(In)visible city revisited

Hannah le Roux intervista l'architetto e fotografo Leon Krige che, con le sue immagini notturne riprese dai tetti dei palazzi, ha documentato le trasformazione del centro di Johannesburg, da industriale a residenziale.

L'architetto e fotografo Leon Krige ha fotografato gli edifici di Johannesburg, soprattutto quelli del tessuto modernista e industriale della parte centrale della città, a partire dagli anni Ottanta, seguendone la dismissione e la nuova destinazione abitativa. (In)visible city revisited è una serie di immagini urbane notturne riprese dai tetti dei palazzi d'appartamenti. I tempi d'esposizione estremamente lenti di ogni immagine catturano l'aspetto effimero delle figure, lo spettro luminoso e i segni che svelano l'età della città. Lo stile apparentemente turistico del panorama cittadino viene disturbato dai minuscoli dettagli intimi di una realtà lievemente alterata, che in qualche modo appare come una città modernista ma in realtà è danneggiata e soprattutto vissuta.

Hannah le Roux: Quali difficoltà tecniche e umane implica fotografare il centro cittadino di Johannesburg?
Leon Krige: Le fotografie sono la somma di più immagini ad alta risoluzione. Ogni inquadratura richiede da 25 a 30 secondi e in ogni fotografia ci sono fino a 48 inquadrature. Scatto e metto a fuoco manualmente ogni foto. Spesso mi fermo a Doornfontein. Di solito individuo un quartiere della città e mi dedico a conoscerlo per circa sei mesi. Talvolta entro in un locale notturno di infimo ordine dove sono la sola faccia bianca. C'è una storia con la città, un amore, come il personaggio di Sin City di Frank Miller che salta da un tetto all'altro come un gatto e parla della sua storia d'amore con la città. In questa città ci sono il bene e il male, il che la rende attraente. Ci sono stati momenti in cui mi sono trovato faccia a faccia con il suo lato oscuro, che è davvero spaventoso, e ci vuole un paio di mesi per trovare il coraggio di tornarci. Stare sul tetto significa rimanere al sicuro finché ci si sta, ma il passaggio per arrivarci e andarsene può essere un rischio serio. Una volta, sui tetti, ci si poteva stare in base a un sistema di regole e non si aveva paura di andarci. Oggi la città è libera ma è libera per tutti, per cui quando a un edificio si arriva con facilità di solito è un segno pericoloso.
Leon Krige, <i>(In)visible city revisited</i>: Pretoria-street (foto di apertura); East Fog (qui sopra)
Leon Krige, (In)visible city revisited: Pretoria-street (foto di apertura); East Fog (qui sopra)
Come è cambiata la città e come hai reagito a queste trasformazioni dal tuo punto di vista?
Le fotografie sono molto cambiate negli ultimi cinque anni. C'è stata un'epoca in cui erano praticamente delle pose, che documentavo nel vecchio formato quadrato e che, come il modo in cui la città era stata progettata, come la nostra storia, si sono rivelate delle trappole. Mostravano una specie di qualità di chiusura. Una volta ho iniziato a spostare la macchina, così, per divertimento, per fare qualcosa di imprevedibile. La sorpresa è arrivata quando ho iniziato a stampare su carta molto vecchia, che era scaduta. Ricordo che quando due anni fa mostrai queste stampe a David Goldblatt lui rimase orripilato dalla qualità tecnica, perché le sue foto sono totalmente rispettose della situazione originale. Ho capito che era un'epoca che a un certo punto semplicemente avevo abbandonato. A un certo punto, la carta diventava più interessante perché, come la città, era scaduta. Mancavano degli edifici, le cose erano fuori posto, le figure erano dure e crude, tutti quanti per sopravviverci eravamo stati sbatacchiati di qua e di là. La carta vecchia divenne un modo di esprimere questa mancanza di preziosismi, comunque ancora dotato di un'incredibile ricchezza.
Leon Krige, <i>(In)visible city revisited</i>: Nightwatch
Leon Krige, (In)visible city revisited: Nightwatch
Le foto di questa serie sono in gran parte state scattate dai tetti. Perché questa posizione e quali sorprendenti vedute della città ti ha permesso?
Volevo fare un lavoro che, nel complesso, fosse l'individuazione di un punto di vista. Quando vedevo la città come una foresta, facevo uno schizzo che riprendevo in mano quando le cose si facevano troppo complicate e non si riusciva a comprenderle. Quando sei in mezzo agli alberi puoi sapere di stare in mezzo alla foresta, ma vederla è difficile. Dato che pensiamo per piante, la cosa più ovvia è salire in cima alla foresta. C'è un punto in cui si è troppo in alto per spostarsi, e si vede solo quest'immagine da cartolina. Allora ci si rende conto che bisogna girare intorno all'albero per trovare il ramo giusto, dove si è in contatto con la città ma si continua a vederne il panorama. Per esempio nell'immagine intitolata Noord Street c'è un risalto con un tubo fluorescente rotto dove gli uomini della sicurezza hanno troppa paura di arrivare, ma che svela una bellezza incredibile. A guardar meglio in cima ai tetti si vedono i cartoni e i teli dove i senzatetto si nascondono alla polizia durante la notte. Quando ho scattato la foto non avevo notato questo particolare, l'ho scoperto solo stampando l'immagine. Il tempo dello scatto coglie questa estrema definizione. La macchina fotografica non turba l'esistente ma riesce a svelare strati che l'occhio non vede.
Leon Krige, <i>(In)visible city revisited</i>: Summit East top
Leon Krige, (In)visible city revisited: Summit East top
Nelle fotografie non ci sono persone riconoscibili. Tutt'al più c'è una sagoma o una figura.
È un'osservazione interessante. Le persone vi compaiono in modo per così dire accidentale. Ma voglio soprattutto fare una serie di scatti delle guardie che stanno in basso. Non i loro ritratti in sé, ma il modo come sono disposte, come si riuniscono in certe parti della città. È un rischio forte perché sono molto vulnerabile. Il punto di vista sopraelevato mi piace, ma voglio lavorare a distanza più ravvicinata. Esattamente lo stesso metodo delle panoramiche, perché da il senso di essere lì, il senso di avere un posto in quello spazio. Per questo sono stampate in dimensioni così grandi.

Leon Krige, <i>(In)visible city revisited</i>: Kitcheners, Motel Mari
Leon Krige, (In)visible city revisited: Kitcheners, Motel Mari
Qual è il tuo punto di vista sulle stampe di quest'opera e come si collegano al contesto che documentano?
Ho detto della città e della differenza tra stampare su carta vecchia o nuova. C'è un'analogia con i dischi di vinile che sono segnati da graffi e rumori di fondo ma rappresentano ancora la musica a un livello molto prossino al modo in cui la viviamo. Quando sono apparsi i CD tutti hanno detto che era bellissimo perché non c'erano rumori di fondo, ma in qualche modo eliminavano la natura umana della musica e ci sono voluti venticinque anni perché i CD cominciassero a essere più musicali. Il processo della pellicola in camera oscura, dell'analogico e del bianco e nero è la stessa cosa. Porta il segno dei graffi dei negativi, e con le pellicole e i prodotti chimici qualcosa può andare storto, ma ha in sé un aspetto di calore e di umanità. In queste vecchie carte scadute c'è una stratificazione estremamente ricca. Quindi mancheranno magari di contrasto, ma possiedono una quantità incredibile di toni raffinati nelle ombre. Le nuove stampe sono tutte su carta da archivio per stampa digitale, ma quel che tengo a dire è che le prime carte per stampa digitale avevano solo una possibilità: inchiostro colorato su carta bianca e basta. Da allora si sono evolute come hanno fatto i CD negli ultimi vent'anni. Oggi le carte digitali che scelgo per la mia stampante hanno una superficie e delle possibilità tonali simili a quelle delle carte vecchie, pur essendo molto fragili. Dedicando del tempo al trattamento e alla selezione i particolari vengono in luce come nelle vecchie carte.
Leon Krige, <i>(In)visible city revisited</i>: Mariston Noord street
Leon Krige, (In)visible city revisited: Mariston Noord street
Leon Krige, <i>(In)visible city revisited</i>: Maxim Hillbrow fog
Leon Krige, (In)visible city revisited: Maxim Hillbrow fog

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