Il giardino è il progetto del futuro

Luogo di sperimentazione, di guerrilla urbana, di revisione del rapporto tra uomo e natura: quello del giardino è diventato un tema centrale del design, al centro di innumerevoli progetti, molte pubblicazioni e una mostra al Vitra Museum.

Il futuro del giardino o il giardino del futuro? No, piuttosto, il giardino è il futuro.

Nella storia occidentale, il giardino è spesso vissuto come luogo chiuso e ordinato, come disposizione razionale e codificata di spazi e specie, come emblema del dominio dell’uomo sulla natura. Oppure come luogo utopico, segno di una nostalgia di un paradiso perduto, di uno stato naturale arcadico ormai compromesso dalla modernità. Ma negli ultimi anni si è fatta avanti una visione diversa, “militante”, del giardino: come progetto di un futuro in cui uomo e natura non solo convivono ma cooperano. 

Il giardino è quello spazio in cui artificio e natura rivelano la loro identità.
Garden Futures: Designing with Nature, Vitra Design Museum. Liz Christy in a community garden, New York City, 1970s, Photo: Donald Loggins

A metà strada tra la cultura agricola e la foresta selvaggia, il giardino non è solo un ecosistema, un habitat o un biotopo preservato o una riserva ecologica, ma è il luogo in cui l’azione umana e quella della natura si sovrappongono per dare forma a un ambiente ibrido, metà artificiale metà naturale. O più precisamente, il giardino è quello spazio in cui artificio e natura rivelano la loro identità. Grazie al giardino, oggi in molti ripensano l’articolazione degli spazi contemporanei: dall’abitazione alla città. Il giardino è lo spazio sperimentale di un design che implica allo stesso modo l’uomo e la natura.

Garden Futures: Designing with Nature, Vitra Design Museum. Advertisement for a lawn care product of O. M. Scott & Sons, in: Life, 31 August 1959 © Vitra Design Museum, Photo: Andreas Sütterlin

Il giardino, il rapporto con le piante e il mondo vegetale, e più in generale con il vivente, è al centro di innumerevoli pubblicazioni (non c’è più una libreria che non abbia aperto un settore specifico sul tema) – tra cui spicca l’indispensabile On the Necessity of Gardening, curato da Laurie Cluitmans (Valiz, 2021), o Earth Perfect? Nature, Utopia and the Garden, in cui i ricercatori Naomi Jacobs e Annette Giesecke si chiedono se “una nuova etica fondata sul giardinaggio può condurci a un rapporto più sostenibile tra l’umanità e il mondo naturale?”. Altro segno di tendenza, sempre di più delle mostre internazionali aprono prospettive critiche e illustrano progetti innovativi e radicali.

In questo momento, al Vitra Design Museum di Weil am Rhein, Garden Futures, Designing with Nature, organizzata in collaborazione con il Nieuwe Instituut di Rotterdam, si sofferma sulla dimensione progettuale, sociale e politica del giardino: come opera di resistenza, di resilienza o persino di guerriglia.

Contro la genealogia mitica che fa del giardino uno spazio isolato ed esclusivo, l’hortus conclusus protetto da mura fisiche e simboliche che lo allontanano allo stesso tempo dalla natura selvaggia e dalla città, dalla confusione del sociale, sono presentati progetti che lo vedono come un luogo inclusivo, che infiltra la natura negli interstizi urbani o suscita dinamiche collaborative. E soprattutto indica una forma di co-design ecologico, basato su rapporto paritario tra uomo e natura. 

Garden Futures: Designing with Nature, Vitra Design Museum. James Wines, Drawing of the Highrise of Homes (theoretical project), 1981, Collection Jonathan Holtzman © James Wines

Uno dei pionieri di questa visione è stato il landscape architect Ian McHarg, con il suo celebre Design with Nature (1966), volume che ha influenzato generazioni intere di paesaggisti e architetti. Oggi la stessa posizione è difesa da figure come Piet Oudolf, progettista del giardino che ricopre di verde la Highway di Manhattan, o Gilles Clément, che ha teorizzato il “giardino planetario”, che vede gli esseri umani non come dominatori della vita vegetale, ma come attori all’interno di un sistema complesso di esseri viventi. 

Il giardino o l’orto assumono il ruolo esplicito di armi politiche, con cui opporsi alle imposizioni di un’urbanizzazione schiacciante.
Garden Futures: Designing with Nature, Vitra Design Museum. Céline Baumann, Parliament of Plants, 2020 © Studio Céline Baumann

Se per questi giardinieri-filosofi il progetto del giardino connette estetica ed etica e implica una temporalità estesa, che supera le logiche a corta gittata del produttivismo, per altri il giardino o l’orto assumono il ruolo esplicito di armi politiche, con cui opporsi alle imposizioni di un’urbanizzazione schiacciante.

Garden Futures: Designing with Nature, Vitra Design Museum. Piet Oudolf, High Line, New York City. © Piet Oudolf, Photo: Annik La Farge and Rick Darke

Da diversi decenni, con l’emergere della coscienza della crisi ambientale, si sono moltiplicati gli esempi dei “guerrilla gardens”. Come a New York, quando, alla fine degli anni ‘60, alcune parti della città cadono in un rapido declino, alcuni abitanti tentano di riappropriarsi gli spazi abbandonati occupandoli con giardini e orti comunitari. O come, oggi, a Kuala Lumpur, una delle megalopoli più densamente edificate del mondo, l’impegno civico di un gruppo di cittadini ha trasformato un terreno incolto, ai piedi dei grattacieli e sotto i fili dell’alta tensione, in un giardino fiorente (Kebun-Kebun Bangsar), popolato di piante e animali: il giardinaggio come strumento di emancipazione e di costruzione identitaria. E, allo stesso tempo, come spazio di sperimentazione di modi di vita alternativi, in equilibrio con la natura. 

Una nuova etica fondata sul giardinaggio può condurci a un rapporto più sostenibile tra l’umanità e il mondo naturale?

Earth Perfect? Nature, Utopia and the Garden, Naomi Jacobs, Annette Giesecke 

Garden Futures: Designing with Nature, Vitra Design Museum. Building phase of the Kebun-Kebun Bangsar, community garden, Kuala Lumpur, 2017. Courtesy of Kebun-Kebun Bangsar

Partendo da queste esperienze, appare possibile ripensare il nostro habitat non più come uno spazio urbanizzato e minerale, in cui l’uomo è l’unico essere vivente, ma come un luogo di coabitazione tra specie diverse. Molti architetti e urbanisti tentano oggi di “rinverdire” le nostre città, aprendo faglie per introdurre interstizi vegetali, cercando di restaurare un ecosistema più complesso, una biodiversità più completa: dal Bosco Verticale di Stefano Boeri all’urbanismo biosferico di Bas Smets.

Allo stesso tempo, dei giovani designer aprono nuove prospettive, radicali. Come Eugenia Morpurgo e Sophia Guggenberger con il progetto Syntropia – presentato attualmente all’ADI Design Museum di Milano, nell’imperdibile esposizione Italy: the New Collective Landscape – in cui la pianificazione di un sistema di coltivazione in policultura permette di costruire localmente un intero distretto di produzione manifatturiera – dai materiali al prodotto finale. Oppure come Alice and Gavin Munro, che nel Devonshire hanno fondato Full Grown, un’impresa che, attraverso una serie di accorgimenti tecnici, fa letteralmente “crescere” delle sedie, dando forma a degli alberi: non solo la città o il distretto produttivo diventano giardino ma anche la fabbrica.
Questa è la rivoluzione del giardino: aprire il design alla complessità del vivente.

Immagine di apertura: Garden Futures: Designing with Nature, Vitra Design Museum. Stefano Boeri, Bosco Verticale, Milan, 2014 © Stefano Boeri Architetti, Photo: The Blink Fish, 2018

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