Marras e i parametri estetici

di Ettore Bellotti Antonio Marras, Antonio Mancinelli, Marsilio Editori,Venezia 2006 (pp. 168, € 16,00)Pensare ad Antonio Marras significa prima di tutto pensare a quanto sono cambiati, negli ultimi anni, i parametri estetici che ci permettevano di capire e valutare i prodotti dei creatori di moda.

di Ettore Bellotti

Antonio Marras, Antonio Mancinelli, Marsilio Editori,Venezia 2006 (pp. 168, € 16,00)

Pensare ad Antonio Marras significa prima di tutto pensare a quanto sono cambiati, negli ultimi anni, i parametri estetici che ci permettevano di capire e valutare i prodotti dei creatori di moda. Da tempo è stata dimenticata la lezione dei vecchi maestri che si sono dannati l’anima per insegnare alle signore che la spallina del reggiseno non deve essere mai mostrata (Roberto Capucci ne è ancora sconvolto), tanto meno gli slip o la guêpière (a meno che non siano abiti da lavoro) e che un abito può servire a migliorare le forme del corpo, o a mimetizzarle nel caso di pance, sederi bassi, spalle spioventi. Queste ormai sono idee noiose e stantie, in antitesi a questa sorta di postmodernismo dilagante dove le cose più sono distrutte, logore, informi, riciclate, sfacciate, e più sono il top. Il concettualismo impone nuove regole.

E così abiti semplici, puliti, ben fatti, concepiti per agevolare i movimenti di chi li indossa, vengono guardati con sufficienza. Una qualunque stravaganza ‘artistica’ per niente donante e possibilmente asimmetrica diventa una genialità. E questo è anche il caso della moda di Antonio Marras. La sua stilematica è tutta concentrata in una sorta di idea folk postromantica fatta di riassemblaggi di ripescaggi, di mescolamenti. Un métissage culturale dove tutto si incrocia: il nuovo e il vecchio, il maschile e il femminile, il selvaggio e il metropolitano. Un neopoverismo molto poetico che ci vuole convincere che i piani sono rovesciati. Ciò che credevamo formalmente sbagliato e ‘sporco’ diventa bello, e viceversa. Mancinelli scrive che Marras si ispira, oltre che al folklore sardo, alla cultura orientale di Yamamoto, di Kawakubo. Ma le loro linee, anche se eccentriche, sono pure, precise, ben definite. Gli abiti di Marras sembrano sfarinarsi al tatto, tanto sono inconsistenti, senza forma, senza costruzione. Sono assemblaggi che a volte possono anche essere ben riusciti ma è difficile non pensare alla loro casualità, alla loro transitorietà.

Suggestive mise teatrali create ad effetto per vivere solo pochi attimi sulla passerella, per la delizia degli spettatori e dei fotografi. La presentazione delle collezioni di Marras è infatti vissuta come un evento spettacolare a lungo atteso. È lo spirito del tempo. Tutto dev’essere stupefacente, non importa se irreale (o importabile). Ma questo atteggiamento snobistico della moda concepita per “legami spezzati”, questa foga del disruptive, (spezzare le forme, rompere i collegamenti lineari), non fa altro che alimentare la confusione estetica nella quale sguazziamo dai tempi del punk inglese (Vivienne Westwood, Malcolm McLaren). E a forza di andare a caccia di memorie romantiche inesistenti, o a volerle inventare a tutti i costi, ci stiamo perdendo l’unica tradizione estetica che realmente ci appartiene e che con gran fatica credevamo di aver raggiunto: la cultura dell’uomo moderno che vive in un ambiente civile urbanizzato. Mancinelli cita Rem Koolhaas per dire che “il vero lusso non è levigato ma imperfetto”. Sbaglia: l’esaltazione dell’imperfezione artistica sulla ripetitività seriale del metodo industriale è solo fumo negli occhi.

Quasi tutto è ancora imperfetto intorno a noi. A poco è servita la lezione del design. Pensare ad un abito o ad una lampada in termini artistici è fuorviante. E poi, come sempre, la tecnologia si adegua al mercato. Sembra assurdo ma oggi macchine perfette sono in grado di produrre studiatissime imperfezioni. Ma troppi buchi, troppe sbavature, troppi materiali scadenti per un abito costoso sono solo un imbroglio per chi lo acquista (da sempre amiamo i jeans stinti e logori dall’uso e dal tempo. Ma quanta volgarità c’è in un paio di jeans nuovi strappati e rattoppati ad arte e per di più pagati a caro prezzo?). Da qualche anno Marras lavora come direttore artistico di Kenzo. Forse il doversi confrontare con un’azienda con problemi di fatturato e distribuzione limiterà le sue performance dadaiste ma indubbiamente lo rende più appropriato, più concreto. La tradizione del saper fare delle vecchie maison è sicuramente stimolante e la creatività di Marras sembra ben indirizzata. Può essere interessante la sua teoria che gli abiti se tagliati in modo impreciso creano degli spazi inusuali con il corpo, e che questi spazi si modificano con il movimento. Lo studio della modellistica è in perenne evoluzione. La sua applicazione può portare a risultati stupefacenti; basta ricordarsi che gli abiti sono oggetti d’uso. Possono avere valenze simboliche più o meno alte ma non possono tradire la loro funzione primaria. Una lezione che Roberto Capucci, l’impratico per eccellenza, ha sempre applicato a tutte le sue invenzioni e che ancora può impartire a chiunque.

Ettore Bellotti Architetto

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