L’importanza dell’architettura nell’abbigliamento maschile

La fusione tra moda e architettura esalta utilitarismo e funzionalità, stabilendo un nuovo standard nell’abbigliamento contemporaneo: succede nelle collezioni di designer come Virgil Abloh, Massimo Osti e Samuel Ross. 

La moda prende spesso in prestito la linguistica e la familiarità del design architettonico. Già nel 1050, in un articolo pubblicato da Domus e intitolato Architettura e moda, il testo Style in costume di James Laver (1928) veniva usato per mettere a confronto gli archi gotici e i copricapi medioevali. Nell’attuale discorso culturale, l’assimilazione dell’architettura da parte della moda ha aperto molteplici possibilità di indagine, in particolare nell’ambito del legame interdisciplinare con l’arte. 

Ciò che è notevole della presenza nell’architettura dell’abbigliamento maschile è la capacità di agevolarne l’inclinazione utilitarista.

In questo contesto l’abbigliamento maschile è inteso come una mentalità o modalità di design più aperta della consueta categorizzazione binaria, perché può essere indossata da corpi di ogni tipo e da qualsiasi persona, pur mantenendo tratti distintivi in tutti i contesti. Dato che il punto di riferimento del sistema moda è quello occidentale, in particolare nel contesto tardo-capitalista, l’interpretazione dei riferimenti nell’abbigliamento maschile derivano dal design utilitaristico, come quello militare o da lavoro. 

Nel lavoro di Massimo Osti, Craig Green, Nigel Cabourn, Samuel Ross e Raf Simons, solo per citarne alcuni, c'è un'innata inclinazione dei design verso la funzionalità, e alcuni di loro hanno addirittura una formazione in architettura o in campi di design affini. A loro volta, i loro abiti hanno una funzionalità unica che, pur avendo lo scopo di precedere l’estetica, è in realtà definita da essa. Lo stilista americano Virgil Abloh, scomparso nel 2021, può essere considerato il precursore del modo in cui oggi mettiamo in relazione il triumvirato di moda, architettura e arte. 

Transformables Kite Adv – 2000. C.P. Company Transformables Kite Advertising from year 2000 © C.P. Company

Gli esempi dall’archivio di Westminster

Andrew Groves ha fornito a Domus spunti di casi studio presi dal Westminster Menswear Archive, che dirige. Un primo caso è la tuta da lavoro C.P. Company della collezione primavera estate 2000, che fa parte della linea “Trasformabili”, disegnata da Moreno Ferrari. Il progetto altamente concettuale è composto da pezzi dalla duplice funzione che possono essere trasformati in altri indumenti, come la tuta da lavoro dell’archivio che può diventare una giacca oppure addirittura in una tenda o delle sedie.

Groves vede questo incrociarsi tra rifugi e capi d’abbigliamento come uno sforzo sociale, e legge l’indumento come collegamento tra chi lo indossa e l’ambiente urbano circostante. “La tenda ha reso questo concetto molto esplicito, indicando che può diventare un’architettura attorno a te. […] Sono multifunzionali. Non sono necessari solo per chi li indossa, ma occupano uno spazio più ampio nella sfera sociale. Moreno Ferrari aveva davvero previsto che tutti indossassero questi mantelli che si trasformano in tende per potersi fermare ovunque”.

Un paragone simile si potrebbe fare con l’ideologia del brand Final Home, creato dallo stilista Kosuke Tsumura, che l’ha progettato con un intento distopico, per creare capi con semi piantati nelle tasche ed elementi oversize, in modo che, se dovesse verificarsi un’apocalisse, questo indumento potrebbe diventare “l’ultima casa”. 

La funzionalità del design dei capi da uomo sembra talvolta operare come punto di contatto tangibile tra la classe operaia e il sistema moda, due sfere per il resto lontanissime.

Scorrendo nell’archivio un altro indumento notevole è sicuramente una camicia di forza del brand Vexed Generation. Il brand era stato concepito in quel momento degli anni 90 in cui le persone si si sono trovate, per la prima volta, a fare i conti con l'uso massificato della videosorveglianza.

Vexed Generation è stata una reazione a questo fenomeno, che si è tradotta nella creazione di capi di abbigliamento destinati in particolare ai frequentatori di rave, la cui identità sarebbe stata occultata dagli indumenti. Per Groves, “il capo di Vexed Generation è una camicia di forza, ma si comunica anche come bozzolo confortante. Agisce su due diversi livelli che, per chi li indossa e chi li osserva, sono in contraddizione. […] Quello che esprime è che l’abbigliamento maschile è di chi lo indossa, non di chi lo osserva”.

L’architettura come “tunnel” che permette agli uomini di esprimersi

Il fashion designer Samuel Ross, invece, crea un richiamo alla semantica della working class a partire dal nome del suo brand, A Cold Wall*, che fa riferimento all’architettura brutalista dei quartieri popolari in cui è cresciuto. Nato a Brixton, a Londra, da genitori provenienti dai caraibi e Windrush di seconda generazione, è poi cresciuto nella parte meridionale della capitale inglese e a Northampton. Ross descrive il suo brand come “uno studio materiale per un’architettura sociale”.

Secondo Ross “Essere in grado di costruire una struttura o riformulare una materia fisica che ha tutte le caratteristiche intrinsecamente maschili nei materiali, fa dell’architettura un ottimo punto di incontro, un passaggio, un tunnel che permette agli uomini di potersi esprimere attraverso l’abbigliamento”.
 


A Cold Wall* compie un ulteriore passo avanti facendo riferimento a materiali non comuni nel mondo della moda, ma spesso insiti dell’architettura, come i riferimenti al cemento o alla terracotta. Ne è esempio la giacca conservata al Westminster Menswear Archive.

Usare schizzi di vernice e texture, come faceva Martin Margiela quando dipingeva tessuti o pelli, porta con sé la semantica di un muro grezzo. Quando questo viene trasportato su un indumento, fa riferimento anche allo spazio in cui potrebbe esistere quel capo, in questo caso lo spazio di lavoro di un artista. Quando un indumento viene indossato e fisicamente trasportato in un contesto diverso, porta con sé queste convenzioni codificate di quello spazio fisico di riferimento, e quindi il contesto sociale in cui l’artista potrebbe vivere.

In una scultura anamorfica CNC realizzata per il Miami Design District, Ross è stato influenzato dalla tradizione degli scultori britannici e dall’assenza di scultori di origine britannico-caraibica, in particolare nell’ambito del design di arredi. Rappresenta un punto d’incontro nel suo approccio interdisciplinare che coniuga l'astrazione con la filosofia del design, l'arte sociale e l'identità.

Il luogo della moda di massa: i grandi magazzini

Fredi Fischli e Niels Olsen, provenienti dal mondo della storia e teoria dell’architettura, hanno una prospettiva diversa. Fischli e Olsen hanno curato una moltitudine di mostre, tra cui “Retail Apocalypse” nel 2020 e, più di recente, la mostra di Shayne Oliver presso il Padiglione Schinkel intitolata “Mall of the Anonymous”, in cui moda e architettura diventano i temi centrali.

“Retail Apocalypse” passa in rassegna per esempio la Harvard Design School Guide to Shopping del 2002, realizzata in collaborazione con Oma e focalizzata su come lo shopping abbia radicalmente cambiato il mondo di oggi, o progetti come il negozio Prada di Herzog & de Meuron a Tokyo.

Vista della mostra “Retail Apocalypse”. Foto Nelly Rodriguez

Secondo Neils, l’architetto austro-americano Frederick Kiesler ha scritto la guida su come concepire i grandi magazzini. Per lui, “i grandi magazzini erano una nuova forma di museo in cui molte più persone potevano entrare in contatto con la sua nuova ideologia modernista. […] nel postmodernismo, molti dei cosiddetti pezzi iconici dell’architettura erano nel regno del retail, come Hans Hollein o l’esempio italiano di Carlo Scarpa”.

Immagine di apertura: “Wearable Habitats” by Craig Green for Moncler Genius, 2019

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