precise, e la volontà di condurre fino in fondo la lotta contro le pretese di una maggioranza 'antimoderna'".
Rievocare in quel clima politico ed estetico le voci più sincere e narrare le difficoltà attraverso le quali seppero esprimersi non è stato semplice per l'autrice, che ha saputo anche arricchire la sua storia con riflessioni e osservazioni sia di carattere personale sia di interesse generale. Questo aspetto di partecipazione dà una fisionomia particolare al libro, di esperienze condivise e partecipate; allo stesso tempo le numerose notizie e annotazioni di prima mano relative alla vita, all'opera dei protagonisti e al loro ambiente costituiscono una interessante fonte di documentazione. La nota saliente del libro è tuttavia un'altra, come già si rilevava su Domus nell'agosto del 1953 a commento della prima uscita del volume: "Il caldo e commosso ricordo… dà a tutte le pagine del libro un fascino e un interesse che va al di là dell'esatta informazione storica".
A nostro avviso, ciò che rende ancora attuale questo lavoro è la limpida e profonda consapevolezza di essere di fronte a un dramma umano compiuto e la dichiarazione che da quell'esempio era possibile ripartire. È il clima politico culturale degli anni Cinquanta, certamente, che chiede di fare con coraggio i conti con un passato appena trascorso; ed è anche un'esigenza morale e storica di catarsi che impone di contare gli errori, le vittime, i martiri. Si tratta di un imperativo sentito e condiviso, come dichiarava Ernesto Nathan Rogers: "Questa è la verità e va detta a costo di sembrare inopportuni: gli architetti italiani moderni, dal più al meno, passarono per il fascismo; anche quelli che non vi aderirono, vi collaborarono con qualche opera: le mostre, gli edifici, le riviste. Il passato non si può alterare. Bisogna avere il coraggio doveroso di parlarne". Per questa ragione il libro è particolarmente adatto ai giovani, lontanissimi oggi da tali problematiche, perché rivela l'impossibilità di lasciar coesistere un divario, quale che sia, tra l'attività dell'architetto e la sua vita pubblica; anzi mostra proprio, come hanno testimoniato Giolli, Pagano, Terragni e Persico, che si è architetti solo se si è uomini tra gli uomini. "Parlar di loro, oggi – osservava già la stessa Veronesi dichiarando i propri intenti e le proprie motivazioni – può aiutare a non dimenticare che, più severamente d'ogni altro uomo, l'intellettuale deve render conto della civiltà cui occorre dar forma, e che lo esprime. Fra gli intellettuali, volente o nolente, consapevole o inconsapevole, l'architetto, insieme con lo scrittore, è il più direttamente impegnato".
Il volume è riccamente illustrato secondo gli insegnamenti di Giolli e la tradizione persichiana di Casabella e in questa nuova edizione integrato da due saggi: il primo di Gianni Contessi, il secondo di Miriam Panzeri che costituisce una breve ma appassionata biografia sull'autrice, prima critica dell'architettura italiana tra le due guerre e grande rimossa della cultura italiana.