Hella Jongerius. La bellezza dell’imperfezione

Hella Jongerius inventa un nuovo concetto di decoro tessile: un tema che ha segnato i suoi studi. Il suo lavoro di progettista che cerca di piegare il processo industriale alla produzione di pezzi unici, raccontato da Francesca Picchi.
Fotografia di Phil Sayer


Quando, in occasione del Salone del Mobile, nel 1993 un gruppo di progettisti olandesi decise di affittare un negozio nel centro di Milano e presentare il proprio lavoro, per il pubblico abituato ai prodotti patinati del design fu subito chiaro che qualcosa stava cambiando e gli anni Ottanta erano definitivamente chiusi.

Il design, dopo l’esplosione creativa di quegli anni (con i designer tutti presi a far proliferare nuove forme), fu come scosso da un prepotente richiamo alla realtà. Droog Design è stato un fenomeno cui si è guardato come chiaro segno dei tempi: e dato che tutti amano trovare dei riferimenti per regolare le proprie certezze, è normale che oggi tutti si guardino attorno per trovare qualcosa che dia finalmente il senso degli anni Duemila.

Nel frattempo il lavoro dei progettisti olandesi ha seguito il suo corso e ognuno, con la propria individualità di ricerca e storia personale, ha preso la sua strada. Hella Jongerius era una di loro: “Per me gli anni Ottanta sono stati qualcosa contro cui reagire. In quel periodo andavo a scuola e non mi piaceva quello che vedevo intorno: il design era eccessivo, stravagante, la produzione industriale troppo patinata. Io sono un tipo con i piedi per terra: uno dei motivi che non mi fa amare il mondo del design è che non vedo ragioni per produrre forme nuove”. Il lavoro per Droog è stato una specie di spartiacque per Hella Jongerius, ma anche un’esperienza esterna, perciò si limitò a continuare il proprio lavoro. “Ho studiato tessuto a Eindhoven, volevo però fare qualcosa di diverso. Un giorno, visitando una fabbrica per la fusione di modelli in bronzo ho notato che gli stampi erano fatti di una gomma poliuretanica. Era un materiale interessante, sembrava vetro, era piacevole al tatto: pensai fosse un peccato usarlo solo per gli stampi.

A mano, del tutto artigianalmente ho realizzato i miei primi progetti. La gomma è stato l’inizio, poi mi sono dedicata alla ceramica. Grazie a una borsa di studio, mi è stato messo a disposizione un atelier dove lavorare la ceramica e fare esperimenti. Qui ho realizzato un servizio e la serie di vasi con frammenti che provenivano dal museo Boijmans van Beuningen di Rotterdam. Intanto Droog aveva scelto i miei progetti”. In questi lavori Jongerius ha cominciato a mettere a frutto la sua insofferenza per la pura invenzione di forme nuove, e per una certa idea di perfezione implicita nella produzione di serie. Nei vasi, la ricostruzione di una forma archetipa, di cui resta traccia nel frammento (un coccio di epoca medioevale regalato dal museo della sua città), si sposa con l’unione di materiali diversi e la libertà di usare vernici da carrozziere per accogliere la forma ‘ritrovata’ nelle braccia della vita quotidiana: “Anche la forma possiede una storia. Bisogna rispettarla. Nel farlo però occorre trovare un senso contemporaneo. Mi è sempre piaciuto che un oggetto portasse i segni del proprio tempo, che mischiasse elementi presi dalla strada. Penso che si debba cogliere al primo sguardo che un oggetto è fatto nel Duemila, e non in altre epoche”.

Lavorando al servizio di porcellana Jongerius notò che, alterando la temperatura del forno di cottura, i singoli pezzi (tutti stampati e identici tra loro) deviano leggermente dalla forma originale e acquisiscono una leggera imperfezione. Questo impercettibile scarto dalla regola, che rende ogni pezzo unico, dava soddisfazione all’idea di bellezza che aveva in mente. Jongerius pensò anche che lavorare al recupero di parentele lontane e alla fusione di mondi diversi (la ceramica e il ricamo), insieme alla ricerca della soluzione più rapida (usare nastro adesivo per combinare vetro e ceramica), poteva essere non solo indice di bellezza ma anche espressione di una visione contemporanea. “Penso che se si lavora a qualcosa di veramente nuovo, come ho fatto con il poliuretano e il nastro adesivo, bisogna esprimere un certo ‘comfort’ nella forma. Se penso alle case dei miei amici, sono piene di oggetti antichi, comperati nei mercatini. Questo ha a che fare con il fatto che la gente quando compra un oggetto vuole portarsi a casa una storia, non tanto un prodotto. E la storia di un oggetto è quella di chi lo ha costruito, del materiale di cui è fatto…”.

Da allora Jongerius ha continuato a lavorare per alterare la patina di perfezione dell’oggetto di serie e introdurre una certa casualità all’interno dell’ordine costituito della produzione industriale. Ottenere pezzi unici attraverso l’industria è stato per Jongerius un obiettivo che poteva raggiungere solo con la possibilità di manipolare metodi produttivi consolidati. L’industria ha il potere di rendere reale un progetto, ha il potere di sostenerlo attraverso la forza della sua visione, per questo ha bisogno della partecipazione attiva dell’industria con cui lavora. Così quando Maharam le ha chiesto di studiare un nuovo concetto di decoro per i tessuti d’arredamento che l’azienda americana produce da cento anni (il pioniere Louis Maharam la fondò infatti nel 1902), Jongerius ha messo a punto un processo che le ha permesso di perseguire il modello di produzione industriale di pezzi unici che ha in mente da tempo. Si trattava di esprimere una visione contemporanea in fatto di decorazione dell’ambiente abitato: il nuovo disegno avrebbe inevitabilmente aperto un confronto con maestri del calibro di Anni Albers, Charles e Ray Eames, Alexander Girard e Verner Panton che per Maharam avevano delineato, ciascuno alla propria maniera, una visione dell’ornamento moderno che rimane esemplare.

Dopo aver visitato la fabbrica e il suo archivio di decorazioni, Jongerius si è convinta che non ci fosse bisogno di progettare un nuovo disegno. Si è ‘limitata’ a scegliere una serie di temi decorativi (‘pois’, ‘rigati’, ‘pied-de-poule’, ‘animali’) e a combinarli fra loro facendoli interferire gli uni con gli altri. Nelle loro diverse declinazioni, misurate sulla variazione di colore e di dimensione, i decori si sovrappongono e si intrecciano in un flusso continuo che si estende su una lunghezza di circa tre metri (corrispondente al modulo della decorazione). Anche le sigle a margine, le note di produzione o le forature delle schede per la tessitura Jacquard entrano a far parte di questo programma decorativo che mette in pratica un ordine casuale nella relazione tra tessuto e pezzi d’arredamento: la dimensione della ripetizione è tale che il senso di uniformità e continuità del decoro stesso si perde.

Così è improbabile che un gruppo di sedie possano avere lo stesso decoro, pur mantenendo una forte affinità fra loro. “Dal punto di vista del processo non è una grande complicazione realizzare un pattern da ripetere su una dimensione di tre metri: ma di solito non si fa perché complica la vita ai venditori. Quello che mi piace è che il processo, una volta avviato, segua il suo corso. Come nel caso della temperatura della ceramica, si tratta di mettere a frutto ciò che di per sé è già compreso nel processo stesso. Il concetto di ‘industriale’ mi interessa da questo punto di vista. Non sono in astratto una fan del pezzo unico, dell’oggetto fatto a mano. Mi ci dedico perché mi serve per fare esperimenti in funzione dell’oggetto reale. E l’oggetto reale per me è quello industriale, prodotto in serie. Il mio lavoro riguarda la serie per l’industria, mi interessa però solo se mi permette di introdurre una qualche forma di artigianato in modo da ottenere pezzi unici prodotti industrialmente”.

Quando Hermès le ha chiesto di esprimere la propria visione e lavorare sui decori dei suoi celebri foulard, Jongerius ha operato un approccio simile, scegliendo i singoli disegni sulla base del catalogo della tradizione Hermès: “Quello che volevo era creare silenzio intorno alla decorazione. Ho cercato di rendere i loro decori più sobri, lavorando sulle silhouette, rinunciando al colore”. Ha quindi isolato i decori dal contesto originale, creandone uno nuovo: una serie di lampade in cui la porcellana si combina con la seta, quasi a far fluire, uno dentro l’altro, mondi e materiali cercandone le affinità. “Per me contemporaneo significa sovrapporre livelli diversi: alcuni sapranno leggere solo una parte della storia, magari si appassioneranno alla questione della decorazione oppure alla storia del materiale. Gli oggetti devono avere molte storie da raccontare”.
Il decoro si fonde col ricamo nel vaso di porcellana Princess per il museo Het Princessehof di Leeuwarden, del 2000
Il decoro si fonde col ricamo nel vaso di porcellana Princess per il museo Het Princessehof di Leeuwarden, del 2000
Nell’installazione The Silk Menagerie per Hermés, (esposta al Design Museum di Londra), Jongerius interpreta gli stampati dei celebri foulard della griffe francese
Nell’installazione The Silk Menagerie per Hermés, (esposta al Design Museum di Londra), Jongerius interpreta gli stampati dei celebri foulard della griffe francese
Nell’interpretazione del tipico decoro blu della ceramica di Delft per il Gemeentenmuseum de L’Aia  Jongerius fornisce una versione contemporanea della tradizione superando ogni tabù moderno legato all’uso del decoro
Nell’interpretazione del tipico decoro blu della ceramica di Delft per il Gemeentenmuseum de L’Aia Jongerius fornisce una versione contemporanea della tradizione superando ogni tabù moderno legato all’uso del decoro
L’idea dell’appartenenza degli oggetti a gruppi familiari (individui con una propria personalità che condividono tratti comuni) ha prodotto nel 2000 la serie di vasi Groove and Long Neck Bottles: il nastro adesivo risolve la connessione tra vetro e ceramica
L’idea dell’appartenenza degli oggetti a gruppi familiari (individui con una propria personalità che condividono tratti comuni) ha prodotto nel 2000 la serie di vasi Groove and Long Neck Bottles: il nastro adesivo risolve la connessione tra vetro e ceramica

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