Viaggio fotografico in un paesaggio sconvolto dall'inquinamento

Il fotografo Mattia Marzorati ha documentato come l’inquinamento, anche quello invisibile, ha cambiato una delle zone più industrializzate d'Italia. L'intervista.

Ci sono luoghi che sembrano non esistere, finché non viene dato un nome. La “Terra dei Buchi” è uno di questi. Siamo nell’area sud della provincia di Brescia, uno dei territori più industrializzati d’Italia e, probabilmente, d’Europa. È questa la terra che il fotografo Mattia Marzorati ha documentato per due anni, a partire dal 2019, per mostrare tutto ciò che non si vede. Le cave, i buchi appunto, che negli ultimi cinquant’anni sono stati riempiti con i rifiuti provenienti da tutta Italia, per poi essere ricoperti in modo da creare piccole colline di terra ed erba che nascondono, o mimetizzano, ciò che sta sotto. 

Un progetto con il quale Mattia Marzorati ha appena vinto il premio RESET del Ministero della Cultura, e che sarà esposto a settembre al Festival di fotografia SIFest di Savignano sul Rubicone, oltre ad essere fase di editing per diventare un libro con la casa editrice 6x6. 

Abbiamo incontrato il fotografo per farci raccontare come mai, a differenza di altre aree d’Italia come la Terra dei Fuochi, l’ILVA di Taranto, le ciminiere dell’agrigentino, sul mutamento del paesaggio della Terra dei Buchi ci sia sempre stato il silenzio.

Quali tipi di inquinamento hai documentato con il tuo progetto fotografico?
Nell’area sud del bresciano si trova un po’ di tutto. Inquinamento dell’aria, del suolo, delle falde acquifere, cementificazione, rifiuti radioattivi, ed una elevata, quasi incredibile se si leggono i numeri, concentrazione di discariche.

Le discariche. Sono questi i buchi che danno il titolo al tuo lavoro?
La Terra dei Buchi è la definizione trovata da alcuni attivisti, una assonanza con la ben più nota Terra dei Fuochi del casertano. Tutto nasce dalla storica presenza nella zona di cave di ghiaia, sabbia e marmo. Dopo essere state utilizzate, negli ultimi quarant’anni si è pensato di riempire queste cavità con i rifiuti. La vocazione estrattiva del territorio è il peccato originale di tutto il fenomeno.

Mattia Marzorati, La Terra dei Buchi
Mattia Marzorati, La Terra dei Buchi

Che cosa ti ha portato ad indagare questa zona?
Vivo a Cantù e anche vicino a casa mia ci sono molte discariche, per esempio quella di Mariano Comense, che negli ultimi anni è bruciata diverse volte. Per cui ho iniziato a voler capire che cosa stesse succedendo intorno a me ed ho iniziato a studiare dati medici e statistiche. Leggendo i rapporti, mi sono concentrato sul territorio del bresciano, dove le concentrazioni di inquinamento sembravano essere elevatissime. Mi sembra che questa zona possa essere simbolo di quel nord produttivo ed allo stesso tempo autodistruttivo.

Il tuo lavoro riguarda, in buona parte, la fotografia di paesaggio. La fotografia riesce a documentare il suo cambiamento nel tempo, anche quando l’inquinamento è invisibile?
Gran parte dell’inquinamento riguarda le microparticelle nell’aria, le falde, i terreni, e questo è il lato difficile da raccontare visivamente. In questo caso ho fotografato le persone che hanno subito i suoi effetti.
Per mostrare il mutamento del paesaggio, ho scattato parecchie foto aeree, ed è impressionante ciò che si vede. Dal piano strada è molto difficile rendersi  conto di quello che sta succedendo, ma quando si vola sopra queste aree si nota come in tutta la provincia di Brescia ci sia una enorme presenza di cave ricoperte. Quando le aree estrattive vengono riempite, si creano delle piccole colline artificiali coperte di erba, ma tutti sanno che cosa c’è sotto.

Gran parte dell’inquinamento riguarda le microparticelle nell’aria, le falde, i terreni, e questo è il lato difficile da raccontare visivamente.

Hai fotografato storie che, il più delle volte, ci arrivano attraverso i dati. Che cosa possono aggiungere le immagini?
Ci arrivano dati, statistiche e rapporti, è vero. Ma anche per questo mi è sembrato necessario fare questo lavoro, per cercare di mettere nero su bianco il fenomeno. I dati si leggono distrattamente, così ho cercato di costruire una narrazione che fosse anche visiva, non solo statistica.

Nell’ultimo anno e mezzo, la zona del bresciano è stata una delle aree più colpite dal Covid-19. Si è parlato molto delle connessioni tra inquinamento e circolazione del virus. Le persone della zona si stanno rendendo conto che l’inquinamento può avere ricadute anche nell’immediato?
Il fatto che questa sia una zona dove il benessere economico è molto elevato crea parecchie difficoltà nel momento in cui si vuole mettere in dubbio lo stato delle cose. Sensibilizzare chi non ha avuto problemi in famiglia non è facile, la vita quotidiana sembra funzionare e il problema lo vedi solo nel lungo termine. Con il Covid-19 il problema ci è arrivato addosso in modo traumatico. Ma d’altra parte, c’è stata anche una crisi economica, per cui c’è tanta fretta e tanta ansia di tornare ai livelli di benessere di prima, con i metodi di prima.

Di sicuro ci sono le eco-mafie, la criminalità, lo sfruttamento, insomma tutto il sistema dell’illegalità. Ma credi che la Terra dei Buchi nasca anche da una cattiva pianificazione - legale - del territorio?
Parlare di pianificazione è generoso. Il business legale dei rifiuti ha fatto comodo a tutti per molto tempo. Fino a che non si è arrivati a numeri e quantità di rifiuti talmente alti da impattare nella vita quotidiana, e nel paesaggio, non c’è stata una grande pianificazione. Quando a Montichiari si trovato sedici discariche con milioni di tonnellate di rifiuti stoccati, è chiaro che sul fronte della pianificazione si è fatto molto poco. Il lato oscuro ed illegale è pesantissimo, ma si appoggia ad un sistema che non ha avuto cura del suo territorio.

Mattia Marzorati, La Terra dei Buchi.

C’è una foto in particolare, nel tuo lavoro, dove si vede una fabbrica con la grande scritta Vapore Acqueo sulla ciminiera. L’impressione è che l’industria debba tranquillizzare la popolazione sul territorio, i suoi vicini di casa insomma, dicendo “è solo vapore acqueo, non c’è pericolo”.
Queste cose sono fatte per tranquillizzare, nonostante il fumo sia, magari, davvero vapore acqueo. Ma ci sono anche i muri di cinta colorati, insomma esteticamente molto industrie sembrano un parco giochi più che fabbriche. Mi sembrava interessante fotografare questi aspetti, perché è una tattica che funziona molto bene. Se ti trovi di fronte ad una estetica curata con aiuole, cipressi, finisci per non cogliere la pericolosità dei luoghi. Nel quotidiano, la popolazione passa accanto ad un muro colorato ed ha una percezione positiva. 

Il fatto di aver realizzato questo lavoro tutto in pellicola ha un significato?
Sono tutte fotografie in medio formato e analogiche. Ho sempre scattato in digitale, ma questa volta avevo voglia di un approccio più lento. Anche le foto aeree sono state fatte con la macchina medio formato analogica, non potevo sbagliare, insomma. È stato un lavoro per cui mi sono posto poche domande sulle dinamiche editoriali, sul suo eventuale mercato. Infatti, ho lavorato da solo anche all’editing, questa tematica mi sta a cuore e avevo voglia di seguirla con tutta la tranquillità e l’attenzione possibile.

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