Francesca Esposito: Come si ferma, tecnicamente, il tempo?
Luigi Ziliani: La difficoltà di scattare al decimillesimo di secondo è avere l’attrezzatura adatta. I flash Broncolor hanno la capacità di far durare il lampo, nella sua velocità e massima potenza, un decimillesimo di secondo. Una tecnologia abbastanza evoluta, dal momento che di solito un flash dura un cinquecentesimo di secondo. Ma sarebbe stato troppo lento, infatti in un cinquecentesimo di secondo una goccia traccia una traiettoria. Mentre un decimillesimo riesce a congelare il fenomeno. L’altra difficoltà, poi, è beccare il momento giusto.
FE: Facile a dirsi, ma come si fa ad avere la certezza di trovare il momento giusto?
LZ: Con Antonio Usuelli, un amico ingegnere, abbiamo costruito un sensore a infrarossi abbastanza semplice. Quando viene interrotto, il raggio di infrarosso fa partire un circuito e dà l’input al generatore del flash, che decide quando e a che potenza far partire il flash. In questo modo potevamo avere la certezza matematica che il fenomeno venisse scattato in quell’istante preciso, a questo sensore abbiamo attaccato una tastiera elettronica digitale, per cui potevamo dire al sensore di ritardare di un decimillesimo di secondo.
Poi migliorie, tentativi, errori e segreti, ovviamente. Con questo macchinario casalingo sono riuscito a scattare l’esplosione delle bottiglie Campari che, grazie ai miei agenti, mi ha dato l’opportunità di venire scelto poi dall’azienda Campari per la campagna pubblicitaria.
FE: Con un metodo induttivo sei partito dall’esperimento: come hai immortalato la forma dell’acqua?
LZ: All’inizio ho scelto i palloncini d’acqua perché non avevo ancora la tecnologia per far partire i flash nel momento perfetto, in più erano ovvi, economici e scenografici. Poi ho iniziato a fare gli esperimenti anche con lampadine, con il latte, con liquidi di consistenze diverse. Si trattava soprattutto di esperimenti grezzi, fotograficamente poco estetici ma interessanti dal punto di vista scientifico. Ovvero cosa succede a una goccia d’inchiostro quando cade nel latte? Provavo, sporcavo, rovesciavo. Poi ho deciso di fare qualcosa di più impegnativo, rendere l’effetto scientifico ma dare anche spazio all’aspetto estetico.
FE: Chi e che cosa ti hanno ispirato?
LZ: Sono sempre stato affascinato dall’infinitamente piccolo e dall’infinitamente grande, dalle galassie e dalle supernovae fino agli insetti microscopici. Girava in casa mia un libro con le fotografie di Edgerton, più ingegnere che fotografo, che ha inventato lo stroboscopio costruendo dei flash in grado di catturare l’anatomia del movimento. Nei miei progetti ho cercato di emulare il suo metodo e sono partito da lì.
FE: Quali i tuoi maestri in fotografia?
LZ: Tutto è già stato fatto, non esiste nulla di assolutamente originale, nuovo, o mai visto prima. Ognuno ha uno stile proprio, ma prende ispirazione da altri fotografi e maestri. Per me Edgerton, in primis. Ma anche Guido Mocafico e Norimichi Inoguchi per lo still life, o i grandi reporter come Capa, Bresson, Salgado. Poi ci sono i big della moda come Steven Meisel o Peter Lindbergh, ma diciamo che iniziando come assistente per alcuni fotografi di moda e advertising, la mia fortuna è stata quella di lavorare con persone che mi hanno permesso di crescere, sia da un punto di vista professionale sia da un punto di vista umano. Mi hanno lasciato lo spazio necessario per provare, per fare i test, gli esperimenti e porre domande.
FE: Cosa deve fare una fotografia?
LZ: La fotografia di oggi, al pari della regia o della pittura, deve raccontare delle cose. Il fotografo deve sentire la necessità di esprimersi e comunicare, perché sente che ha qualcosa da dire. Ma quando non hai nulla da dire – un’emozione, un concetto, una storia – non hai una bella fotografia. Quando sottostimi la tecnica, la τέχνη greca del saper fare, il risultato si vede. Ci vogliono una serie di elementi, dalla luce all’inquadratura, che vanno conosciuti a fondo: bisogna imparare e studiare. Il fotografo Martin Schoeller, per esempio, fa dei bellissimi ritratti, ma non solo per i soggetti interessanti, ma anche perché mostra cosa si nasconde nello sguardo e nelle rughe delle persone. È tutta una questione di luce, riflessi lunghi e verticali, in quel caso Schoeller è stato bravo, con la tecnica e con alcune luci al neon, a far venire fuori il ritratto. Se il fotografo non ha questa prerogativa, allora ottiene solo vuoto. A volte bisogna avere l’onestà intellettuale di riconoscere che non c’è niente da capire, e avere, soprattutto, il coraggio di dirlo.
FE: Ma, infine, c’è un istante in cui il cavallo non tocca mai terra?
LZ: Sì. Pare, per un istante, che voli.