Design Miami/: W Hotels Designers of the Future Award

La prima edizione di Design Miami/ diretta da Marianne Goebl, ha visto protagonisti l'architetto inglese Asif Khan, lo studio viennese mischer'traxler e lo studio juju di Singapore.

Alla fine di ogni primavera, in giugno, W Hotel Designer of the Future premia un gruppo di giovani designer il cui lavoro sia caratterizzato da nuove ricerche estetiche, dall'uso innovativo della tecnologia e dalla contaminazione con altre discipline. Quest'anno una giuria di dodici persone tra le quali ricordiamo Mike Tiedy, SVP Global Grand & Innovation Starwwood Hotels, Kenya Hara, direttore creativo di Muji, Kostantin Grcic e Aric Chen, responsabile di Beijing Design Week ha premiato l'architetto inglese Asif Khan, lo studio viennese mishler'traxler e lo studio juju di Singapore.

A tutti loro è stato richiesto di presentare a Design Miami/ Basel un "Conversation Piece", ovvero un progetto capace di stimolare la conversazione e il dialogo tra persone provenienti da paesi e culture differenti, con l'obiettivo di offrire ai visitatori un regalo inatteso, attraverso il contatto umano, prodotto dal continuo crossover del design con il resto del mondo.

Asif Khan è un giovane architetto inglese, premiato dal MoMA e segnalato dal New York Times come uno dei cinque designer da tenere sott'occhio quest'anno. Khan presenta a Design Miami/ Basel Cloud una macchina per fare delle nuvole di bolle di sapone. Un piccolo plotone di bombole, che ricorda l'omonima opera di Lara Favaretto, collegato con una valvola a tempo, immette elio in una serie di contenitori cilindrici, semplicemente bianchi, appena sollevati dal pavimento. La schiuma da bagno contenuta in questi ultimi si addensa e si solleva lentamente verso l'alto, deformandosi come una nuvola per poi venire catturata da una rete da pesca tesa sul soffitto da cui, dopo qualche ora, inizia a cadere una pioggia leggera.
Quando W Hotels gli chiede di disegnare un "conversation piece" per Design Miami/ Basel, Asif Khan è nella vasca da bagno che sta giocando con la schiuma, insieme a suo figlio. Ha studiato architettura e quelle forme di Fiam Fluid Euro Lite (il suo bagnoschiuma), che ha scolpito intorno alla vasca, gli fanno immaginare uno spazio archetipo dove degli uomini immersi nella natura conversano sotto un albero, accarezzati dalle ombre delle nuvole. Allora inventa una macchina capace di riportarci in quel luogo onirico che abbiamo abitato fin da bambini. Usa materiali molto comuni come l'acqua, il sapone e l'elio dei palloncini. Non tenta di imitare un elemento atmosferico, e con una semplicità affascinante, incanta.

Il suo lavoro, che ama definire aperto, incrocia molte discipline, dall'architettura al design, all'arte contemporanea. Fonde high e low tech, manualità artigianale e cultura di progetto. Per Khan il design non dovrebbe imporre un metodo, "perché è qualcosa che cresce e crea ogni volta nuove situazioni e nuovi contesti. È dunque un modo per entrare nelle favole e viceversa".

Sia quando disegna un oggetto come Cloud o un'architettura come il West Beach Café, il designer inglese racconta un'architettura fatta di nuvole o un bar le cui finestre fuori scala ci fanno precipitare nella casa delle bambole che ha ispirato il progetto. Il suo sofisticato lirismo, sospeso fra nostalgia e ricordo, è pervaso della leggerezza di un'ingenuità ritrovata sintonizzata su una frequenza che arriva direttamente a chiunque, senza il bisogno di aggiungere altro. "Non è stato necessario spiegare che un sistema elettronico calibra la pressione dei gas affinché le la schiuma si sollevi nell'aria per assomigliare alle nuvole. La gente si siede le guarda rapita per ore".
mischer'traxler è uno studio viennese composto da due giovani designer austriaci: Katharina Mischer e Thomas Traxler. I due si sono conosciuti in università e hanno frequentato insieme la Design Academy a Eindhoven, dove hanno poi presentato il loro lavoro al Designhuis. Premiati con l'Austrian Experimental Design e con il DMY Award, mischer'traxler, a Design Miami/ Basel presenta It takes more than one un'installazone composta da due oggetti e da una macchina per produrre vasi.
Un progetto capace di stimolare la conversazione e il dialogo tra persone provenienti da paesi e culture differenti, con l'obiettivo di offrire ai visitatori un regalo inatteso
La macchina è costituita da un robot che avvolge un nastro sottile di legno, per formare un vaso dalla forma conica, che viene successivamente colorato da quattro pennarelli distribuiti simmetricamente intorno ad esso. Una serie di sensori, posti nella struttura che sostiene il robot, fa sì che il lavoro continui solo nel caso in cui essi avvertano la presenza di qualcuno in prossimità della macchina, che solo in questo caso avvolgerà il vaso, producendone uno al giorno. Esso pertanto sarà tanto più grande e più colorato quante più persone si saranno avvicinate ad osservare il robot mentre lavora.
Più semplici ma non meno efficaci sono due lampade, che siamo soliti immaginare ciascuna con la propria lampadina, ma che qui sono state unite da un unico corpo luminoso, in questo caso un tubo fluorescente bianco. Il lavoro di mischer'traxler si colloca a cavallo tra un'installazione e un oggetto di design vero e proprio, ma a fare la differenza non è il loro approccio al design, totalmente concettuale ma il contesto in cui vengono collocati i loro oggetti. Esposti in un museo essi possono assomigliare ad un'opera, in una vetrina al design.

Il modo di lavorare del duo austriaco è assolutamente procedurale, si sviluppa come un teorema di cui vengono prima decisi gli assiomi. A volte applicano il metodo scientifico trial and error che, ad esempio, nel tentativo di ottenere dei contenitori con frutta e verdura, dopo alcuni fallimenti, conduce i due designer a Reversed Volumes, una serie ottenuta con il negativo della forma degli ortaggi. Mischer'traxler descrive il proprio lavoro "lento, come Vienna". E la cultura austriaca come una risorsa di interessanti abilità tecniche, incastrate nello yodel nazionale, che pertanto vengono usate in modo non contemporaneo.
Lo studio juju è composto da Timo Wong e Priscilla Lui che hanno presentato un loro lavoro quest'anno al Salone Satellite a Milano. A Basilea allestiscono la struttura di una tenda, bianca, che delimita un'area in cui sono raggruppate alcune sedie blu, quasi elettrico, quasi Klein. La forma organica della tenda dovrebbe creare quell'intimità che spinge ad iniziare una conversazione, o per lo meno a riunire delle persone sotto lo stesso tetto. La sua struttura in acciaio, priva del tessuto di copertura e quindi immediatamente accessibile lungo l'intero perimetro, secondo i due designer di Singapore, dovrebbe facilitare gli incontri.
Wong e Lui, che si sono conosciuti giovanissimi, sostengono che un oggetto deve definire un'estetica mentre assolve a delle funzioni. Anche se A tent, non sembra un progetto completamente risolto, gli oggetti dei due designer di Singapore, come ad esempio la Juju name card, Orbit Ruler o la Drums Series, sono spesso in equilibrio instabile tra funzione e scultura ed elaborano un linguaggio molto preciso che, nonostante la sua semplicità non è più minimale perché la precisione della loro forma contiene sempre degli elementi inaspettati che rivelano una ricerca, una complessità e una calibrata follia. Pierfrancesco Cravel

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