Nothing but a show

Dieci artisti chiamati a confrontarsi con il tema dell'allestimento museale in un luogo emblematico da questo punto di vista: i Musei del Castello Sforzesco di Milano

Si è chiusa da poco la mostra "Nothing but a show", concepita dal critico e curatore Alessio Ascari per la rassegna Gemine Muse. Incentrata sul tema dell'allestimento museale e della relazione tra 'contenuto' e 'contenitore', la mostra non poteva tenersi in una sede più rappresentativa dei Musei del Castello Sforzesco che, risistemati dai BBPR tra il 1954 e il 1956, rappresentarono una tappa fondamentale per la museografia italiana. La storia del Museo in Italia si stava scrivendo in quegli anni con Franco Albini che riceveva l'incarico di sistemazione delle gallerie comunali di Palazzo Bianco a Genova, di Palazzo Rosso e del Museo del Tesoro di San Lorenzo e Carlo Scarpa che lavorava al riassetto della Gipsoteca di Possagno del Museo di Castelvecchio a Verona.

Il perno della mostra "Nothing but a show" era la messa in luce dell'intervento architettonico in sede museale inteso non come semplice supporto espositivo all'opera, ma come gesto artistico potenziale con l'intervento dei BBPR nei Musei del Castello Sforzesco preso a caso esemplare: un intervento forte, teso a far diventare gli oggetti d'arte protagonisti dell'ambiente, tenendoli insieme con il sistema corale degli spazi. Intervento che non fu accolto benevolmente all'unanimità, ma tacciato da alcuni di invadenza e eccessiva aggressività.
Invitati da Ascari, Linda Fregni Nagler, Invernomuto, Jacopo Miliani, Andrea Sala, Mirko Smerdel, Super! (Massimiliano Buvoli, Riccardo Previdi, Patrick Tuttofuoco) e Luca Trevisani si sono trovati a lavorare in questo contesto spaziale realizzando opere in aperto dialogo con i dispositivi creati dai BBPR.

I lavori presentati andavano in due direzioni: alcuni utilizzavano un metalinguaggio per riflettere sulla funzione del museo e sui meccanismi da cui è alimentato, altri vivevano come un ulteriore segno di punteggiatura nel sottolineare particolari accenti delle scelte introdotte dagli architetti.

Si iscriveva al primo gruppo la coppia di lavori installati da Jacopo Miliani (Firenze, 1979) nella Sala della Cancelleria sul tema dell'oscuramento/svelamento: un lungo drappo nero che, caduto dal soffitto, ricopriva oscurandola alla vista la parte anteriore della teca che contiene la "Testa detta di Teodora" e una struttura specchiante che rivelava invece la faccia posteriore del dispositivo ideato dagli architetti per sorreggere la "Mandorla con Redentore Benedicente e Madonna Assunta".
Linda Fregni Nagler (Stoccolma, 1976) col suo intervento intitolato Le Musée Imaginaire, dall'omonima opera di André Malraux sulla costituzione e funzione del Museo in Europa, ha introdotto un elemento 'destabilizzante' nelle undici teche atte a contenere parte della collezione di Arte Applicata. Ha sostituito lo sfondo azzurrino, di quel colore che sta bene con tutto e su cui, dagli argenti alle maioliche, qualsiasi oggetto si staglia con contorni definiti, con delle stampe fotografiche provenienti dall'archivio del Museo di Storia Naturale di New York, mettendo in atto quel meccanismo di decontestualizzazione che è paradigma del Museo Europeo.
Onirica e volutamente ironica l'opera realizzata dal gruppo Super! (Massimiliano Buvoli, Riccardo Previdi, Patrick Tuttofuoco), un pallone aerostatico sospeso di qualche metro da terra e illuminato dall'interno che mirava a inserire nel contesto ambientale un elemento alieno che modificasse la percezione del visitatore.

Tra il gruppo di lavori in più stretta relazione con i display espositivi ideati dai BBPR, il lavoro di Luca Trevisani (Verona, 1979) che si percepiva in due tempi, di cui, la prima parte era un parallelepipedo in plexiglas, il vuoto ribaltato di una struttura in cemento realizzata dai BBPR a supporto di capitelli del XII secolo. All'interno del parallelepipedo erano stati inseriti in fase preparatoria un drappo di stoffa e dei fumogeni colorati, cari a Trevisani, che hanno tinto il drappo poi esposto nella Cappella Ducale dietro una Madonna lombarda del XV secolo.
Per la Sala delle Asse, interamente rivestita in legno, Invernomuto (Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi) aveva pensato un'installazione video proiettata all'interno di una struttura a tronco di piramide le cui pareti portavano i segni di una parziale combustione, il cui suono era dislocato lungo le scale che portano al secondo piano della "Rocchetta".
Andrea Sala (Como, 1976) aveva collocato nella Sala dei Ducali un'installazione composta da tre sculture in lamiera forata che si rifacevano a un elemento architettonico presente nel Padiglione canadese progettato dai BBPR tra il 1956 e il 1957 (pubblicato su Domus 346 del 1946).
Mirko Smerdel (Firenze, 1978), infine, si è ispirato al tema funerario per Mille antenne ripetono: "addio...", nella Sala degli Scarioni dove aveva collocato sotto il "Monumento funebre di Gaston de Foix", la prima pagina del quotidiano L'Unità interamente dedicata ai funerali di Luigi Berlinguer, leader comunista stroncato da un ictus nel 1984. La seconda opera di Smerdel, allestita lungo il corridoio del secondo piano tra le teche contenenti la Raccolta di Arti Applicate, constava sette piramidi in legno ricoperte con immagini d'archivio del funerale Berlinguer, di un funerale privato e collage di dettagli architettonici di edifici dei BBPR.

Una mostra intellettualmente raffinata, in sintonia con l'intervento architettonico compiuto dai BBPR oltre cinquant'anni fa, ma chi sperava di trovare delle soluzioni alla pratica dell'allestimento oggi, sarà rimasto deluso.
Giulia Guzzini

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