Pedocin

Alba Zari ha catturato l’atmosfera di un popolare stabilimento balneare diviso tra uomini e donne in pieno centro a Trieste, chiamato affettuosamente “il Pedocin”.

Alba Zari, il “Pedocin”, Trieste
Uno stabilimento balneare diviso tra uomini e donne in pieno centro a Trieste. Una casta tradizione nata sotto l’Impero Asburgico, che ha resistito nel tempo, nonostante i cambiamenti di bandiera (della città) e della morale (dei cittadini). La popolarità de “La Lanterna”, chiamato affettuosamente “Pedocin” dai triestini, mette in luce ancora una volta la proverbiale bizzarria degli abitanti del capoluogo giuliano. In tempi in cui la spiaggia è teatro per eccellenza di sensuali giochi di sguardi tra uomini e donne, i triestini preferiscono la divisione, la tranquilla familiarità della compagnia maschile per i maschi e femminile per le femmine.
Alba Zari, il “Pedocin”, Trieste
Alba Zari, il “Pedocin”, Trieste
Il progetto fotografico ha come tema centrale il dualismo:  uno spazio diviso da un muro. A separare i due settori, più invalicabile del muro di mattoni, vi è quello delle differenze di genere: le donne, finalmente libere dall’asfissiante necessità di apparire belle e attraenti per la controparte maschile, si fanno sorprendere da scatti rubati, ma non a sbirciare di nascosto cosa accade dall’altra parte. Gli uomini, invece, ravvivati dalla cameratesca compagnia maschile, scrutano spesso e volentieri l’orizzonte rosa da cui li separa una cortina di sovietica memoria, posando a proprio agio di fronte alla sola donna a cui è stato concesso l’ingresso: la giovane fotografa. Le signore del Pedocin divengono oggetto dello sguardo, i signori soggetto. Il dualismo degli spazi, delle dinamiche sociali ed emotive, del binomio soggettività/oggettività, non poteva non ripresentarsi anche nella tecnica fotografica.
Alba Zari, il “Pedocin”, Trieste
Alba Zari, il “Pedocin”, Trieste
Due i mezzi utilizzati: da un lato, una fotocamera digitale, piccola, discreta, in grado di riprendere agilmente l’istantaneità, il momento. Dall’altro una macchina fotografica analogica, grande, pesante, che costringe a lunghi tempi di sviluppo e stampa, rendendo necessario un approccio ai soggetti più diretto e paziente. “Posso farle una foto?” è il fulmine a ciel sereno che squarcia la tranquillità di chi credeva di potere passare una giornata senza preoccuparsi di come apparire. In tempi di immagini sempre più banali e standardizzate, la fotografia torna ad essere un punto di rottura.

Alba Zari nasce nel 1987 a Bangkok. Laureata al DAMS di Bologna si specializza in Visual Design alla NABA di Milano e in fotografia documentaria presso l’International Center of Photography di New York. Lavora come fotografa e si dedica in particolare alla fotografia di contenuto sociale, realizzando progetti sul paesaggio urbano.  

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