Filip Dujardin: modernismo da steroidi

Tra realtà e finzione, l'artista-fotografo belga recupera l'arte del collage per costruire un nuovo linguaggio a partire dalla tradizione architettonica modernista.

All'inizio il collage, tipicamente confuso e grezzo, catturava l'energia e la frenesia di un Modernismo ancora indefinito, di un'esigenza di cambiamento sulla spinta delle trasformazioni sociali ed economiche, nonché dell'ottimismo del progresso tecnologico. Oggi, certi collage sono diventati lineari e realistici, e paiono contraddistinguere l'altro polo dello spettro modernista: un'epoca impegnata a rendere ancora vivibili gli ultimi brandelli modernisti. Parecchi architetti fanno il lifting, gonfiano o espandono il blocco modernista tanto da creare nei siti, spesso originariamente interni al perimetro urbano, zone socialmente e ambientalmente inquietanti. Mentre i loro progetti di ristrutturazione sono spesso ispirati al pragmatismo (dare nuova dignità formale a superfici interamente vetrate e aggiungere strutture parassite su sistemi rigidi preesistenti), è il lavoro dell'occasionale artista che porta la visione modernista a un livello assolutamente differente.

Qualche anno fa, l'artista fiammingo Filip Dujardin ha iniziato a ricostruire un nuovo linguaggio a partire dalla condizione modernista. Questo linguaggio suggerisce una realtà modernista finora inedita, fatta di radicali membrature a sbalzo che portano all'estremo le ambizioni di Frank Lloyd Wright, di forme iconiche aliene che fanno sembrare conservatore Rem Koolhaas e di fervidi blocchi residenziali che innestano la necessaria joie-de-vivre nelle idee di Le Corbusier. Spesso ci si aspetta che gli 'edifici' di Dujardin siano pezzi sconosciuti dell'Europa orientale o del costruttivismo russo, mentre in realtà esistono solo nelle stampe di Dujardin. Sono il risultato dei suoi viaggi d'esplorazione per il Belgio, dove raccoglie l'occasionale momento magico delle spesso assolutamente convenzionali strutture del Ventesimo secolo, e poi lo usa come materiale digitale con cui costruire i suoi collage d'architettura. L'atteggiamento di Dujardin riprende quello della Collage City del 1978 di Colin Rowe e Fred Koetter, che definisce la tecnica del collage come un modo per utilizzare certi oggetti in un nuovo contesto, senza doverli necessariamente accettare del tutto nel loro contesto originario. Nemmeno Dujardin condivide questa convinzione, ma come per Rowe e Koetter, questi momenti gli permettono di dar vita a una strategia in grado di trasformare l'utopica illusione dell'immutabilità in un potenziale stimolo reale al cambiamento, al dinamismo, all'azione e alla storia. L'opera di Dujardin si colloca su un interessante confine tra realtà e finzione, che ci permette tra l'altro di affinare un po' l'intuito in mezzo all'attuale resurrezione del blocco modernista. Forse un fanatico pastiche di Modernismo sul Modernismo può trasformare momenti altrimenti tristi in monumenti autonomi.
Filip Dujardin, <i>Untitled</i>, dalla serie Fictions, 2007-2010
Filip Dujardin, Untitled, dalla serie Fictions, 2007-2010

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