A partire dal 17°secolo, il termine natura morta venne utilizzato per designare quel campo della pittura che rappresentava la natura – fiori, frutta, pesci, cacciagione, o vari oggetti d’uso – attraverso significati simbolici e allegorici che rimandavano esplicitamente alla sua fragilità e caducità, e indirettamente anche alla vanità della vita umana. Oggi, nella prospettiva oscura in cui viviamo, dove l’azione ingiustificata dell’uomo sta contribuendo all’impermanenza della natura – o addirittura al suo annientamento – il termine natura morta va ad assumere il suo significato più letterale. I lavori in mostra al CID di Grand-Hornu chiedono, provocano e incoraggiano quei meccanismi che la natura utilizza per sostenere la sua trasformazione, aggregazione, decomposizione e quindi rigenerazione, dando vita a una raccolta di opere sperimentali – curata da Veerle Wenes – che mette in luce il rapporto ambiguo e contraddittorio tra uomo e natura.