Microcar, dieci modelli di auto piccolissime progettate per la città

Dagli esperimenti all’inizio dello scorso secolo ai tanti modelli più recenti, il sogno di un’auto a misura di città alterna icone e fallimenti.

Fiat Topolino (1936) Firmata da Dante Giacosa nel 1936, la Fiat Topolino nasceva dalla necessità di motorizzare l’Italia con un veicolo piccolo ed economico (sotto le 5.000 lire). La richiesta era partita direttamente da Benito Mussolini e sarà poi d’ispirazione ad Adolf Hitler per la “sua” Maggiolino. Balilla in miniatura, era lunga 3,2 metri e larga 1,2, aveva due posti, un motore da 500 cc e sembrava uscita da un noir. All'inizio era stata chiamata Topolino in omaggio al celebre personaggio disneyano ma all'apparizione sul mercato, nel 1936, si virò per un più autarchico 500. La sfida delle 5.000 lire poi saltò (costava 8.900 lire) e anche il nuovo nome non prese mai piede: tutti infatti continuavano a chiamarla come il topo più famoso dei fumetti.

Fiat Topolino (1936)

Fiat Topolino (1936)

Messerschmitt KR200 (1955) Dopo la Seconda guerra mondiale il prezzo del petrolio mordeva il mercato e così le microcar tornarono in auge. Tra le più curiose c'era la KR200 di Messerschmitt, l'azienda aeronautica a cui fu proibito di produrre velivoli dopo la guerra. Tre ruote e un'estetica tra il futuristico e il fumettoso, questa microvettura del 1955 è una delle più iconiche, con due posti in linea e la capacità di percorrere 100 chilometri con tre litri. Immortalata, tra gli altri, nel film Brazil di Terry Gilliam, tra i suoi più noti possessori c'era anche Elvis che ne aveva una ossa.

Messerschmitt KR200 (1955)

Foto di Jin Kemoole

Vespa 400 (1957) Il design è indimenticabile ma non certo per la sua bellezza: la Vespa 400 rimane impressa suo malgrado. Uscita nel 1957, strizzava quattro posti (o meglio 2+2) in soli 2,8 metri di lunghezza per 1,2 di larghezza con un motore due tempi a miscela che spingeva i più impavidi fino a 85 km/h. Piccola e scattante, divenne l'auto della buona borghesia di città ma non riuscì a resistere all'avvento della «mini» per eccellenza, la Fiat Nuova 500 del 1957, e così nel 1961 scomparve.

Vespa 400 (1957)

Isetta (1959) Un po' italiana e un po' tedesca, l'Isetta è più che piccola, è microscopica. Ideata da Ermenegildo Preti e Pierluigi Raggi, venne prodotta dalla Iso di Bresso prima di diventare una vera icona grazie alla produzione su licenza della Bmw. Si poneva fin dall'inizio come ciò che la Topolino non riuscì ad essere: minuscola ed economica. Razionale al massimo grado, nei suoi incredibili 2,2 metri di lunghezza accomodava due persone più un piccolo vano bagagli. L'accesso era garantito da un grande portellone frontale che permetteva di accomodarsi sulla panchetta anche grazie a un'idea geniale: il piantone dello sterzo si inclinava durante l'apertura. Leggerissima (330 chlogrammi), aveva consumi da primato: per percorrere cento chilometri bastavano tre litri.

Immagine dal film Brazil (Terry Gilliam, 1985)

Isetta (1959)

Peel P50 (1965) Negli anni '60 ecco apparire quella che è entrata nel Guinness dei Primati come l'auto di serie più piccola di sempre. La Peel P50 del 1965 infatti sembra quasi un'auto per bambini. Praticamente cubica (1,3 metri di lunghezza, uno di larghezza e 1,2 di altezza) era caratterizzata da tre ruote minuscole che reggevano un abitacolo che possiamo definire “personale”. Ha posto infatti per una sola persona e una valigetta mentre il peso è proprio quello di una persona: cento chilogrammi. Il motore 49 cc. la spingeva fino a 61 km/h ma difficilmente qualcuno è arrivato a toccare questa velocità estrema.

Citicar (1974) Il nome già svela la sua missione. La CitiCar è una vettura pensata per gli spazi urbani ma, oltre le dimensioni, c'è un altro aspetto che la caratterizza: è elettrica. Nata nel 1974 dalla Sebring, in Florida, accomoda due persone in 2,4 metri di lunghezza per 1,4 di altezza mentre il peso è di 591 kg. Il design brutalista fa rima con il minimalismo che la contraddistingueva: offriva tutto lo stretto necessario e nessun optional mentre il motore da 1,8 kW offriva un'autonomia di 60 chilometri.

Smart (1998) Nel 1998 nessuno immaginava che a breve sarebbe nata un'auto destinata a cambiare per sempre il panorama automobilistico. Parliamo ovviamente della Smart, la regina incontrastata delle microvetture moderne. Sviluppata inizialmente con Swatch (Il nome sta per  Swatch-Mercedes Art), è considerata l'erede spirituale della Isetta: il primo modello era caratterizzato da un forma a uovo che in soli 2,5 metri di lunghezza per 1,5 di larghezza offriva due sedili e tutti i comfort di un'auto “vera”. Il disastroso test dell'alce della sorella maggiore Classe A ne limitò inizialmente la diffusione ma poi le città d'Europa se ne innamorarono facendola diventare un vero status symbol urbano.

Smart (1998)

Renault Twizy (2012) Negli anni Duemila la mobilità cambia. Vi si aggiunge l'aggettivo intelligente, i consumi mordono il portafogli e l'ultimo miglio è un mantra. Ecco quindi che le microcar diventano elettriche con esperimenti votati alla città come la Renault Twizy del 2012. Via di mezzo tra auto e scooter, essenziale in tutto tanto da non avere i finestrini, offre due posti in linea in soli 2,3 metri di lunghezza per 1,2 di larghezza ed è proposta in due versioni, la 45 da che è un quadriciclo leggero da 5 Cv di potenza limitato a 45 km/h e l'80, un quadriciclo pesante da 17 Cv e 80 km/h.

Citroën Ami (2021) Arriverà presto sulle strade la Citroen Ami, una microvettura elettrica che non sfigurerebbe in un manga. Per risparmiare sui costi, i francesi l'hanno dotata di una carrozzeria bifronte con le porte che si aprono una controvento e l’altra in modo tradizionale. Così basta uno stampo solo per tutta la carrozzeria. Nonostante i 240 cm, ospita comodamente due persone (il segreto è nei sedili sfalsati) mentre la stumentazione elettronica è demandata allo smartphone del conducente. Classificata come quadriciclo leggero, ha i finestrini che si aprono a sportellino come sulla celebre Citroën 2CV mentre la formula d'acquisto è simile agli smartphone: si paga un anticipo iniziale e poi una quota mensile da 12 a 24 mesi. L'autonomia invece è di 75 chilometri.

Citroën Ami (2021)

Microlino (2021) “Non è un'auto!”. Questo lo slogan di Microlino, la vera erede della Isetta. Concept nato dalla Micro Mobility Systems, ben nota per i suoi monopattini, ha linee più morbide e futuristiche della nonna italiana ma il caratteristico portellone anteriore dichiara subito l'origine del suo Dna. Lunga 2,4 metri e larga 1,5 metri, offre due posti, il motore elettrico da 11 Kwh può essere abbinato a una batteria da 125 chilometri o da 200 chilometri di autonomia e l’entrata in produzione è prevista per settembre 2021.

Utili, dilettevoli e spesso assolutamente brutte. Spazi più piccoli, città sovraffollate e la necessita di percorrere meno chilometri hanno portato a sperimentazioni fallimentari e grandi successi. In Giappone per esempio le microcar sono un'istituzione: le chiamano Keicar e dalla seconda guerra mondiale rallegrano le strade con le loro forme giocose che sembrano uscite direttamente dai manga. 

Violette di Marcel Violet

Nel selezionare dieci modelli iconici è però il caso di iniziare dall’inizio del secolo scorso, dal 1911, quando compare la Violette di Marcel Violet (l'uomo nella foto), una «cyclecar» (in italiano autociclo) che è tra le nonne delle microvetture. Si posizionava infatti a metà strada tra una vettura e una moto, con la leggerissima carrozzeria automobilistica abbinata a un motore a uno a due cilindri. Il risultato era una biposto economica che beneficiava di agevolazioni fiscali, ma l’arrivo della catena di montaggio di Henry Ford segnò la sua fine.

Fiat Topolino (1936)

Firmata da Dante Giacosa nel 1936, la Fiat Topolino nasceva dalla necessità di motorizzare l’Italia con un veicolo piccolo ed economico (sotto le 5.000 lire). La richiesta era partita direttamente da Benito Mussolini e sarà poi d’ispirazione ad Adolf Hitler per la “sua” Maggiolino. Balilla in miniatura, era lunga 3,2 metri e larga 1,2, aveva due posti, un motore da 500 cc e sembrava uscita da un noir. All'inizio era stata chiamata Topolino in omaggio al celebre personaggio disneyano ma all'apparizione sul mercato, nel 1936, si virò per un più autarchico 500. La sfida delle 5.000 lire poi saltò (costava 8.900 lire) e anche il nuovo nome non prese mai piede: tutti infatti continuavano a chiamarla come il topo più famoso dei fumetti.

Fiat Topolino (1936)

Fiat Topolino (1936)

Messerschmitt KR200 (1955)

Dopo la Seconda guerra mondiale il prezzo del petrolio mordeva il mercato e così le microcar tornarono in auge. Tra le più curiose c'era la KR200 di Messerschmitt, l'azienda aeronautica a cui fu proibito di produrre velivoli dopo la guerra. Tre ruote e un'estetica tra il futuristico e il fumettoso, questa microvettura del 1955 è una delle più iconiche, con due posti in linea e la capacità di percorrere 100 chilometri con tre litri. Immortalata, tra gli altri, nel film Brazil di Terry Gilliam, tra i suoi più noti possessori c'era anche Elvis che ne aveva una ossa.

Messerschmitt KR200 (1955) Foto di Jin Kemoole

Vespa 400 (1957)

Il design è indimenticabile ma non certo per la sua bellezza: la Vespa 400 rimane impressa suo malgrado. Uscita nel 1957, strizzava quattro posti (o meglio 2+2) in soli 2,8 metri di lunghezza per 1,2 di larghezza con un motore due tempi a miscela che spingeva i più impavidi fino a 85 km/h. Piccola e scattante, divenne l'auto della buona borghesia di città ma non riuscì a resistere all'avvento della «mini» per eccellenza, la Fiat Nuova 500 del 1957, e così nel 1961 scomparve.

Vespa 400 (1957)

Isetta (1959) Immagine dal film Brazil (Terry Gilliam, 1985)

Un po' italiana e un po' tedesca, l'Isetta è più che piccola, è microscopica. Ideata da Ermenegildo Preti e Pierluigi Raggi, venne prodotta dalla Iso di Bresso prima di diventare una vera icona grazie alla produzione su licenza della Bmw. Si poneva fin dall'inizio come ciò che la Topolino non riuscì ad essere: minuscola ed economica. Razionale al massimo grado, nei suoi incredibili 2,2 metri di lunghezza accomodava due persone più un piccolo vano bagagli. L'accesso era garantito da un grande portellone frontale che permetteva di accomodarsi sulla panchetta anche grazie a un'idea geniale: il piantone dello sterzo si inclinava durante l'apertura. Leggerissima (330 chlogrammi), aveva consumi da primato: per percorrere cento chilometri bastavano tre litri.

Isetta (1959)

Peel P50 (1965)

Negli anni '60 ecco apparire quella che è entrata nel Guinness dei Primati come l'auto di serie più piccola di sempre. La Peel P50 del 1965 infatti sembra quasi un'auto per bambini. Praticamente cubica (1,3 metri di lunghezza, uno di larghezza e 1,2 di altezza) era caratterizzata da tre ruote minuscole che reggevano un abitacolo che possiamo definire “personale”. Ha posto infatti per una sola persona e una valigetta mentre il peso è proprio quello di una persona: cento chilogrammi. Il motore 49 cc. la spingeva fino a 61 km/h ma difficilmente qualcuno è arrivato a toccare questa velocità estrema.

Citicar (1974)

Il nome già svela la sua missione. La CitiCar è una vettura pensata per gli spazi urbani ma, oltre le dimensioni, c'è un altro aspetto che la caratterizza: è elettrica. Nata nel 1974 dalla Sebring, in Florida, accomoda due persone in 2,4 metri di lunghezza per 1,4 di altezza mentre il peso è di 591 kg. Il design brutalista fa rima con il minimalismo che la contraddistingueva: offriva tutto lo stretto necessario e nessun optional mentre il motore da 1,8 kW offriva un'autonomia di 60 chilometri.

Smart (1998)

Nel 1998 nessuno immaginava che a breve sarebbe nata un'auto destinata a cambiare per sempre il panorama automobilistico. Parliamo ovviamente della Smart, la regina incontrastata delle microvetture moderne. Sviluppata inizialmente con Swatch (Il nome sta per  Swatch-Mercedes Art), è considerata l'erede spirituale della Isetta: il primo modello era caratterizzato da un forma a uovo che in soli 2,5 metri di lunghezza per 1,5 di larghezza offriva due sedili e tutti i comfort di un'auto “vera”. Il disastroso test dell'alce della sorella maggiore Classe A ne limitò inizialmente la diffusione ma poi le città d'Europa se ne innamorarono facendola diventare un vero status symbol urbano.

Smart (1998)

Renault Twizy (2012)

Negli anni Duemila la mobilità cambia. Vi si aggiunge l'aggettivo intelligente, i consumi mordono il portafogli e l'ultimo miglio è un mantra. Ecco quindi che le microcar diventano elettriche con esperimenti votati alla città come la Renault Twizy del 2012. Via di mezzo tra auto e scooter, essenziale in tutto tanto da non avere i finestrini, offre due posti in linea in soli 2,3 metri di lunghezza per 1,2 di larghezza ed è proposta in due versioni, la 45 da che è un quadriciclo leggero da 5 Cv di potenza limitato a 45 km/h e l'80, un quadriciclo pesante da 17 Cv e 80 km/h.

Citroën Ami (2021)

Arriverà presto sulle strade la Citroen Ami, una microvettura elettrica che non sfigurerebbe in un manga. Per risparmiare sui costi, i francesi l'hanno dotata di una carrozzeria bifronte con le porte che si aprono una controvento e l’altra in modo tradizionale. Così basta uno stampo solo per tutta la carrozzeria. Nonostante i 240 cm, ospita comodamente due persone (il segreto è nei sedili sfalsati) mentre la stumentazione elettronica è demandata allo smartphone del conducente. Classificata come quadriciclo leggero, ha i finestrini che si aprono a sportellino come sulla celebre Citroën 2CV mentre la formula d'acquisto è simile agli smartphone: si paga un anticipo iniziale e poi una quota mensile da 12 a 24 mesi. L'autonomia invece è di 75 chilometri.

Citroën Ami (2021)

Microlino (2021)

“Non è un'auto!”. Questo lo slogan di Microlino, la vera erede della Isetta. Concept nato dalla Micro Mobility Systems, ben nota per i suoi monopattini, ha linee più morbide e futuristiche della nonna italiana ma il caratteristico portellone anteriore dichiara subito l'origine del suo Dna. Lunga 2,4 metri e larga 1,5 metri, offre due posti, il motore elettrico da 11 Kwh può essere abbinato a una batteria da 125 chilometri o da 200 chilometri di autonomia e l’entrata in produzione è prevista per settembre 2021.