LagosPhoto 2017

Azu Nwagbogu, direttore artistico del festival di fotografia LagosPhoto, ci anticipa l’edizione 2017 curata da Duro Olowu, che analizza la ricerca e l’espressione della verità nella società contemporanea.

Abraham Oghobase
Il festival LagosPhoto è un’antologia di storie. Di persone, individualità, identità, fatti e natura; tutti con un tema comune: l’Africa. Sul terreno spurio di un Paese fatto di 54 stati con radici, culture, religioni ed economie diverse, da otto anni si confrontano fotografi africani e internazionali, con la voglia di narrare un Paese diverso da quello che la cronaca ci rimanda ogni giorno.
Il festival sottintende, dunque, un modo autentico di parlare del nostro tempo. Ha posto tante domande, e fornito molte risposte e, anno dopo anno, ha lasciato dietro di sé un discorso fecondo e quelle tracce sulle quali è stato possibile ricostruire l’identità di un’Africa moderna, nella quale gli africani sappiano riconoscersi, distante dai modelli stereotipati o esotici. Azu Nwagbogu direttore artistico del festival ci anticipa alcuni dei contenuti dell’edizione 2017 curata da Duro Olowu (Lagos 21 ottobre – 20 novembre)
Vivien Sassen, On The Road To Machame
Vivien Sassen, On The Road To Machame

Riccarda Mandrini: Ogni edizione di LagosPhoto è incentrata su un tema che implica complesse questioni culturali, politiche ed economiche in grado di dar forma alla nuova Africa. Il titolo del festival di quest’anno è “Regimes of Truth” (“Regimi di verità”) e analizza la ricerca e l’espressione della verità nella società contemporanea, ispirandosi alle opere di pensatori, saggisti e filosofi del XIX e XX secolo. Ma che cos’è questa verità?

Azu Nwagbogu: Come sai, la fotografia implica una dicotomia, e spesso si associano le immagini al fatto che una certa cosa sia vera, ma i fatti non coincidono sempre con la verità. I fatti sono la struttura o gli attrezzi in base ai quali stabiliamo la verità. E diamo anche per scontato che quando vediamo un’immagine questa ci dia delle informazioni precise, fattuali; vogliamo anche analizzare tutti i diversi modi  e le varie tensioni tra la verità e le immagini che vediamo, e che cosa significhi rappresentare la verità, che cosa sia reale e che cosa non sia reale, e la luce che tutto ciò proietta sulla nostra comprensione della società contemporanea. Sono tempi difficili per il linguaggio della fotografia, in termini di espressione e condivisione/distribuzione delle immagini.

Muchiri Njenga, KT II
Muchiri Njenga, KT II

Riccarda Mandrini: Quali sono i fotografi e gli artisti che hanno meglio messo a fuoco la nuova concezione dell’Africa e degli africani?

Azu Nwagbogu: Ogni singolo artista o fotografo abbia partecipato alla mostra nel corso degli anni: Joana Choumali, Fabrice Monteiro, George Osodi, Viviane Sassen, Kadara Enyeasi, Muchiri Njenga, Kadara Enyeasi, Abraham Oghobase, Fati Abubakar, Aisha Augie-Kuta… Una lista infinita.

Riccarda Mandrini: Dopo sette edizioni di LagosPhoto è forse il momento di fare un bilancio. Che cosa consideri un successo e che cosa cambieresti?

Azu Nwagbogu: Fare un bilancio è molto importante, esaminare che cosa si è fatto in tutto questo tempo. Il grande successo del festival è la comunità che stiamo costruendo. Costruire una comunità richiede tempo. Ciascuno deve avere un suo ruolo, costruire una comunità di persone che si impegnano. Quindi non è questione di esperti, di nomi, di gente famosa, è questione di persone che si impegnino, che vogliano partecipare; e credo che ci siamo riusciti. Un’altra cosa che siamo riusciti a fare è contribuire a cambiare il modo in cui, come persone, vediamo noi stessi. Grazie al nostro successo altri possono trovare strade differenti perché condividiamo storie reali e suggestive. Quanto all’immagine dell’Africa come la vede il resto del mondo, è ovvio che dovremo continuamente sfidare la narrazione dominante continuando a fare quel che facciamo, ma il punto non è tanto contrapporsi a questa narrazione quanto raccontare le nostre storie. Sull’Africa e sulle persone da cui dipende il nostro futuro.

Kadara Enyeasi, Wilcoh
Kadara Enyeasi, Wilcoh

Riccarda Mandrini: Nel corso degli anni con il vostro lavoro avete ottenuto grandi risultati…

Azu Nwagbogu: Vorrei aver avuto più tempo per ottenere più appoggio. Collaboriamo anche con l’African Art Foundation e, insieme, abbiamo organizzato negli ultimi nove anni un concorso annuale d’arte africana, questa è la decima edizione. Per tornare al festival LagosPhoto, vorremmo avere maggiore disponibilità di spazi pubblici e organizzare più mostre per una comunità più vasta.

Fabrice Monteiro, The Profecy
Fabrice Monteiro, The Profecy

Riccarda Mandrini: Organizzare più mostre per una comunità più vasta. Ora che il festival è una realtà ben consolidata, avete mai pensato di trasferirlo in un’altra città nigeriana? Una manifestazione come LagosPhoto può essere una grande occasione per l’economia di una piccola città, per gli abitanti del posto potrebbe essere l’occasione di entrare a far parte della comunità che state costruendo…

Azu Nwagbogu: Ci stiamo lavorando. Siamo sempre alla ricerca di nuovo pubblico e vogliamo che la mostra sia itinerante. Capisco che cosa vuoi dire. Abbiamo tenuto mostre in altre città dove non c’era un impegno pubblico nel campo dell’arte e ci interessa molto raggiungere chi può trarne i maggiori benefici. Negli ultimi tre anni abbiamo aperto mostre ad Abuja (la capitale della Nigeria). Ci impegniamo molto su questo punto, ma per riuscire dobbiamo prima di tutto creare una struttura logistica, cosa che prende tempo. Ma ci tengo molto a portare il nostro lavoro nei luoghi più lontani. Certamente stiamo anche lavorando in questo senso.

Joana Choumali, Emotions à nu
Joana Choumali, Emotions à nu

Riccarda Mandrini: Una volta l’architetto Diébédo Francis Kéré, del Burkina Faso, mi ha detto che in Africa, quando si vuol dire qualcosa che si ritiene importante, spesso si racconta una storia. Con LagosPhoto avete raccontato parecchie storie: qual è quella che preferisci?

Azu Nwagbogu: Quando abbiamo inaugurato il festival molti pensavano che fosse destinato alle élite più esclusive della società, ma ho scoperto che le persone più interessate, commosse e sensibili erano gente come i venditori ambulanti, gli autisti di taxi… Parecchi portavano la famiglia alla mostra. Mi piace questo aspetto del festival. In Nigeria non ci sono occasioni né spazi sufficienti dove la gente possa condividere, essere d’accordo o dissentire e discutere e avere dibattiti corretti sui temi della contemporaneità. Gli spazi espositivi forniscono spazi sicuri al discorso sociale.

George Ososdi, Lagos
George Ososdi, Lagos

Riccarda Mandrini: E per attirare l’attenzione di una vasta gamma di pubblico LagosPhoto ha varato un progetto speciale, Large Scale Outdoor Exhibitions, incentrato su una serie di immagini esposte in zone di grande traffico, che si possono vedere dalle auto o camminando per la strada…

Azu Nwagbogu: Certo, e ogni mostra all’aperto è attentamente curata con la consapevolezza del pubblico cui è destinata. Per esempio ci sono spazi vicinissimi alle scuole e perciò, quando allestiamo una mostra, pensiamo agli spazi.

Fati Abubakar, The Face Series
Fati Abubakar, The Face Series

Riccarda Mandrini: Che cosa resta quando il festival è finito, in senso psicologico e in senso fisico?

Azu Nwagbogu: Molta emozione, per me e per il mio gruppo. Quel che resta è la memoria, e la memoria è una cosa che non si può togliere a nessuno. La memoria del festival resta in tutti. Le persone ricordano dov’erano, che cosa hanno visto… Quel che creiamo è una memoria che dura per sempre.

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