Science Fiction Urbanism

Una conversazione con Geoffrey West all'intersezione tra grandi imprese e città, architettura e reti sociali.

La settimana scorsa, al convegno annuale Digital Life Design di Monaco di Baviera, il fisico teorico Geoffrey West sedeva accanto a Jeffrey Inaba e a Bjarke Ingels in una tavola rotonda dedicata all'Urbanistica della fantascienza. West rappresentava la scienza, mentre Inaba e Ingels davano rispettivamente voce alla letteratura e all'urbanistica. Inaba ha proposto una narrativa fattibile, mentre Ingels ha presentato una nuova proposta urbanistica di "sostenibilità edonistica", riassunta nel suo progetto di impianto per la produzione di energia dai rifiuti che assume la forma di un pista da sci al centro di Copenaghen.

Dal suo canto West, professore emerito ed ex preside del Sante Fe Institute, è un esperto di fisica delle particelle ed è più interessato ai principi fondamentali del mondo – le leggi di base che permettono di capire come funzionano i sistemi, dalla foresta all'organismo dinamico della città – più che alle minuzie quotidiane. La sua posizione è stata chiara: si può iniziare a cambiare il mondo solo una volta che lo si sia compreso.

La sua scienza ci dice che, fondamentalmente, più grandi sono le città maggiore è la loro sostenibilità. Che quando una città raddoppia in dimensioni, tutto aumenta del 15 per cento: si usa il 15 per cento di risorse in più, si produce il 15 per cento in più di ricchezza. La produttività della popolazione cresce del 15 per cento, la criminalità aumenta del 15 per cento e si verifica il 15 per cento in più di malattie. Per dirla con le sue parole: il buono, il brutto e il cattivo aumentano tutti del 15 per cento.

West ha discusso il rapporto tra l'analisi scientifica delle città e le reti che le costituiscono, e ha formulato l'ipotesi che i grandi gruppi imprenditoriali, come le persone, siano soggetti a un'evoluzione. Sono destinati necessariamente alla scomparsa. Iniziamo la nostra conversazione dove è terminato l'intervento di West: al punto di incontro tra grandi imprese e città, architettura e reti sociali.

Tina DiCarlo: Iniziamo da dove il suo intervento è terminato: al punto di incontro tra grandi imprese e città, architettura e reti sociali.
Geoffrey West: Mi piacerebbe parlare molto di più della vita reale, della sua origine in termini di reti e di interazione. Ci siamo resi conto che negli ultimi trecento anni il processo dominante di questo pianeta è l'urbanizzazione. I problemi che dobbiamo affrontare oggi, dal riscaldamento globale ai mercati finanziari, ai pericoli e alle malattie, nascono tutti dall'urbanizzazione. Se non elaboreremo una seria teoria scientifica, esauriente e integrata, delle città e delle grandi imprese, non faremo un passo avanti.
Nonostante la diversità degli organismi, se consideriamo una quantità qualunque, essa cresce in modo semplice. In biologia il tasso metabolico necessario per restare in vita (cioè la quantità di energia al secondo che serve a ciascuno) cresce in modo non lineare. Più si ha, meno si è. Nelle città più si è, più si ha: PIL, criminalità, brevetti, reddito. Il buono, il brutto, il cattivo. Tutto cresce sistematicamente del 15 per cento. E il ritmo della vita si fa sistematicamente più rapido. La velocità dei pedoni nelle città europee cresce sistematicamente. I sistemi adattivi complessi non possono essere presi in considerazione indipendentemente l'uno dall'altro, sono una struttura interdipendente. E perché si aggregano? Perché sono manifestazioni di interazioni sociali in rete, il che è la qualità di fondo universale, siamo noi, siamo gli unici che stanno alla base di tutto, è la nostra interazione.
Se le città crescono in modo superlineare (cioè più grandi diventano, più diventano efficienti) i grandi gruppi crescono in modo sublineare (più grandi diventano, più diventano instabili).

Il suo intervento terminava con due domande. La prima chiedeva se si possa predire la fine di gruppi come Microsoft e Google.
Davvero? Non saprei rispondere...
La cosa interessante a proposito delle città è che sono pluridimensionali. Più la città è grande, più competenze racchiude, più prodotti può realizzare. Sono cose diverse. Oggi le aziende nascono così: delle persone si siedono intorno a un tavolo con una certa idea, "facciamo un motore di ricerca"... e prima che ci se ne sia accorti sono diventati miliardari.
Ma tipicamente quando un'azienda inizia a crescere ha una burocrazia. Le città hanno una burocrazia, ma un'azienda ha una burocrazia importante perché ha dei limiti, la sua dimensionalità non è come quella di una città. Quando l'azienda cresce e ha successo con i suoi prodotti questa burocrazia si fa più grande e l'innovazione viene schiacciata.

Perché?
Perché ci sono sempre più controlli e si perde la libertà. È una propensione costante. Quando le aziende vanno male cercano di aumentare l'efficienza e tagliano la ricerca. Guardi la AT&T, la Ford General Motors: avevano grandi programmi di ricerca, e non esistono più. Si sosteneva ufficialmente che l'innovazione non è (non era) importante, che quello che conta è l'infrastruttura, il risparmio sui costi e così via. È l'inizio della fine.

È anche ciò cui lei vuole tornare: per ottenere la crescita in futuro occorre un'innovazione continua?
Esatto. E se si smette di farlo si firma, con l'andar del tempo, la propria condanna a morte. Tra l'altro che le aziende muoiano è molto importante per l'economia, proprio come è cruciale che muoiano gli esseri umani, perché vogliamo che arrivino cose nuove, novità, nuove idee. Così è l'evoluzione.

Che rapporto c'è tra i principi fondamentali che regolano le città e le reti sociali? O con il modello aziendale fondato sulle reti sociali? È il prossimo passo del suo lavoro?
Sì, esattamente. La biologia, in parole povere, è concettualmente ben chiara. Ci occupiamo di comprendere le reti: il sistema circolatorio. Il sistema respiratorio, ma anche la rete dell'ecosistema, che non è connessa. In una foresta esiste una specie di rete virtuale che la tiene in collegamento perché occorre condividere e assegnare delle risorse, e questo in un ambiente contraddistinto dalla competizione. E ciò produce una rete del flusso di risorse che ha un riflesso nel modo in cui le risorse, l'energia, l'acqua, vengono distribuite tra gli alberi. Tutto ciò viene elaborato con la matematica, con grande efficacia, e così via. Per le reti sociali non si è fatto altrettanto.

L'entropia è la condizione finale del pianeta?
Non l'entropia ma una condizione planetaria in cui gli esseri umani vivranno in un pianeta di città degradate?

Essenzialmente lei sta affermando che esiste un ciclo continuo di ringiovanimento (di crescita) attraverso l'innovazione?
Sì, il punto è tutto qui. Il guaio è che oggi bisogna farlo sempre più velocemente. E allora la domanda è: è possibile ottenere questo livello di qualità della vita e di creazione della ricchezza e di innovazione senza crescita e senza questo tipo di volano? È un grande punto interrogativo. È la domanda che mi interessa di più. E non ho una risposta, mi interessa il quadro concettuale e il modo in cui funziona.

Sta qui il massimo potenziale di cambiamento? Se si comprende il quadro (meccanico) si può iniziare a influire su di esso?
Sì. Io ci credo. È una professione di fede. Io credo nella scienza. Penso che sia sempre stato un modo per elaborare l'universo. Noi. E una delle cose che penso abbiamo imparato – qui sta la fede – è che se si capisce una cosa ciò avviene quando si riesce a entrare correttamente in rapporto con essa. Invece che sempre per prova ed errore. E con le chiacchiere. E con la speculazione. Voglio dire che ce n'è bisogno e va bene così. Fa venire le idee. Ma come lei sa la gente fa affermazioni di ogni tipo ma nessuno le sostiene mai con delle prove.

Ma anche l'architettura fa così. E anche l'urbanistica...
È vero. La maggior parte dei modelli urbanistici e delle operazioni urbanistiche viene realizzata in un quadro qualitativo. Io voglio integrarlo con un quadro quantitativo serio scientificamente fondato, e portando delle prove.
Autrice e curatrice, Tina DiCarlo vive tra Londra e Berlino. Dal 2000 al 2007 è stata curarice di architettura e design al Museo d'Arte Moderna di New York. Negli ultimi tre anni, sta lavorando a una strategia curatoriale che unisce l'architettura a quattro diversi settori del mercato: investitori, developer, global insider e professionisti.

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