La genesi di quest’opera resterà unica per molte ragioni, la più importante è che accompagnerà per sempre il nome di Snøhetta a quello di Mario Botta, l’architettura contemporanea del costruire scultoreo per emozioni, e i canoni di un classicismo Post Moderno. Una personalità alpina granitica e l’altra nordica solare. Il SFMoMA sarà questo per sempre. Non potrà mai esser letto senza la dicotomia da cui è nato.
Resta il fatto che San Francisco è in un momento di grande riaffermazione urbana, e ha bisogno per questo di lasciar fare, di lasciare che l’architettura si esprima per costruire la nuova identità della città. Per quell’obiettivo si concede (all’architettura) di sorprendere, di non piacere per forza, e a volte di essere anche strana, ma sempre stimolante. Il nuovo SFMoMA sale sui tetti e reclama la sua dirompente identità. Non vuol dipendere da nessuno.
Chissà che non sia nel dibattito aperto su arte, città e ruolo dell’architettura, la vera eredità consegnata da Snøhetta a San Francisco.