Architettura dell'inconscio

Francesca Esposito intervista il fotografo (e psicologo) Mattia Mognetti, che con le sue immagini fatte d'incastri e illusioni ottiche "alla M.C. Escher", vuole indagare sui lati astratti e concreti dell'architettura.

"Non che la categoria di spazio fosse stata abolita. Lo spazio era sempre là, ma aveva cessato di predominare. La mente si interessava non di misure e collocazione, ma di essere e significato". Da queste riflessioni dello scrittore Aldous Huxley contenute nel libro Le Porte della percezione, prende spunto il lavoro del fotografo e psicologo Mattia Mognetti che vuole indagare sui lati astratti e concreti delle architetture, dei monumenti e dei non-luoghi di Milano.

Classe '85, Mognetti si occupa di fotografia e arte digitale dal 2010, tanti progetti fotografici all'attivo, eventi come Mantova Creativa che riunisce fotografi, designer e architetti sul tema ambientale, e collaborazioni simbiotiche a due reflex e quattro mani con il fotografo tedesco Nick Frank Se da una parte, i suoi scatti postati da migliaia di blog, dal Giappone alla Germania, dagli Usa alla Cina, passando per Russia e India, piacciono al Washington Post che ne apprezza gli angoli originali attraverso cui lo spettatore può disconnettersi dalla realtà, dall'altra i suoi lavori vengono paragonati agli incastri e alle illusioni ottiche di M.C. Escher. "Le architetture", racconta il fotografo che cerca di intrappolare l'essere e il divenire di Milano, "hanno due aspetti: in superficie regolarità e volumi, in profondità un aspetto asettico che prescinde dalla presenza dell'uomo imperfetto e mortale".

Quanto influisce la sua formazione di psicologo su quella di fotografo?
La psicologia sperimentale e le neuroscienze, studi sulla percezione e illusioni ottiche in particolare e quelle aree più interdisciplinari in cui la tradizione psicanalitica si incontra con la critica d'arte, mi hanno molto influenzato. Rappresentano una sorta di chiave interpretativa di quello che l'osservatore si trova a guardare, offrendo uno spiraglio su quell'aspetto della persona che Freud definisce inconscio.
In apertura: Mattia Mognetti, <i>Istigkeit #55</i>. Qui sopra: Mattia Mognetti, <i>Istigkeit #33</i>
In apertura: Mattia Mognetti, Istigkeit #55. Qui sopra: Mattia Mognetti, Istigkeit #33
Cosa cambia negli occhi dell'osservatore?
Può avere certamente una sensazione per così dire "condivisibile" dai più, ma si troverà anche a saturare con una propria componente personale ciò che percepisce di ambiguo nell'oggetto dell'osservazione. Un po' come il test di Rorschach, il test psicologico proiettivo basato sull'interpretazione di macchie di inchiostro. Vedere un pipistrello in una macchia di inchiostro, una navicella di Star Wars al posto di un edificio, vivere l'osservazione di un'immagine in maniera piacevole piuttosto che disturbante, sono tutte reazioni spontanee a cui è possibile fornire, a volte, una chiave di lettura psicologica.
Mattia Mognetti, <i>Unending Lightscapes Milano</i>
Mattia Mognetti, Unending Lightscapes Milano
Quando nasce la passione per l'architettura e per la fotografia?
Mio padre è sempre stato un appassionato della camera oscura, ma diciamo che in casa ero io quello che notava subito se un quadro fosse storto. Notavo particolari anche millimetrici, proprio come adesso mi accorgo che basta una minima inclinazione per distorcere le linee e i riflessi. Sono ossessionato dall'architettura, dalle prospettive alla ricerca di equilibrio, mi piacciono le superfici metalliche e i riflessi, mi guardo sempre intorno con la speranza di trovare uno scorcio visivo in cui sperimentare. Mi piace giocare con le inquadrature e il risultato del gioco spesso crea stupore e inganna: si percepisce l'astrazione, anche se nella realtà si tratta di un palazzo concreto, come nel caso del mio lavoro Istigkeit.
Mattia Mognetti, <i>Unending Lightscapes Milano</i>
Mattia Mognetti, Unending Lightscapes Milano
Si tratta di uno dei lavori più famosi e più postati, che ha come protagoniste alcune delle architetture più storiche e conosciute. Da dove nasce il termine Istigkeit e come è nato il progetto?
Il nome deriva da un concetto del filosofo medievale Meister Eckhart che con questa accezione indicava l'idea di infinito e percezione del divino. Il concetto è stato poi ripreso da Aldous Huxley nelle Porte della Percezione, in cui che fra gli effetti della mescalina veniva sperimentato quello di perdersi in una percezione fine a se stessa. Il progetto è nato da solo, i palazzi e gli elementi hanno iniziato a incastrarsi da soli, in un gioco di estetica e inganno.
Mattia Mognetti, <i>Istigkeit #22</i>
Mattia Mognetti, Istigkeit #22
Dove perdersi a Milano, fotograficamente parlando?
Sono attratto da mete più classiche, come la chiesa di San Celso e la Chiesa di Santa Maria dei Miracoli, che però sono in un contesto surreale e fuori dal tempo; ma amo molto anche le geometrie, riflessi e superfici delle nuove costruzioni. Anche il Cimitero Monumentale, in cui ho scattato le fotografie della serie Graveyard People è poco conosciuto dai milanesi: è un luogo dove estraniarsi dal caos rumoroso e osservare, isolato, il silenzio.
Mattia Mognetti, <i>Istigkeit #70</i>
Mattia Mognetti, Istigkeit #70

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