Moments è un oggetto, una poltrona, disegnato grazie all’Intelligenza Artificiale. Ma il processo che c’è dietro alla creazione di Lashup, studio di Firenze composto da Claudio Granato ed Enrico Pieraccioli, non usa l’AI in modo convenzionale, ma ne sfrutta i limiti, ovvero le sue “allucinazioni”. Per capirlo, occorre fare un passo indietro.
La Gioconda con il volto di un cane. Pesci palla che galleggiano nella Notte Stellata di Van Gogh. Gatti che si fondono l’uno con l’altro richiamando lo stile di Dalì. Esattamente dieci anni fa nasceva DeepDream: uno dei primi software di intelligenza artificiale appositamente progettato a scopi artistici e in grado di rielaborare le immagini che le vengono date in pasto in uno stile a metà tra l’onirico e il surrealista.
Come scrive l’artista e ricercatrice britannica Anna Ridler, DeepDream – sviluppata nel 2014 da Google – “trasforma l’immagine al fine di ottimizzare ciò che vede in essa, accrescendo la similitudine tra ciò che esiste e ciò che percepisce: una dimostrazione paradigmatica di lettura di ciò che non è mai stato scritto”.
L’effetto onirico creato dalle immagini rielaborate da DeepDream è quindi il frutto delle istruzioni che l’algoritmo ha ricevuto dai suoi programmatori: per esempio, “vedere” dei pesci in un’immagine in cui di pesci non ce ne sono; forzando ad “accrescere la similitudine” tra ciò che è realmente presente nell’immagine e ciò che invece l’algoritmo vuole vederci.
Vi ricorda qualcosa? La capacità dell’intelligenza artificiale di “accrescere la similitudine” è l’equivalente digitale della pareidolia – dal greco èidōlon (“immagine”) e parà (“vicino”) –, l'illusione che porta l’essere umano a ricondurre a forme note ciò che invece ha una forma casuale. La pareidolia opera ogni volta che riconosciamo immagini di qualunque tipo nelle nuvole, che individuiamo un volto nei segni del legno o un animale nelle macchie di umidità sul muro. È quella che Walter Benjamin, come segnala sempre Anna Ridler, considera la nostra facoltà mimetica: la capacità dell’uomo di “riprodurre e riconoscere la similitudine”.
È una sfida alla definizione di realtà, invitando a esplorare il confine tra ciò che è reale, ciò che è generato dalla mente umana e ciò che è prodotto dalla macchina.
DeepDream ha rappresentato uno dei primi e più significativi casi in cui abbiamo iniziato a confrontarci con la creatività dell’intelligenza artificiale e a creare paralleli tra le sue percezioni illusorie e le nostre. Da allora, non abbiamo più smesso. Anzi, abbiamo continuato a indagare il fenomeno e abbiamo anche imparato a usarlo a nostro vantaggio.
Come già avvenuto con le pareidolie, oggi abbiamo individuato nelle macchine anche dei fenomeni simili alle allucinazioni visive, che – secondo quanto segnala un testo dell’Università di Padova – sono “fenomenologicamente molto simili alle pareidolie” e rappresentano uno stato di coscienza in cui l’individuo percepisce cose che non hanno una base oggettiva.
L’allucinazione dell’AI
Con “allucinazione dell’intelligenza artificiale” si intende però generalmente qualcosa di molto più specifico, ovvero le occasioni in cui un sistema linguistico come ChatGpt presenta come se fossero dei fatti delle informazioni invece errate o completamente inventate. In poche parole, nel processo di rielaborazione statistica dei materiali presenti nel suo dataset, il sistema di intelligenza artificiale si smarrisce, perdendo di vista – se così si può dire – la relazione tra la richiesta iniziale, il contesto, le sue fonti e il modo appropriato di combinare tutto ciò. Come nelle allucinazioni umane, anche l’intelligenza artificiale “vede” – o almeno riporta per via testuale – qualcosa che invece non esiste. Qualcosa che è il prodotto della sua immaginazione.
Individuare fenomeni come la pareidolia o l’allucinazione nelle macchine è probabilmente a sua volta una nostra illusione: una antropomorfizzazione di meccanismi che hanno spiegazioni logiche, matematiche e informatiche. È un cortocircuito che dice forse poco delle intelligenze artificiali, ma racconta molto del fascino dell’essere umano nei confronti di questi sistemi, che ci spinge a ritrovare anche nelle elaborazioni – o semplicemente negli errori – di un codice informatico i fenomeni più misteriosi della nostra mente.
Questa relazione tra essere umano e macchina è stata indagata a fondo anche a scopo artistico, con risultati molto più raffinati di quelli – intriganti, ma poco elaborati concettualmente – di DeepDream. È il caso dei lavori di Refik Anadol, artista turco-americano che a partire dal 2016 ha creato una serie di progetti artistici chiamati proprio “Machine Hallucinations”. L’obiettivo di Anadol è creare delle esperienze immersive che simulino la prospettiva di un cervello-macchina che sta vivendo delle allucinazioni, basate su una elaborazione spontanea e incontrollata dei dati presenti nel suo dataset.
Moments di Lashup
Il rapporto tra essere umano, macchina e il concetto di allucinazione è stato sfruttato anche nel campo dell’architettura e del design. Uno dei casi più recenti è appunto il progetto Moments di Lashup.
Moments è un oggetto, una poltrona, che è il risultato del rapporto tra designer, macchina e le allucinazioni in lei indotte attraverso l’inserimento nel sistema di generazione immagine di parole chiave come “corpo”, “narrativa”, “relazione” e “sentire”, che sono oggetto di ricerca dello studio. Come spiega proprio Lashup, “queste parole, se combinate, generano dei layout che non sempre hanno un collocamento immediato nella realtà, generando un extempore utile a creare un elemento inaspettato, soprattutto se contestualizzato nella dimensione reale”.
Moments “è una sfida alla definizione di realtà, invitando a esplorare il confine tra ciò che è reale, ciò che è generato dalla mente umana e ciò che è prodotto dalla macchina”. Il risultato è un oggetto che è una poltrona o forse gli assomiglia soltanto, richiamando ancora una volta la pareidolia. È un oggetto che ci aspettiamo sia morbido e nel quale sprofondare, ma che forse ci sta ingannando. La cui superficie riflette la nostra immagine distorta, creando un ulteriore strato di significato.
Moments, la cui recente esposizione a Milano, è stata accompagnata da una mostra intitolata proprio “Allucinazione”, sottolinea e amplia le analogie e le differenze che emergono nei processi creativi dell’essere e della macchina. Che racconta come le limitazioni dell’intelligenza artificiale possono diventare non solo un’area di studio, ma una possibilità creativa, per dare vita all’inaspettato e potenziare, in conclusione, le nostre capacità percettive e immaginifiche.