L'architettura delle Olimpiadi

Alla vigilia dei Giochi, alcune riflessioni sull'identità del quartiere olimpico: una nuova città giardino del XXI secolo "che porta la natura dentro la città" e, grazie a un'urbanistica soft, scongiura gli aspetti peggiori delle periferie.

A 73 giorni all'apertura delle Olimpiadi di Londra la corsa britannica alle costruzioni olimpiche iniziata sette anni fa sta per tagliare il traguardo. La prima visita aperta al pubblico ai 225 ettari del Queen Elizabeth Olympic Park ha avuto luogo la settimana scorsa, mentre tre settimane fa il sindaco di Londra Boris Johnson ha inaugurato la fantasiosa torre-belvedere dell'Orbit accanto allo stadio, ormai completato, e a poca distanza dall'Aquatics Centre, il centro di sport acquatici dello studio Zaha Hadid Architects. Dal belvedere in cima alle capricciose volute d'acciaio verniciato di rosso – 22 metri più alte della Statua della Libertà di New York – il Canary Wharf e il centro di Londra appaiono minuscoli. Qui, nella zona orientale di Londra, da un insieme di icone sportive e di fasce di territorio ristrutturate, va emergendo "una nuova parte della città", per usare le parole con cui Ricky Burdett – professore di Urbanistica e direttore di LSE Cities, Primo Consulente d'Architettura e Urbanistica dell'ODA (Olympic Development Agency, l'agenzia per l'edilizia olimpica, 2006-2010) – ha descritto gli obiettivi del progetto olimpico in un'affollata conferenza tenuta il 15 maggio alla LSE, la London School of Economics, con il titolo The architecture of the Olympics, "L'architettura delle Olimpiadi".

La manifestazione è stata une delle prime occasioni – ha spiegato il moderatore Nicholas Serota, direttore della Tate – di riflettere sulle questioni che questo massiccio progetto di ristrutturazione ha sollevato, e sulle lezioni che se ne sono tratte. Nel ruolo di paladino del progetto, insieme con Burdett e altri esponenti dell'ODA, per dieci anni ha coerentemente sostenuto la necessità assoluta di dare prospettive di sviluppo più vaste a questo sito dei "giochi della sostenibilità", la cui realizzazione è costata 11,65 miliardi di euro. La realizzazione del progetto nasce dalla scelta di Londra per i Giochi olimpici e, grazie agli interventi tenuti dagli esponenti di tre studi professionali, gran parte del tempo dell'incontro della LSE è stata dedicata al progetto degli impianti di tre discipline sportive fondamentali. L'Aquatics Centre, di cui lo studio Zaha Hadid Architects fu il primo a ricevere l'incarico nel 2004, con Burdett in giuria, farà da porta d'ingresso al parco olimpico durante e dopo i Giochi, mentre il velodromo, progettato da Michael Hopkins & Partners, dopo i Giochi sarà circondato da un nuovo Velopark, un parco ciclabile al servizio della comunità locale. Il centro degli sport acquatici rimedierà alla carenza londinese di buone piscine di dimensioni olimpioniche, ed entrambi gli impianti contribuiranno a rimediare alla pochezza di edifici pubblici locali di ogni scala.

Sulla base del calendario settennale del CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, il progetto degli impianti olimpici in realtà ha coinvolto varie località in tutta Londra, ma ha avuto il suo centro a Stratford, nella bassa valle del Lea. Tuttavia, al di là dell'accento sulle località che il titolo della manifestazione della LSE suggeriva, c'è una questione ben più vasta che riguarda l'obiettivo, a lungo perseguito, di una risposta da dare alla crescita della città attraverso la reinvenzione dell'area e la valorizzazione delle sue attività, costruendo "un'infrastruttura umana in grado di rappresentare le ondate migratorie provenienti da ogni parte del mondo che circondano interamente il sito", come ha affermato Burdett. "La politica urbanistica di Londra per venti o trent'anni ha cercato di focalizzarsi a est-nordest su zone che offrivano abbondanza di terreni, mentre la parte occidentale di Londra era meno svantaggiata." Un'area che "davvero aveva bisogno di finanziamenti", secondo l'espressione usata dall'ex sindaco di Londra Ken Livingstone all'epoca della pubblicazione del bando del CIO, presenta alcuni degli ambienti sociali peggiori di tutta la Gran Bretagna, dal punto di vista sociale, nei quartieri di Tower Hamlets, Newham e Hackley.

Anche la mancanza di collegamenti era uno svantaggio. Burdett ha mostrato l'unica strada che attraversa il sito così com'era rappresentata sulla mappa di Londra A-Z del 2005. Oggi è collegata dagli attraversamenti di nuovi sovrappassi e di nuovi percorsi, nonché da un'infrastruttura principale di trasporto multimodale. Sito di aree dismesse, "da secoli zona depressa di Londra", già sede di numerose attività industriali tra cui alcune tecnologicamente innovative, doveva essere recuperata e liberarsi dei tralicci; ma evoca anche ricordi romantici, con una serie di paesaggi verdeggianti collegati tra loro tramite canali che uniscono il corso del Tamigi alle province meridionali, a quelle più agricole a nord di Londra e si dirigono verso l'Inghilterra settentrionale.

Sette anni non sono molti per realizzare una parte importante di una città, secondo Burdett, e qui si tratta di un progetto di venti-venticinque anni. Il compito di ereditare i progetti dell'area è stato assunto dall'OPLC, istituzione fondata qualche anno fa che, nell'aprile 2012 è stata ribattezzata London Legacy Development Corporation ("Società per la valorizzazione del patrimonio edilizio londinese"). Questa società subentra all'ODA (Olympic Delivery Authority). L'urbanista americano Andy Altman, direttore generale dal 2009, guida la trasformazione dei 300 acri del sito in una "comunità vivace e multiculturale, che contribuisce a ridare equilibrio all'espansione di Londra". Altman si è preoccupato di sottolineare che si è trattato di "una ricostruzione della città estremamente coscienziosa", che "non l'ha lasciata completamente in balia del mercato lottizzandola". "Nasceva da una prospettiva secolare", ha spiegato, nella "tradizione londinese delle grandi realizzazioni immobiliari che ancor oggi esistono e sono molto apprezzate: Mayfair, Chelsea, Marylebone, Notting Hill e Pimlico. L'identità del futuro quartiere inizierà a crescere dopo i Giochi con l'eliminazione delle sedi temporanee, in modo che il terreno da esse occupate possa essere convertito a nuove edificazioni residenziali, sportive e per il tempo libero a uso del quartiere: un'intelligente strategia di adattamento che evita il pericolo di creare degli "elefanti bianchi". Lo stadio della pallacanestro si sposterà a Chobham Manor, prima iniziativa di edilizia residenziale; lo spazio della pallanuoto è destinato a diventare un'area sportiva mista per gli sport all'aperto inclusa nel litorale di Stratford, con ristoranti, bar e caffè. La piattaforma sul lungofiume per l'hockey e il calcio paraolimpico diventerà uno spazio per manifestazioni e poi per abitazioni, mentre gli specchi d'acqua di Etan Manor, a nord-est, diventeranno il Centro dell'hockey e del tennis della valle del Lee.

Jim Eyre, responsabile dello studio Wilkinson Eyre, ha paragonato lo stadio temporaneo della pallacanestro, rivestito di tessuto di PVC bianco, a una confezione di cibo take-away. Avrebbe preferito progettare una cupola geodetica, ma alla fine la loro scelta progettuale – con l'illuminazione notturna dello studio di interaction design United Visual Artists e con un volume complessivo (300.000 metri quadrati) di acciaio leggero, è riciclabile per due terzi, si può "dividere in due parti per usarle come aulette scolastiche", o magari "se ne andrà a Rio" (per le Olimpiadi 2016). Gli organizzatori di Rio hanno già passato parecchio tempo a Londra guardandosi in giro e, per loro e per il CIO, diventerà certo una realtà concreta il fatto che l'architettura riconfigurabile e inventiva contribuisca ad accrescere la condivisione delle sedi tra paesi. Il progetto del velodromo permanente che ospita il più fortunato degli sport britannici – ha spiegato Mike Taylor, socio anziano dello studio Hopkins Architects – ha avuto la meglio sull'atteggiamento da "No, non si può fare" dei committenti. Per fortuna, nella giuria c'era il campione del mondo di ciclismo Chris Hoy. Come è accaduto per pochissimi velodromi in tutto il mondo, si è scelto di "riscrivere il copione", di andare oltre la "bella struttura reticolare di cavi del velodromo di Monaco del 1972" e di cercare tramite l'architettura e l'ingegneria di raggiungere l'efficienza di una bicicletta, in un aggiornamento dell'eredità di Brunel. A differenza delle Olimpiadi del 1948, quando il velodromo costruito a Herne Hill era all'aperto, il Pringle, come è stato soprannominato, richiedeva di realizzare il meglio in fatto di "ariosità", di acustica e di atmosfera, con una geometria della pista che portasse il pubblico (che la vuole ariosa) il più possibile vicino ai ciclisti (che la preferiscono calda). Per Taylor, il progetto olimpico nel complesso è stato "un modello che dimostra come si possa ottenere di più con minori risorse".

Come gli altri due studi d'architettura, Zaha Hadid Architects (ZHA) non aveva mai realizzato prima una sede sportiva, un particolare che, secondo Serota, la giuria del concorso ha considerato subito con favore, nella "convinzione di lanciare una sfida ad architetti dotati di capacità di rispondere in modo inventivo, convinzione giustificata dal risultato". Per Jim Heverin, direttore associato di ZHA, le risposte al "difficilissimo sito dell'East End" danno ai risultati il valore di prese di posizione sul progetto di Londra. Il centro ha attraversato varie versioni ed è stato reso più compatto (il Water Cube di Pechino era molto più grande) ma ha conservato l'essenza del progetto. "Abbiamo cercato di creare un padiglione nel parco, molto fluido, aperto e trasparente, che incoraggiasse il pubblico a entrarci e a usarlo (e anche a osservare e a provarne i trampolini scultorei). Il paesaggio rimane il più vicino possibile, in modo che mentre si nuota ci si senta vicini al parco. Il linguaggio si inserisce nel discorso più vasto del parco". L'impegno a dare un posto sulle mappe alla parte orientale di Londra tramite la creazione di un nuovo quartiere a destinazione mista che rispondesse allo "smisurato bisogno di nuove abitazioni" in definitiva ha aiutato Londra a vincere la scommessa. Questa attenzione alle esigenze di lungo periodo della città va controcorrente rispetto allo spirito di parecchie Olimpiadi, visto che mentre Monaco nel 1972 e Barcellona nel 1992 "hanno lasciato dietro di sé dei buoni modelli", ha affermato Burdett, "l'impostazione di Atene ha dimostrato sprechi nelle infrastrutture e negli investimenti". Come a Pechino, una sede spettacolare come il Nido progettato da Herzog & de Meuron sarebbe stata "poi inutilizzabile per chiunque". Ma, anche se non con il telegenico Nido, la Cina ha comunque fatto dei progressi, secondo l'ONU. Il suo Rapporto sul programma per l'ambiente del 2009 ha rappresentato un grande slancio ambientale in direzione della creazione di un Olimpiade ecologica dotata di numerose sedi che garantivano un'eredità verde ai progetti urbanistici a venire.

Benché Altman non abbia presentato la nuova guida alla sostenibilità della LDDC che ne illustra gli obiettivi a fondo – dal riciclo all'uso dell'acqua, ai 45 ettari di habitat della biodiversità – la sostenibilità del progetto delle Olimpiadi di Londra è stata definita una strategia urbanistica di adattabilità: l'obiettivo, grazie a sedi riciclabili ed ecologicamente compatibili, è apportare dei cambiamenti subito dopo la conclusione dei Giochi, in modo da portare a compimento il resto del nuovo quartiere. Ma che tipo di identità avrà il quartiere del XXI secolo? Tanto Altman quanto Burdett hanno tratteggiato la visione di una specie di nuova città giardino del XXI secolo "che porta la natura dentro la città", il che si spera significhi scongiurare il carattere suburbano della città giardino del XX secolo. Altman è animato dall'idea di "vasti spazi pubblici, con la città che si sviluppa intorno a essi" e cita il passato quando perfino il South Bank di Londra "veniva considerato ai confini della città". "E quanto alla coesistenza dei cittadini, come si crea una comunità mista?", ha chiesto qualcuno dalla platea. La porosità è d'aiuto: se il contesto all'inizio del progetto era attraversato da un'unica strada, oggi è molto più interconnesso grazie a passerelle che lo percorrono in ogni senso. Ci sarà una certa atmosfera da sito sperimentale. Sarà vitale il dispiegamento delle risorse della comunità. Le statistiche per gli agglomerati di aree residenziali miste indicavano una tendenza in direzione di abitazioni economiche – forse non abbastanza, dato che tante persone sono tagliate fuori dai prezzi delle abitazioni londinesi. Il primo progetto residenziale realizzato, il Villaggio degli atleti, destinato a essere noto come l'East Village, avrà 2.818 nuove abitazioni con un misto al 50 per cento di case a basso prezzo e mutui. Nell'insieme del piano, il 35 per cento delle 8.000 abitazioni a emissioni zero sarà a basso prezzo, con una differenziazione delle tipologie abitative e con l'insediamento ad alta densità di Chobham Manor accanto al parco, il primo complesso residenziale a essere completato (nel 2015) per fare da punto di riferimento, con oltre il 70 per cento di case a terrazza per famiglie, cosa vitale per ragioni demografiche, fino a quando non coesisteranno abbastanza tipologie alternative.

Nessuno ha formulato domande in merito, ma l'impegno di scongiurare gli aspetti peggiori delle periferie, per non dire la ghettizzazione, è importante. Ci sono state numerose discussioni tra chi si occupava dell'identità delle zone residenziali e, benché nessuno glielo chiedesse, Altman ha orgogliosamente dichiarato: "Questa non è una comunità fortificata". Accanto all'integrazione materiale fondata sull'eccellenza delle infrastrutture di trasporto ci sarà l'integrazione sociale, ha affermato. Ovviamente quanti visitatori arriveranno da altre aree di Londra e quanto bene riusciranno a integrarsi le differenti comunità, oggi sono tutte ipotesi aperte. Ma la creazione di centri comunitari o, come li chiama l'architetto Stephen Witherford, di "luoghi di scambio" – che Altman ha in corso di realizzazione – così come l'ampia gamma di occasioni destinate a uso, manifestazioni e attività di 'imprese temporanee' – il che contribuisce alla loro definizione di urbanistica soft o microurbanistica – pare suggerire che il luogo sarà vivacissimo e potenzialmente capace di offrire qualcosa a chiunque. Dal punto di vista spaziale può funzionare come un patrimonio culturale che sia contemporaneamente un'attrazione per i visitatori e un luogo dove vivere? Il centro di Londra già lo fa, ma per molti aspetti, ovviamente, lo spazio è oggetto di contesa.

Quanto alla sostenibilità economica e sociale del nuovo quartiere a Giochi finiti, Altman ha osservato che la struttura istituzionale della LLDC, impresa proprietaria dei terreni su cui costruiva, le conferiva una straordinaria risorsa per realizzare i propri obiettivi. "Con il libero mercato proprio non capita così, tipicamente." Ma curiosamente è stato proprio il libero mercato, nella forma della LendLease, della London & Continental Railways e della Westfield, a essere il primo promotore di Westfield Stratford City, compreso il nuovo centro commerciale di 175.000 metri quadrati (uno dei più grandi d'Europa) e la Stazione internazionale, punto d'arrivo di chiunque raggiunga il sito in treno. L'incontro alla LSE riguardava il carattere di patrimonio cultural del quartiere e tre delle sue sedi olimpiche, e non ha innescato dibattiti sull'identità di ciò che già si sta rivelando sul posto come una densa miscela di produzione, vendita al minuto, tempo libero e unità residenziali. Tornando a piedi dal Parco olimpico alla stazione ferroviaria di Stratford, è difficile notare un qualunque tentativo degli architetti della città di Stratford di creare edifici complementari al parco stesso, e perciò si spera che l'integrazione dei due piani regolatori venga discussa in autunno, quando un'ulteriore incontro verrà organizzato presso LSE Cities su questo aspetto del progetto. La natura decisionista del progetto olimpico è chiara, ma la pianificazione soft delle fasi di adattamento del programma, che mira a far nascere nuove sedi comunitarie, dovrebbe consentire il tipo di sviluppo rizomatico, dalla base, destinato a integrare realmente questa parte di città come "patrimonio vivo di cultura" nel vasto e dinamico territorio londinese e nell'immaginazione popolare. Burdett è ottimista: "È un tessuto molto elastico… Con il tempo si avrà una mescolanza armonica. Nutrirà fenomeni di cui non sappiamo nulla perché – con il tempo – si faranno sempre più complessi anziché più semplici".

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