Tra scultura, robotica e urbanistica: gli highlights della rassegna

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Nelle tre sedi della rassegna, progetti e master plan architettonici si alternano alle suggestioni d'artista e agli ultimi ritrovati della tecnologia

Sarebbe ingiusto, oltre che impossibile, fare classifiche tra i 212 progetti esposti a “Time Space Existence”. Troppo differenti tra loro prima di tutto sul piano concettuale per essere confrontati.
Ecco allora una carrellata dei grandi temi indagati dalla mostra attraverso i lavori e le riflessioni di alcuni ‘espositori’.

Le grandi sculture di David Jacobson presentate ai giardini della Marinaressa sono impronte di piedi nella pietra, segno indelebile di peso e gravità e cifra della presenza umana sulla terra.
Sempre ai Giardini, l’installazione Earth Lung è un polmone artificiale interrato nel suolo che si attiva al passaggio dei visitatori e vuole essere un monito a conservare e valorizzare i parchi, i giardini e le aree verdi delle nostre città nonché l’invito a immaginare un altro equilibrio tra uomo e natura.
Accademici e università propongono strumenti per modellare il nuovo mondo, attraverso l’utilizzo di biomateriali, sistemi costruttivi alternativi e tecnologie avanzate come le tecniche di 3D printing e il computational design. Validi esempi arrivano dal gruppo di ricerca di Philip Block, ETH Zurigo, che, negli spazi di Palazzo Mora, presenta l’iniziativa avviata dal Governo del Sud Africa per l’utilizzo di biomassa IAP, schegge derivanti da piante aliene invasive, come aggregato sostitutivo di sabbia e pietra nella produzione di calcestruzzo. Una soluzione più sostenibile, che può contribuire a ripristinare gli ecosistemi dei bacini idrografici, creare posti di lavoro e rispondere alla crescente domanda di alloggi accessibili.

 Video di Lorenzo Basadanna Scarpa

Dallo stesso Philip Block, in collaborazione con Zaha Hadid Architects, arriva Striatus, una passerella ad arco, in muratura non rinforzata, composta da blocchi di cemento stampati in 3D e assemblati senza malta. Esposto ai Giardini della Marinaressa, il prototipo di nove metri combina i principi costruttivi dei maestri del passato con nuove tecniche di progettazione computazionale e ingegneria robotica. Il nome riflette la sua logica strutturale: Striatus utilizza il calcestruzzo in un processo di fabbricazione a strati per creare una struttura di sola compressione che elimina gli sprechi di materiale. L’assenza di legante o colla lo rende riutilizzabile all’infinito: può essere facilmente smontato e rimontato altrove.
Il rapporto simbiotico con la natura riecheggia nella Foresta Rigenerativa di Tono Mirai, installazione in terra cruda, improntata al concetto giapponese di Jinen (ciò che si fa da sé). Confrontandosi con il genius loci di Venezia, Mirai ha utilizzato i pali di larice che sostengono la città per riprodurre in piccolo l’ecosistema della foresta: sette tronchi, disposti in cerchio e circondati da sottili rami di salice e bambù, poi rivestiti di terra, sorreggono una copertura in rame nascosta a sua volta da terra. Un cespuglio di arbusti che, crescendo nel tempo, ricreerà una piccola selva completa l’opera muraria. Realizzata su una terrazza di Palazzo Mora, l’opera racconta un processo circolare, che parte dal luogo, dalle tradizioni costruttive e dai materiali locali, per andare incontro a una rigenerazione costante accogliendo i cambiamenti dell’ambiente circostante. La sua stessa disinstallazione darà inizio a un nuovo ciclo di vita dei materiali, riutilizzati altrove, secondo un paradigma di architettura organica che nasce dalla terra e ad essa ritorna.
La città resiliente e la ricerca di una risposta al cambiamento climatico animano il lavoro di IStudio Architects e Virginia Tech. Propongono cinque casi studio virtuosi sulla regione di Whashington DC, un’area delimitata dai fiumi Potomac e Anacostia, costantemente a rischio di inondazioni. In risposta alla miopia di una pianificazione urbana incapace di integrare i corsi d’acqua, le cinque proposte avanzate rappresentano esempi di progettazione resiliente, inclusiva, ispirata ai principi di biofilia e di sviluppo sostenibile.
Significativo in questo senso anche il progetto Watershed Urbanism, presentato al primo piano di Palazzo Bembo – con la curatela di Adrian Parr, Water Chair Unesco – sulla regione texana di Dallas-Fort Worth Metroplex, una delle aree urbane a più rapida crescita negli Stati Uniti. In mostra progetti di design pionieristico, firmati da studi di architettura come HKS o Perkins & Will, che prefigurano ambienti in grado di espandersi integrando l’acqua in maniera organica e funzionale.
Il concetto di resilienza trova una sintesi efficace anche nel progetto CASA/HOME presentato dalla Pontificia Universidad Católica del Perú insieme allo University College London. Secondo l’Agenzia Onu per i Rifugiati, entro il 2050 circa 250 milioni di persone nel mondo saranno sfollate a causa degli effetti del cambiamento climatico. Da qui l’ipotesi di un design urbano flessibile, ispirato, nel paradigma adattivo, ai territori della foresta amazzonica, dove i fiumi cambiano corso e le inondazioni aumentano il volume dell’acqua di oltre cinque metri ogni sei mesi. Cambiamenti orizzontali e verticali, che impongono alla fauna e alla flora locali, così come agli insediamenti umani, di evolvere costantemente per adattarsi alle mutate condizioni.


Il ruolo dell’architettura nel progetto di un futuro praticabile è al centro di Ghetto, il progetto teorico, presentato a Palazzo Mora, dello studio canadese Henriquez Partners Architects, che trae spunto dalla natura turistica di Venezia e dalla storia del suo quartiere ebraico per riflettere sulla creazione di città più inclusive, valorizzanti la diversità e la giustizia sociale, attraverso soluzioni economicamente sostenibili. Per metter a frutto il potenziale del capitale creato dallo sviluppo immobiliare, la proposta è quella di fornire alloggi a mille rifugiati iraniani finanziati dalla vendita di condomini in multiproprietà ad altrettanti turisti americani, in quattro diversi siti della città: lo stesso Ghetto, Piazza San Marco, la Stazione e l’Arsenale.
Il tema della crisi abitativa è ricorrente soprattutto in progetti universitari. Due, in particolare, esposti al secondo piano di Palazzo Mora. Il primo, Housing the Urban Invisibles, della Faculty of Architecture and the Built Environment della Delft University of Technology, raccoglie i lavori sviluppati dagli studenti del master in Global Housing, che esplorano approcci alternativi alla progettazione di alloggi adeguati in quattro diversi contesti del sud del mondo: Etiopia, India, Bangladesh e Ghana. Il secondo, della MIT School of Architecture and Planning, è un progetto curato da Adele Naude Santos, che presenta quattro case study su altrettante strategie per lo sviluppo di comunità in contesti culturali diversi – Ruanda, Colombia, Brasile e Guyana – attraverso la fornitura di unità abitative a prezzi accessibili. Se pandemia ha evidenziato l’urgenza di un approccio olistico nel ripensare i rapporti con ciò che ci circonda, gli architetti oggi più che mai sono ingaggiati nel ridisegnare lo spazio pubblico e privato in funzione di nuove visioni.

Titolo:
"Time Space Existence"
Organizzata da:
ECC Italy
A cura di:
Benedetta Bianchi, Bianca Bonaldi, Rachele De Stefano, Hady El Hajj, Bérénice Freytag, Yuki Gómez Asami, Ilaria Marcatelli, Vittoria Mastrolilli, Lucia Pedrana, Martina Rodella, Valeria Romagnini, Suzanne van der Borg, Elena Volpato, Katerina Zachou
Date:
Fino al 21 Novembre 2021
Dove:
Palazzo Mora, Palazzo Bembo, Giardini della Marinaressa, Venezia

Immagine di apertura: Abu Dhabi’s Vertical Studio del dipartimento
di Architettura della Abu Dhabi University. Curato da Nadia Mounajjed
e Apostolos Kyriazis, indaga soluzioni sostenibili per lo sviluppo dell’Emirato. In mostra a Palazzo Bembo. Foto Federico Vespignani

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