MODU Architecture

Phu Hoang e Rachely Rotem, che dirigono lo studio MODU, stanno trascorrendo un anno a Roma conducendo ricerche sui ruderi dell’Italia contemporanea: progetti incompiuti in vari stadi di “modificazione atmosferica”.

MODU Architecture, Cloud Seeding, Holon (Israel), 2015
MODU è uno studio d’architettura di New York specializzato in progetti che mettono le persone in collegamento con l’ambiente. MODU, diretto da Phu Hoang e Rachely Rotem, ha realizzato progetti a New York, Miami, Pechino, Tel Aviv e Sydney. Lo studio ha vinto premi e concorsi di progettazione banditi dall’Architectural League of New York, da Creative Time e da World Architecture News. Recentemente Hoang e Rotem hanno vinto il Founders Rome Prize dell’American Academy di Roma. Stanno trascorrendo un anno a Roma conducendo ricerche sui ruderi dell’Italia contemporanea: progetti incompiuti in vari stadi di “modificazione atmosferica”. Il rapporto tra architettura e fattori meteorologici è al centro della loro attività di progetto.

Maria Luisa Palumbo: Partiamo dalla vostra attuale ricerca per l’American Academy: c’è un rapporto tra ruderi, progetti incompiuti e fattori atmosferici?

Phu Hoang, Rachely Rotem: Il nostro lavoro analizza i confini tra architettura e meteorologia nell’ambito pubblico. Il finanziamento di ricerca del Founders Rome Prize, come la nostra esperienza di soggiorno a Roma, ci permettono di mettere alla prova le nostre idee sull’impegno pubblico per l’ambiente. Un aspetto del nostro lavoro consiste nell’analizzare i rapporti tra termodinamica e dinamiche sociali nella sfera pubblica. Ci interessa il modo in cui il progetto di spazi urbani termodinamici innesca l’interazione sociale, soprattutto di gruppo.

Attualmente stiamo ripensando le piazze romane come spazi pubblici termodinamici. Mentre possiedono caratteristiche architettoniche stabili, sono estremamente variabili in termini di caratteristiche termodinamiche: nel corso di un giorno, di una stagione e tra una stagione e l’altra. La piazza è un sito di scambi termodinamici tra generazione e assorbimento del calore. Quello che ci interessa è il modo in cui questo scambio innesca nuovi tipi di comportamento sociale. Ora, durante questo inverno, il tempo piuttosto freddo e la bassa angolazione del sole fanno sì che le persone si raggruppino in cerca della radiazione solare. Sono gruppi composti da estranei che non si conoscono ma sono abbastanza vicini tra loro da essere percepiti come un’unità: dinamiche sociali spontanee innescate dalla termodinamica.

MODU Architecture, Termodynamic Piazzas, 2016
In apertura: MODU Architecture con Geotectura, Cloud Seeding, Holon (Israel), 2015; qui sopra: Thermodynamic Piazzas, 2016

Un altro aspetto del nostro lavoro per il Rome Prize è la ricerca di progetti italiani incompiuti. In Italia ci sono oltre seicento di questi progetti, alcuni dei quali risalgono a trent’anni fa. Rappresentano i ruderi contemporanei del paese. C’è perfino una Direzione ministeriale responsabile di questo patrimonio di opere incomplete! Invece di considerare questi progetti momenti di insuccesso, pensiamo alla loro condizione di incompiutezza come a un laboratorio meteorologico all’aperto. È in questi spazi incompiuti che tempo e architettura si trasformano: l’architettura si adatta al tempo e muta secondo il clima.

Di recente siamo andati a visitare la Città dello Sport di Santiago Calatrava: un enorme e incompiuto complesso romano per gli sport acquatici, la cui costruzione fu interrotta sei anni fa. L’architettura del complesso permette agli agenti meteorologici di penetrarvi e di trasformarne gli spazi. Questi ruderi contemporanei sollevano questioni interessanti sull’idea stessa di compiutezza. L’architettura deve necessariamente essere interamente conclusa – cioè ‘compiuta’? E certe zone di un edificio non sono forse aperte a rapporti variabili, differenti, mediati, adattivi con gli agenti meteorologici? Nella nostra instabile società del cambiamento – in fatto di clima, di progetti e perfino di luoghi – quando un progetto si può dire ‘compiuto’? Progettare per l’incompiutezza può diventare un gesto architettonico conclusivo?

 

Maria Luisa Palumbo: Nel vostro libro Weather in Climate: Schools distinguete tra tempo e clima, affermando che tra i due c’è una distanza cronologica che fa del tempo meteorologico un insieme di fenomeni oggettivi e misurabili, mentre il clima è un concetto più politico…

Phu Hoang, Rachely Rotem: Il tempo meteorologico viene ‘vissuto’ immediatamente e personalmente, il che implica un’innegabile plausibilità. Il clima, invece, non sembra accadere ‘in questo istante’; invisibile a occhio nudo è conoscibile solo grazie alle statistiche e ai modelli computazionali. Per questo appare facilmente disponibile alla politicizzazione, data la polarizzazione della nostra sfera politica. Pur essendo vero che la differenza sostanziale tra tempo atmosferico e clima è fondata sul tempo cronologico – il tempo accade oggi, mentre il clima abbraccia anni, decenni e perfino millenni – questa differenza non li separa, ma anzi ne rende possibile l’interdipendenza. Un modo per comprendere questo rapporto cronologico è la distinzione tra meteorologia, che è lo studio delle situazioni che si verificano nell’atmosfera, e climatologia, che è lo studio di tutto ciò che riguarda l’atmosfera. È impossibile credere nella scienza meteorologica senza far riferimento ai principi fondamentali della climatologia.

Maria Luisa Palumbo: MODU è uno studio d’architettura certificato dalla LEED. Ritenete che la certificazione sia utile a favorire un’impostazione più sostenibile dell’architettura tra gli architetti, i costruttori, le persone e le amministrazioni pubbliche? E come si arriva, secondo voi, a un modo più sostenibile di abitare il pianeta?

Phu Hoang, Rachely Rotem: Siamo uno studio accreditato dalla LEED perché per progettare ecologicamente è importante adottare una strategia plurima. Tuttavia siamo anche critici sugli attuali standard di edilizia ecologica, soprattutto perché rischiano di banalizzare il pensiero ambientalista riducendolo a un elenco di soluzioni applicative di tecnologia avanzata. Fare eccessivo affidamento sulle tecnologie sostenibili rappresenta per gli architetti un’occasione perduta di usare il metodo concettuale della disciplina per ripensare radicalmente l’architettura e il rapporto del pubblico con l’ambiente.

La nostra idea di come progredire comprende la diffusione della consapevolezza di nuovi rapporti tra architettura e tempo meteorologico. L’esperienza quotidiana del tempo è ciò che rende possibile trasformare la percezione del pubblico. Se l’architettura fosse adattabile e modificabile dal tempo meteorologico non solo si verificherebbero significativi risparmi nell’uso dell’energia negli edifici, ma si aprirebbe anche la possibilità di creare esperienze percettive. L’architettura non dovrebbe semplicemente essere separata dal tempo, ma dovrebbe trasformarlo in nuovi tipi di spazio termicamente attivo. Architetti, urbanisti e ingegneri devono praticare la progettazione attiva di ambienti e funzioni che mediano con il tempo, invece di separarsene.

Maria Luisa Palumbo: A proposito di tecnologia: quanto conta la tecnologia digitale nel rapporto delle persone con l’ambiente?

Phu Hoang, Rachely Rotem: La tecnologia secondo noi è importante quando porta a un progresso sociale. Lo sviluppo di una nuova tecnologia nasce dalla società e ne viene contemporaneamente trasformato. Usiamo le tecnologie digitali per rimetterci in collegamento con il mondo fisico attraverso l’architettura. Il nostro progetto Weather (Un)Control, sviluppato nel primo anniversario del ciclone Sandy a New York, usava un plotter generatore di elettricità statica per creare disegni grandi come una parete in base all’interazione tra elettricità statica e polveri artificiali. Abbiamo collaborato con un ingegnere robotico per creare grandi disegni di polvere che rendevano visibili gli inquinanti immateriali che permanevano nell’atmosfera interna delle case danneggiate dal ciclone.

Le tecnologie digitali hanno prodotto una quantità di dati senza precedenti. Nelle discipline del progetto la complessità cognitiva di questi dati viene fatta regolarmente ricadere sotto la voce “visualizzazione dei dati”. Uno dei nostri progetti all’American Academy di Roma comprende la collaborazione con Christoph Meinrenken, fisico dell’Earth Institute della Columbia University. Lavoriamo insieme alla traduzione dei dati climatici in atmosfere percettive di architettura che vanno oltre la semplice visualizzazione dei dati. Questo progetto interdisciplinare ci interessa particolarmente perché richiede una nuova cornice concettuale per comprendere i dati climatici in termini sensoriali al di là del visivo.

Maria Luisa Palumbo: Descrivendo il vostro padiglione Cloud Seeding, o “Inseminazione delle nuvole”, avete scritto che il progetto può far di più che soddisfare un bisogno degli utenti: può innescare nel pubblico delle esperienze coinvolgenti. Qual è l’importanza di questo progetto nel vostro pensiero sul lavoro nella sfera pubblica?

Phu Hoang, Rachely Rotem: La definizione del patrimonio delle risorse comuni – quelle disponibili al pubblico – è stata importante nel progetto del padiglione Cloud Seeding e della piazza in cui si trova. Nella piazza antistante il Design Museum Holon, il museo nazionale israeliano del design, il padiglione mette in rapporto l’atmosfera del tempo meteorologico con l’atmosfera percettiva del pubblico. La copertura sostiene trentamila sfere che si muovono liberamente secondo il vento che soffia sulla superficie. Questo movimento superiore fa sì che le attività del pubblico si svolgano nelle zone d’ombra dinamiche del padiglione, collegandone i programmi culturali e di intrattenimento con le invisibili forze atmosferiche.

Lavorare nella sfera pubblica implica invitare il pubblico a impegnarsi nell’architettura. I microclimi creati dal vento nella piazza del museo ricevono una forma fisica, mentre il soffitto mobile con le sfere attrae i visitatori. Noi non progettiamo per risultati prefissati, ma permettiamo ai progetti di rimanere parzialmente incompiuti in modo che siano ‘compiuti’ soltanto quando tempo e pubblico interagiscono. Li chiamiamo “ambienti partecipati”, perché sono dinamici sia ecologicamente sia socialmente, offrendo nello stesso tempo al pubblico esperienze differenti a ogni visita.

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