Quando la modernità distrugge le città

A Cali, in Colombia, l’eredità della pianificazione urbana europea mostra come i sogni di progresso cancellino intere comunità.

di Kurt Hollander

Il governo municipale di Cali, in Colombia, ha recentemente annunciato l’intenzione di affittare gli spazi inutilizzati sotto le sopraelevate e le autostrade urbane per uso commerciale. Questa riconversione e privatizzazione dello spazio pubblico rappresenta un piccolo ma significativo tassello del “rinnovamento urbano”, che negli ultimi anni ha devastato gran parte del patrimonio architettonico e della cultura popolare della città in nome della modernizzazione.

Nel 2015, per far posto a Ciudad Paraíso – un’“oasi urbana” con torri residenziali scintillanti e un centro commerciale di lusso nel cuore di Cali – tre quartieri popolari storici furono rasi al suolo. Dieci anni dopo, di quel sogno di progresso resta solo lo scheletro di un grattacielo incompiuto e un enorme parcheggio, dove un tempo vivevano migliaia di persone.

Nel 2024, dopo aver ospitato con successo la COP16 e scoperto il potenziale della città per il “turismo verde”, l’amministrazione locale ha avviato una nuova fase di “rinnovamento” del centro di Cali. Tuttavia, senza investimenti concreti per migliorare la qualità della vita dei residenti, la “riqualificazione” si è tradotta in poco più di un’operazione di facciata: i venditori ambulanti sono stati cacciati a forza dalle strade e le prostitute allontanate dai parchi.

A Cali, come in molte altre città del mondo, il rinnovamento urbano e l’idea di “abbellimento” affondano le loro radici nei modelli europei di modernizzazione. Negli anni ‘40, Cali – allora la terza città più grande della Colombia, con circa 180.000 abitanti – era ancora intrappolata in un assetto urbano di stampo feudale, al punto da essere a malapena considerata una vera città. Le infrastrutture erano state progettate esclusivamente per soddisfare le esigenze dei proprietari terrieri e degli industriali locali, mentre il resto della popolazione era lasciato a se stesso. I quartieri più poveri si sviluppavano in modo disordinato, espandendosi sulle colline circostanti per accogliere le masse di operai impiegati nelle fabbriche e nelle piantagioni.

I piani elaborati decenni fa non avevano previsto come gli effetti collaterali del neoliberismo – migrazione di massa, povertà, disuguaglianza – avrebbero infranto quelle visioni utopiche.

Quando Bogotá e altre grandi città colombiane decisero di affidarsi a un urbanista europeo per pianificare il loro sviluppo, Cali non volle rimanere indietro. Così, nel 1947, l’architetto viennese Karl Heinrich Brunner, uno dei primi urbanisti europei della sua generazione, elaborò il “Piano Futuro” della città, uno studio approfondito finalizzato a organizzare la sua crescita e urbanizzazione a lungo termine.

Brunner sottolineava come Cali, con il suo fiume che l’attraversa, avesse tutte le caratteristiche delle migliori città europee e “una topografia ideale per diventare una metropoli moderna”. Secondo lui, tra tutte le città della Colombia, era quella che più si avvicinava al modello della città californiana: “pittoresca, moderna, soleggiata, una città che incarna il mio più grande ideale per il mondo intero: la grande città-giardino”.

Nel suo Manuale di Urbanistica, pubblicato nel 1939, Brunner mirava a “contribuire alla formazione di una coscienza urbanistica americana”, combinando politica, sociologia, ingegneria urbana e arte urbanistica. Grazie alla sua formazione da pilota, aveva imparato a scattare fotografie aeree delle città, ottenendo così una visione privilegiata del territorio e delle sfide da affrontare.

Foto Kurt Hollander

Per Cali, Brunner partiva dal presupposto che l’impianto urbano esistente dovesse essere preservato, integrandolo però con nuove aree verdi e infrastrutture in grado di rispondere alle esigenze di una città in espansione. A Bogotá riuscì a concretizzare questa visione, progettando diversi quartieri residenziali pedonali con viali curvilinei e giardini, oltre a una grande arteria stradale ancora oggi funzionante dopo quasi un secolo.

Ma a Cali i suoi piani incontrarono forti resistenze: non solo non si allineavano agli interessi della speculazione immobiliare locale, ma l’oligarchia cittadina non vedeva alcun motivo per investire ingenti somme nella modernizzazione e democratizzazione dello spazio urbano.

Brunner, che si considerava vittima di “pregiudizi anti-stranieri” e che fu accusato di aver accettato incarichi privati mentre era sotto contratto governativo, venne licenziato. Il suo Piano Futuro – meticolosamente disegnato in scala 1:5000 – insieme ai suoi acquerelli, fotografie aeree e paesaggi urbani realizzati a mano, fu accantonato e infine dimenticato. Dopo aver dedicato 15 anni della sua vita alla Colombia, Brunner tornò a Vienna, dove divenne uno degli urbanisti più influenti d’Europa.

Foto Kurt Hollander

Nel 1950, dieci anni dopo la partenza di Brunner, l’architetto svizzero-francese Le Corbusier, uno dei più influenti esponenti del modernismo europeo, fu incaricato di elaborare un nuovo Piano Futuro per Bogotá e altre città colombiane, tra cui Cali.

All’epoca, Le Corbusier collaborava con Paul Lester Wiener e José Luis Sert nello studio Town Planning Associates (Tpa), con sede a New York. La sua visione dell’architettura e dell’urbanistica si basava sui principi della produzione industriale standardizzata: secondo lui, le città dovevano essere progettate come catene di montaggio, in grado di rispondere alle esigenze di un mercato internazionale in espansione. Corbusier e TPA, una delle più importanti realtà globali dell’architettura dell’epoca, esportarono in diverse città della Colombia e dell’America Latina il loro modello modernista, fatto di grattacieli residenziali, centri commerciali e grandi arterie stradali a più corsie.

Le Corbusier e Tpa puntavano a costruire una città scintillante sulle macerie fumanti dei quartieri demoliti.

L’ideale di Brunner di una città-giardino e il suo rispetto per i centri urbani esistenti non erano condivisi dai suoi successori. Le Corbusier e Tpa puntavano a costruire una città scintillante sulle macerie fumanti dei quartieri demoliti. Il fulcro del Piano Tpa per Cali era un imponente centro commerciale, connesso al resto della città tramite strade a scorrimento veloce e ponti pedonali. Nel suo libro Can Our Cities Survive? (1942), José Luis Sert sosteneva: “Questi centri commerciali sono l’elemento che distingue i piccoli insediamenti rurali dalle vere città”.

Foto Kurt Hollander

Tuttavia, poiché a Cali non esisteva un ufficio governativo in grado di fornire a TPA le informazioni precise necessarie per sviluppare il Piano Futuro, le scadenze non furono rispettate e il destino del progetto risultò compromesso. A complicare ulteriormente la situazione, un cambio di amministrazione portò al potere nuovi politici poco inclini ad accogliere il piano di TPA. Così, nel 1953, nonostante fosse già stato finanziato, il Piano Futuro per Cali venne accantonato prima ancora che potessero iniziare i lavori.

I due progetti visionari per la città, elaborati da alcuni tra i più importanti urbanisti europei, sarebbero rimasti semplici schizzi su carta se non fosse stato per i Juegos Panamericanos, il secondo evento sportivo più importante al mondo, che scelse Cali come sede per l’edizione del 1971.

Per soddisfare i rigorosi requisiti imposti dall’evento, furono necessarie trasformazioni radicali dell’infrastruttura urbana. Per costruire una città moderna nel cuore di Cali, vennero demolite diverse strutture storiche, tra cui una base militare e un grande hotel, oltre a interi quartieri residenziali. Al loro posto sorsero imponenti edifici in cemento e una rete infrastrutturale sopraelevata che ridefinì il panorama urbano.

Prima che grattacieli e centri commerciali diventassero il simbolo della modernità in America Latina, il progresso di una città si misurava dalla qualità delle sue infrastrutture, in particolare ponti, tunnel e autostrade urbane, che permettevano ai cittadini della classe media di spostarsi sempre più velocemente verso un futuro radioso. Il Piano Stradale di Cali, elaborato nel 1969, si ispirava, direttamente o indirettamente, ai progetti precedenti di Brunner e Le Corbusier. Come immaginato da entrambi, la modernizzazione della rete viaria della città prevedeva la costruzione di ponti sopraelevati, cavalcavia e tunnel per collegare le nuove autostrade a La Calle Quinta, la principale arteria nord-sud di Cali.

Costruita nel 1690, La Quinta è spesso descritta come l’avenida più bella della città, tanto da essere paragonata alla Fifth Avenue di New York per prestigio e importanza. Si estende per quasi otto miglia in linea retta, dalla Carrera 1 alla Carrera 100, e in origine era stata progettata per collegare le haciendas di zucchero e caffè del sud con il centro politico ed economico della città.

Nel 1969, in vista dei Juegos Panamericanos, La Quinta venne finalmente asfaltata e dotata di semafori e segnaletica stradale, nel tentativo di porre fine al caos urbano che fino ad allora aveva caratterizzato Cali. Per l’inaugurazione dei giochi, grazie ai nuovi svincoli a quadrifoglio e ai viadotti in cemento che si intrecciavano con le autostrade sopraelevate, venne ribattezzata la “Via della Modernizzazione”.

Foto Kurt Hollander

Oggi La Quinta è la linfa vitale della città: lungo il suo percorso si trovano il principale ospedale pubblico, la biblioteca comunale, l’arena per la corrida, lo stadio di calcio e la più grande università pubblica, oltre a molte delle storiche discotecas di salsa. Tuttavia, le autostrade sopraelevate e la rete stradale che convergono su La Quinta da tempo hanno smesso di essere simboli di progresso. Gli spazi sotto i cavalcavia si sono trasformati in luoghi di abbandono e degrado sociale, angoli inquietanti e maleodoranti che oggi sono spesso utilizzati come fumaderos (posti per fumare marijuana), metederos (dove si consuma il basuco), cagaderos (cessi improvvisati) e desnucaderos (posti per fare sesso), frequentati dalla numerosa popolazione senzatetto della città.

Eppure, questi vuoti architettonici ospitano anche fonti di cultura e economia alternative: qui le popolazioni indigene vendono il loro artigianato, i venditori ambulanti offrono frutta fresca e i taxi pirata raccolgono clienti. L’acustica di questi spazi semi-sotterranei e i graffiti che ne ricoprono le pareti li hanno resi anche scenari ideali per feste di salsa, rap e reggae.

Foto Kurt Hollander

La Quinta è da sempre anche un luogo di protesta. Per anni, cortei organizzati da gruppi indigeni, sindacati e studenti hanno attraversato questa arteria. Durante gli scioperi nazionali del 2019 e del 2022, indetti contro le dure riforme economiche imposte alla classe lavoratrice, qui si sono concentrate le manifestazioni più imponenti. Per bloccare il traffico e proteggersi dalla violenza della polizia antisommossa e dei gruppi paramilitari, i manifestanti hanno eretto barricate con tronchi d’albero, lamiere e pneumatici incendiati, contribuendo a consolidare la fama di Cali come “Città della Resistenza”.

Durante gli scioperi nazionali, gli spazi sotto i cavalcavia lungo La Quinta si trasformavano in punti di ritrovo per i manifestanti, cucine comunitarie e dormitori improvvisati, mentre i muri si riempivano di graffiti politici e murales. Furono anche teatro delle più violente repressioni da parte della polizia, che portarono all’uccisione di diversi manifestanti pacifici, oggi commemorati da opere d’arte in loro memoria.

Gli urbanisti europei erano ottimisti, convinti che le linee e le forme geometriche disegnate sui loro progetti avrebbero dato vita a città luminose e felici. Ma i piani elaborati decenni fa non avevano previsto come gli effetti collaterali del neoliberismo – migrazione di massa, povertà, disuguaglianza – avrebbero infranto quelle visioni utopiche. Né potevano immaginare che gli spazi disfunzionali della loro architettura brutalista sarebbero diventati luoghi di resistenza contro gli abusi e le ingiustizie della modernità.

Foto Kurt Hollander

Invece delle meraviglie di una città-giardino, la modernizzazione europea ha lasciato a Cali solo costruzioni brutaliste e brutti bunker di cemento, con strade sopraelevate che scorrono letteralmente sopra le teste di chi cerca di sopravvivere in spazi che non vedono mai la luce del sole. Quella che doveva essere una rivoluzione urbana, pensata per mettere ordine nel caos e proiettare la città nel futuro, ha finito per sfollare migliaia di lavoratori e radere al suolo interi quartieri, rivelando così il volto distruttivo della modernità.

Eppure, l’ossessione per l’“abbellimento” di Cali continua. Per eliminare questi spazi oscuri e degradati, il governo locale sta cercando di riconvertire le zone sotto i cavalcavia, in particolare lungo La Quinta, trasformandole in aree commerciali. Ma installare minimarket e illuminazione artificiale non risolverà in alcun modo il problema. Una soluzione più efficace potrebbe essere adattare questi spazi alle esigenze delle comunità marginalizzate, in particolare dei giovani lavoratori, attraverso la creazione di skate park, centri culturali o orti urbani. Solo così ci si potrà davvero avvicinare all’idea di una città-giardino americana.

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