Dove le città parlano ai soldi

Sam Jacob ci offre un ritratto del MIPIM, la fiera del mercato immobiliare di Cannes, dove i meccanismi di costruzione urbani vengono messi a nudo.

Dove_le_città_parl_ai_soldi: Danilo Argutoli


Questo articolo è stato pubblicato su Domus 969, maggio 2013

 

Gli addetti all’imbarco controllano la lista dei passeggeri di un volo EasyJet in partenza da Gatwick: “Ci sono 170 uomini e 20 donne. Dev’esserci una partita di calcio!”. E invece no: sono gli immobili, e non il calcio, ad averci radunati qui alle prime luci dell’alba. Come altri 20.000 delegati provenienti da ogni parte del mondo, siamo diretti al MIPIM (Marché International des Professionnels de l’Immobilier), la fiera internazionale del settore immobiliare che si tiene ogni anno a Cannes. mipim è il luogo in cui grandi operatori immobiliari, urbanisti, agenzie, investitori, autorità regionali e municipali—e anche quanti si trovano ai livelli inferiori della “catena alimentare”, come, per esempio, esperti di reti fognarie e architetti—s’incontrano, promuovono progetti, si procurano e coltivano contatti e, soprattutto, si scambiano i biglietti da visita.

La prima domanda che fanno i delegati del MIPIM, quando arrivano sulla Promenade de la Croisette è: “Com’è il clima?”. Per ‘clima’ intendono l’indicatore del sentimento economico, lo stato d’animo, l’atmosfera generata dalla concentrazione di così tante persone in un unico luogo (sarete lieti di apprendere che, nelle risposte, ricorrono parole come ‘migliore’, ‘positivo’, ‘buono’ e ‘disteso’, che lasciano intendere un’impressione generale non negativa).

L'ultima manifestazione del MIPIM, tenutasi lo scorso marzo, ha contato 20000 partecipanti, 4272 investitori e la presenza di 79 Paesi su una superfiecie espositiva di 19.000 m2. Sopra: l'illustrazione di Danilo Agutoli si ispira al Vortice di Prospettiva Totale, un'invenzione di Douglas Adams nella Guida galattica per gli autostoppisti. Si tratta di una macchina che, attraverso l'analisi di oggetti munuti, come può essere una mini cupcake, rivela il senso dell'universo, secondo la teoria per cui le piccole cose contengono in sé tutti gli elementi dell'universo stesso

La geografia del MIPIM ha come centro il Grand Palais, nome romantico dell’avveniristico palazzo espositivo: un gigantesco edificio a sbalzo pieno di spigoli, sospeso sul molo come una dozzinale scenografia di fantascienza e soprannominato “il Bunker”. Le sue halles si estendono per lunghe prospettive, caoticamente stipate di rumorosi stand. Ognuno di essi espone una qualche merce, merce che è spesso difficile definire con precisione. Talvolta, mostrano prodotti per i gruppi immobiliari: una società di parcheggi si vanta di gestire 750.000 posti auto in tutto il mondo; un’agenzia svende terreni del demanio militare polacco e distribuisce borse argentate. Talaltra, sono le società immobiliari a pubblicizzare i propri edifici tra gli investitori. Uno stand, per esempio, è arredato come un palazzo di San Pietroburgo: mobili dorati, lesene, tappezzerie di color acquamarina. Alle sue pareti sono appesi dipinti a olio con cornici dorate degne dell’hotel di un aeroporto di secondo livello o della sede regionale di un’azienda di noleggio di fotocopiatrici.

Negli stand non mancano quasi mai gli arredi di scena: la fotografia firmata di un pugile lituano ritratto su un letto ricoperto di prato artificiale; una tuta spaziale russa che pubblicizza So Toulouse, l’ente del turismo di Tolosa; e finti quadri di Mondrian (sono moltissimi, c’entra qualcosa l’Olanda?).

Il livello qualitativo degli stand è assai vario: si va dalle società immobiliari di alta gamma come mebe, che utilizza mipim per farsi conoscere in tutto il mondo, ai pomposi e giganteschi modelli di Respublika (il più grande centro commerciale d’Europa—benché sia difficile dire se esista veramente), ai bizzarri incontri che si svolgono nei più tranquilli (e, probabilmente, più economici) corridoi sul retro (avete in mente i centri commerciali Family Fun?).

Allo stesso tempo, vi sono anche stand come quello di GE Capital Real Estate (“Imagination at Work”), il cui mistero è eguagliato solamente dalla paura di sapere quale possa essere la sua vera influenza globale. In tutto questo, è difficile distinguere ciò che è reale da ciò che è frutto dell’immaginazione, ciò che è solido da ciò che è un prodotto molto pubblicizzato, ma che ancora non esiste e che forse non vedrà mai la luce.

Appena si entra nel Bunker, si perde qualsiasi percezione dello spazio. Si percorrono enormi corridoi circolari, uno dopo l’altro, finendo sempre per trovarsi nello stesso posto, senza sapere esattamente come ci siamo arrivati. Si potrebbe anche partire dallo stesso punto, percorrere lo stesso cammino e finire per trovare qualcosa di diverso, come se l’intera disposizione dell’ambiente fosse stata riorganizzata mentre non si stava guardando.

Passando accanto ai vari modelli, realizzati in luccicante plexiglas su isole galleggianti di legno di recupero, o accanto a fantasiosi plastici ferroviari iperreali, ogni cosa incomincia a fondersi con ciò che le sta accanto. Anzi, la combinazione di ipnosi espositiva e bassa glicemia rende difficile distinguere dove finiscono i modelli e dove iniziano plinti, mobili e omaggi. Le dimensioni relative delle cose si confondono a tal punto che le tavole di stuzzichini belgi o scandinavi iniziano a sembrare piani regionali di sviluppo urbanistico. I lunghi fusti delle piante collocate in giganteschi vasi astratti (vasi particolarmente ripugnanti, perché sembrano versioni ingrandite delle vene ‘plastinate’ di Gunther von Hagens) potrebbero essere scambiate per città di 20.000 abitanti. Tutta questa roba trasportata e assemblata frettolosamente nel Palais diviene interscambiabile, trasmutabile, equivalente.

Vado in giro per il padiglione della Logistica, che mette in mostra le opportunità d’investimento nei nodi delle reti di trasporto dell’Europa centrale. Modelli di sublime banalità mostrano capannoni industriali pieni di autoarticolati e parcheggi d’asfalto circondati da generici boschi. Sono plastici che riproducono con straordinaria precisione tutti i dettagli delle infrastrutture fondamentali del mondo moderno. Colpiscono anche le grandi fotografie di anonime intersezioni autostradali.

Le dimensioni delle cose si confondono a tal punto che le tavole di stuzzichini belgi o scandinavi sembrano piani regionali di sviluppo urbanistico
Gli stand più affascinanti, comunque, sono quelli dedicati a città e regioni. Non sono presentati veri e propri progetti, ma idee, concetti e visioni che vi chiedono d’investire i vostri soldi. La regione della città francese di Lilla, per esempio, si definisce amazing (seguito dal più serio, ma incomprensibile slogan “Al centro dell’area con i più alti consumi d’Europa”). I numerosi stand hanno dimensioni e impatto visivo assai diversi: vanno dai balconi di appartamento adorni di striscioni con la scritta “Coventry & Bristol”, come se si trattasse di uno spareggio del terzo turno della Coppa d’Inghilterra, alle grandi tende piantate lungo il bordo dell’acqua nei casi di Londra, Parigi, Mosca e Krasnodar—una regione dal nome mitico che, per gli appassionati di geografia, si trova in qualche angolo della Federazione russa. La tenda della regione di Krasnodar sfoggia modelli giganteschi, che vanno dal prosaico (un modello mirabilmente preciso di una minuscola fabbrica per la lavorazione del legno) al fantastico (un circuito di Formula 1, che sembra ospitare anche una base spaziale) e un robot che si esprime in russo. Secondo i veterani del MIPIM, rispetto al passato, lo stand è però rimasto senza le belle gambe delle bionde ragazze del luogo. (Breve nota: se al vostro corrispondente novizio tutto appare nuovo, i regolari frequentatori della fiera riferiscono che buona parte degli stand e dei modelli viene riciclata per molti anni).

È sotto questo aspetto che il MIPIM comincia a rivelare qualcosa che non puoi vedere altrove: qui le città e le regioni non si presentano come i luoghi che tutti noi conosciamo, i luoghi in cui abitiamo, lavoriamo e amiamo. Qui si presentano come marchi, come opportunità d’investimento, come aziende. Al MIPIM le città parlano ai soldi. Rivolgono lusinghe e sussurri al denaro, parlano ad alta voce (e non è affatto escluso che arrivino anche a gridare). Ma non si capisce mai dove siano questi soldi. Qui tutti vendono qualcosa, anche se, di solito, non è ben chiaro che cosa venga venduto. E, nella maggior parte dei casi, rimane oscuro chi sarebbero i possibili acquirenti.

Vi è qualcosa di spietato in tutto questo. Citerò una statistica di cui ho preso sommariamente nota nel tendone di una festa in spiaggia, distratto com’ero dal sordo frastuono del frangersi delle onde e da un faro che lampeggiava una luce rosso sangue lontano sul mare.

Non contano i numeri, ma il clima—e il fatto che sia il vicesindaco di Londra a dirlo: “Tra 30 anni, le 600 città più importanti del mondo, cioè quelle economicamente più sviluppate e aperte al mercato, saranno per un terzo diverse da quelle di oggi”. Queste parole non sono solamente un indice della paranoia dei Paesi economicamente più forti. Naturalmente, tutti noi immaginiamo le città come luoghi nei quali abitiamo e lavoriamo, luoghi guidati da Governi democratici. Ma al mipim le città sono qualcosa di diverso: sono veicoli d’investimento e brand. In altre parole, sono entità che competono sul mercato. E competono ferocemente le une con le altre per gli investimenti, la crescita e lo status.

Questo è il messaggio, neanche tanto oscuro, di quasi tutto ciò che si trova al MIPIM. È scritto sul gigantesco modello di Londra collocato all’interno dello stand della città (con il motto pubblicitario “The Winning City”). È presente nel modo in cui il plastico della città s’illumina di un bagliore tecnoblu per rivelare i grandi progetti immobiliari di oggi e di domani. È presente negli stand degli enti locali di Southwark, Enfield, Croydon e Newham, che pubblicizzano le possibilità del capitale di prendere forma urbana all’interno dei loro confini municipali. Si percepisce all’arrivo in città—in sella a una “Boris Bike”—di Boris Johnson, il sindaco di Londra che, per attaccare Parigi, specula tutto il giorno sulla voce secondo la quale Nicolas Sarkozy e Carla Bruni potrebbero trasferirsi a Londra e proclama: “Sono il sindaco della sesta più grande città francese”—facendo riferimento alla grande comunità di francesi residente a Londra. È presente anche nell’elegante, riuscitissimo stand di Manchester, nel quale il professor Brian Cox pronuncia una difesa appassionata degli investimenti in cultura e istruzione. Ed è anche miseramente visibile nelle pile di opuscoli abbandonati tra le tazze mezze piene di caffè e succo d’arancia.

All’architettura il MIPIM insegna una bella lezione: nonostante le migliaia di metri quadri di modelli di edifici, l’architettura mantiene un ruolo marginale nel corso degli eventi. È un po’ come il Vortice di Prospettiva Totale, il grande strumento di tortura esistenziale inventato da Douglas Adams nella Guida galattica per gli autostoppisti. Come il VPT, il MIPIM rivela la dimensione infinitamente piccola dell’architettura rispetto all’universo dei grandi investimenti immobiliari. Il tremendo spavento è, tuttavia, importante. Il dolore e l’angoscia di questa terribile rivelazione potrebbero forse aiutarci a impegnarci nuovamente nel progetto della città, a comprendere i meccanismi di costruzione urbani e a capire esattamente che cosa sono diventate le città all’inizio del xxi secolo.

Tornati a Nizza, durante la coda per il volo EasyJet, i sopravvissuti del MIPIM controllano il proprio bottino di biglietti da visita. Riuniti in gruppi, esaminano ciascuno il proprio mazzetto, aggiungendo qualche annotazione che li aiuti a ricordare (per esempio, “Il grassone al bar”) o scambiando doppioni come si barattano le figurine dei calciatori al campo giochi. Forse è questo il vero scopo del mipim: anche se non succede niente, anche se non si stringono accordi, è il fatto di essere venuti tutti qui a giocare e a lasciarci giocare, per quanto, in realtà, non si tratti affatto di un gioco. Sam Jacob, Architetto e critico, direttore dello studio FAT

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