Addio a Jordan Mooney, volto del design Punk e musa di Vivienne Westwood

Performer, modella, attrice, ha incarnato il Punk come arte nella Londra dei Settanta.

In una celebre fotografia del 1976 che immortala la facciata rosa pastello della boutique di Vivienne Westwood e Malcolm McLaren in King’s Road, Chelsea, si può notare una figura femminile. Il look definito da un beehive biondo da America della Atom Age e da un body nero, tanto attillato quanto affilato è il suo trucco. Al suo fianco, un uomo di mezz’età, in abito, la osserva perplesso. Quasi come se i due appartenessero a epoche diverse, a suggellare un passaggio generazionale come solo il design applicato alla moda sa fare. Lei minacciosamente giovane e scura, lui tutto un’attempata zampa d’elefante.

Alle sue spalle un'immensa insegna avvolta in tessuto setoso, anch’esso rosa: SEX. Questo il nome del negozio che una volta risucchiato i clienti nella sua semi-oscurità – quasi una metafora dell’organo sessuale femminile – proponeva un insieme di capi vintage degli anni '50 e pezzi mutuati dalla cultura bondage, tra latex, gimp mask e spille da balia.

La ragazza, appena ventenne, è Jordan Mooney, all’anagrafe Pamela Moore. Originaria di Seaford, nella pacifica contea dell’East Sussex, Mooney non poteva che scegliere vita più distante da quella delle sue origini, abbracciando la nascente scena punk e diventandone icona immarcescibile e genuina fino alla sua scomparsa, avvenuta ieri all’età di 66 anni. 

Jordan posa con un'acconciatura alla Margaret Thatcher per un poster per la performance 'Sad sex for the Seventies'.
Jordan posa con un’acconciatura alla Margaret Thatcher per un poster per la performance ‘Sado Sex for the Seventies’. Foto Westwood Archive

Amica e modella di Vivienne Westwood, che assieme al compagno Malcolm McLaren stava sovvertendo radicalmente la moda giovanile britannica, Jordan incarnava per le strade di Chelsea un’estensione fisica delle visioni dei due designer. 

Pendolare, Mooney ogni mattina prendeva il treno dalla costa del Sussex per andare a lavorare nella boutique londinese. Ça va sans dire, i suoi outfit in PVC erano pericolose provocazioni agli occhi dei passeggeri. Così British Railway – come ricorda la ragazza in un’intervista del tempo per la BBC – le consentiva di accomodarsi in prima classe con un biglietto di seconda, per tutelare lei o forse il perbenismo dei compagni di scompartimento.

Lo stesso scatto è stato recentemente utilizzata per la copertina di una raccolta (SEX: Too Fast to Live Too Young to Die) a cura di Marco Pirroni (membro fondatore di Siouxsie & The Banshees) che fa riscoprire i dischi che suonavano nel juke box della boutique, accanto al quale Jordan amava farsi ritrarre. Sorpresa: niente punk, anzi vecchio rock ’n roll anni ‘50 e garage texano dai toni psichedelici. Sono infatti quelle canzoni e questa fotografia a illustrare – meglio di tante altre – cosa fosse il punk, lampo situazionista, prima che finisse vittima di se stesso. 

Il make-up costruttivista di Jordan in una scena di Jubilee, Derek Jarman, 1978. Foto: frame da film.
Jordan Mooney sulla porta della boutique SEX di Vivienne Westwood e Malcolm McLaren, Londra, 1976. Foto Sex – Too Fast To Live To Young To Die, Stranger Than Paradise

Il punk era, soprattutto, arte, applicata ora alla moda, ora alla musica e alla performance. E Jordan Mooney ne è stata volto, musa e tela. Anzi, il suo volto ha saputo essere tela di make-up improbabili, e coloratissimi, che riflettevano le radici costruttiviste e futuriste del punk. 

La graphic designer londinese Raissa Pardini, che la conobbe durante la stesura della sua biografia (Defying Gravity, Omnibus Press), la ricorda con affetto: “Indossavo un basco di pelle, un giacchino in vinile e una t-shirt dei Modern Lovers. Inevitabile non mettersi subito a fare gossip. Aveva un modo di parlare e ascoltare unico, sapeva darti spazio ed era interessata a tutto quello che dicevi. Mi diceva di mettermi in proprio e di non prenderle da nessuno quando si parlava di arte. E così fu un anno dopo.” 

Oggi ritornano in mente le sue parole nel film Jubilee (1978) di Derek Jarman. “Fa dei tuoi sogni realtà.”

Jordan nei panni di Amyl Nitrate si esibisce in una versione di “Rule Britannia” nel film Jubilee di Derek Jarman, 1978.

Nella pellicola – una folle e sgangherata visione che in occasione del Giubileo del 1977 (già soggetto del celebre e oltraggiosos Boat Party sul Tamigi dei Sex Pistols) cala la regina Elisabetta I nella Londra accelerata e nichilista del tempo – Jordan, nei panni di Amyl Nitrate, interpreta una Boadicea in calze a rete verde fluo che orgogliosa intona una versione camp e sincopata, tra il reggae e i Clash, di “Rule Britannia”. 

Sospesa tra un tè al latte e una chitarra elettrica, tra la monarchia e figure come Jordan Mooney, questa è l’Inghilterra fatta di pastiche di visionaria rottura e dissacrazione in fondo patriottica che tanto ha dato – e continua a farlo – all’arte e alla cultura pop. 

Con l’attesa serie TV sui Sex Pistols diretta da Danny Boyle (Trainspotting) in arrivo, la celebrazione dell’opera di Jordan non può che essere un auspicio di riscoperta del punk per una nuova generazione. Se ne sente più che mai il bisogno, in una società dove la costante ossessione per il pre-order (dai musei ai ristoranti) e il tracciamento ha castrato ogni forma di spontaneità, artistica e sociale. 

Immagine di apertura: Il make-up costruttivista di Jordan in una scena di Jubilee, Derek Jarman, 1978. Foto frame da film

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