Addio a Vanni Pasca: serve la storia del design?

È scomparso lo storico e critico del design, Compasso D'Oro alla carriera, collaboratore di Domus dagli anni Ottanta: lo ricordiamo riproponendo un suo testo pubblicato sul numero 944 del magazine.

Indagatore implacabile e ironico del design nelle sue evoluzioni e applicazioni, lungo un’epoca in cui l’oggetto si faceva sempre più linguaggio e comunicazione, Vanni Pasca era partito dalla laurea in Architettura verso una lunga carriera di docente, teorico e storico — la sua Storia del Design scritta con Domitilla Dardi è del 2019. Ha insegnato in molte prestigiose università, tra cui quella di Palermo dove ha diretto i corsi di laurea e dottorato in Design, ed è stato consulente per le principali aziende italiane, oltre che curatore di mostre dalla Triennale di Milano a Rio de Janeiro. Lo scorso anno, a settembre, è stato insignito del Compasso d’Oro alla carriera. Critico acuto e prolifico, è stato presenza fissa su Domus fin dai primi anni ‘80.

Lo ricordiamo con questo articolo, “Serve la storia del design”, apparso originariamente su Domus 944, febbraio 2011.

“Si è da poco costituita l’Associazione Italiana degli Storici del Design con l’obiettivo di promuovere la conoscenza e gli studi storici sul disegno industriale. Si spera che possa contribuire a sviluppare il dibattito e il confronto su questi temi, che sono questioni storiche e problemi dell’oggi.

Assistiamo al modificarsi del concetto e della prassi del design, con una complessità ancora in parte da definire. Fino a qualche anno fa, si ragionava sulla presenza del design in pochi Paesi: oggi si fa design in tutto il mondo perché gli Stati investono in design, considerato un plus non solo per le aziende, ma anche per i sistemi-Paese, nella competitività internazionale indotta dalla globalizzazione. Insieme cresce il numero dei designer, dei docenti e degli studenti di design: si passa da una professione di élite a una professione diffusa sui territori. Infine, non c’è quasi tipo di prodotto non investito dai processi di estetizzazione attivati dal design, in modo da poter competere sui mercati globalizzati.

Ma design significa anche progettazione di artefatti visivi, informativi e comunicativi, virtuali. La distanza tra i due tipi di progettazione si affievolisce: è ormai nel rapporto tra comunicazione visiva e materialità del prodotto che si gioca la competitività di esso. E la progettazione della corporate image si è sviluppata nel design strategico, nel design degli eventi, nel design per la valorizzazione delle risorse territoriali.

C’è da aggiungere che, in questo panorama, cresce l’aspetto ‘connotativo’: si parla di design art, luxury design, strategic design, design for all, e-design, human-centered design, design for sustainability, social design e così via.

Di fronte a tale complessità, a cosa può servire la storia del design? Oggi noi sappiamo che si fa storia interrogando il passato a partire dai problemi e dai saperi che la contemporaneità presenta. E che occorre una storia del design con una sua autonomia, ma insieme interconnessa con la storia della tecnica, dell’economia... Gli storici dell’economia parlano di più fasi della rivoluzione industriale, caratterizzate ognuna da fattori riferiti all’energia, alle scoperte scientifiche e così via; noi viviamo la terza fase della rivoluzione industriale. Sembra utile definire per il design i fattori di continuità ma anche il suo diverso esprimersi di fase in fase.

Occorre una storia del design non lineare per far emergere come dall’Ottocento – che ha visto lo scontro tra cultura romantica e cultura razionalista, tra nostalgia della comunità con apologia dell’artigianato e adesione ragionata alla società industriale – al Novecento – diviso tra etica-estetica delle avanguardie e design orientato al mercato – si passi oggi a una fase caratterizzata dalla mondializzazione e dalla digitalizzazione.
Si assiste all’affievolirsi del paradigma fordista, ma non alla scomparsa dell’industria, che non ha mai conosciuto un’estensione analoga (si pensi all’India, alla Cina, persino ai recentissimi sviluppi in alcuni Paesi africani). In questa nuova fase, “parrebbe che le energie utopiche si siano esaurite” (Habermas); oppure c’è spazio “per una nuova utopia”, dichiarando estinte le precedenti (quella del “bello/utile per tutti tramite l’industria” e quella dostoevskijana de “la bellezza salverà il mondo”)? Oppure non c’è più spazio, ma neanche necessità, di nuove utopie?”

Opening image :
Vanni Pasca. @Monica Montesano, Wikimedia Commons

Ultime News

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram