Quando Herzog & de Meuron e Prada hanno reinventato l'architettura della moda

Nel 2003, Domus presentava il progetto di Tokyo con cui gli architetti svizzeri e il brand di Milano si univano in un loro grande classico: innovare le tipologie.

Il binomio grande brand della moda/grande firma dell'architettura internazionale è ormai qualcosa di consueto, fa parte di un linguaggio culturale e di mercato dove i confini dei due mondi sono sempre più sfumati, dove l'architettura entra direttamente nelle sfilate e nelle collezioni. Le origini di  questo scambio vanno molto indietro nei decenni, ma è ad inizio millennio che si verifica la saldatura dal più alto valore simbolico, attorno ad una serie di architetture che, complici le collocazioni molto specifiche in diverse metropoli del mondo, creano quasi una nuova tipologia: quella dello store-scultura capace di diventare oggetto segnale di un'identità nel contesto urbano. Deyan Sudjic raccontava uno di questi episodi nel luglio 2003, sul numero 861 di Domus, trovando anche l’occasione per tracciare un profilo istantaneo di due grandi nomi dello star system architettonico internazionale, all’epoca della loro consacrazione.

Domus 861, luglio 2003

Cultura e mercato

A volte sembra che Jacques Herzog e Rem Koolhaas si considerino rispettivamente i Picasso e i Braque dell’architettura contemporanea: torreggianti senza sforzo al di sopra dei loro pari, come accadde ai due cubisti che dominarono la pittura del loro tempo, “simili a due alpinisti legati l’uno all’altro per l’assalto finale alla vetta”, come diceva Picasso.

In effetti, anche Herzog e Koolhaas hanno pensato di lavorare insieme: si era parlato di un progetto comune per la Tate Modern, prima che lo studio Herzog & de Meuron vincesse il concorso indetto per la costruzione. Poi Herzog e Koolhaas si dedicarono al progetto di un albergo per Ian Schrager a New York, andato a fondo per l’allegra disinvoltura con cui Koolhaas riesce ad alienarsi le simpatie del committente: molto lealmente, Herzog ha declinato l’offerta di andare avanti da solo.

Domus 861, luglio 2003

Il rapporto fra i due è forse più una simbiosi che una partnership. L’irrequieto, geniale, ma erratico Koolhaas, come il direttore di un circo, tiene in pugno il mondo dell’architettura che gli risponde docilmente trattandolo come il suo grande pensatore. Dei due Herzog è certamente il più tranquillo e il più accorto. Hanno trasformato il dibattito architettonico degli ultimi vent’anni, Koolhaas adoperandosi per concentrare l’attenzione della gente su un paesaggio urbano che cambia con una rapidità da capogiro, Herzog inventando una folgorante serie di nuove tipologie e nuovi modi di costruire, che danno materia a un’intera scuola di epigoni.

Domus 861, luglio 2003

Herzog e de Meuron hanno in un certo senso raggiunto la velocità di crociera. Ogni loro progetto si fonda e si riallaccia in modo brillante al lavoro già fatto, ogni edificio esprime un modo nuovo di guardare all’architettura. Il negozio Prada di Tokyo viene immediatamente dopo quello ormai celeberrimo di Koolhaas a New York. Il progetto di Herzog e de Meuron a Tokyo, il cui costo è stimato in 80 milioni di dollari, ha superato i 50 milioni del negozio di New York, ma architettonicamente e urbanisticamente parlando è senz’altro il più ambizioso e il più raffinato, oltre che gradevolmente immune da iperboliche stravaganze.

Per Herzog un negozio non è niente di più e niente di meno di un negozio, non è il pretesto per creare un nuovo ordine del mondo: ma questo di Tokyo è un negozio bellissimo, allestito con una finezza di esecuzione tutta giapponese e con una risolutezza svizzera, che danno luogo a un’opera di architettura di grandissimo livello.

Domus 861, luglio 2003

Prada investe nell’architettura contemporanea almeno quanto nella Coppa America, per le stesse ragioni d’immagine ma anche per entusiasmo autentico. Decisamente riesce nell’intento di far parlare di sé, ma ha anche bisogno di far comprare le sue scarpe d’argento, le sue borse di nylon, i suoi completi da uomo, le sue gonne, i suoi cosmetici, la sua biancheria. Herzog e de Meuron rendono questa operazione agevole per il pubblico, confortevole, addirittura indimenticabile. In cambio Prada ha dato loro l’occasione di “infilare” nel centro della città un edificio di grande impatto fisico, un cristallo rinforzato da una maglia d’acciaio che da alcune angolazioni gli fa assumere l’aspetto di un alveare.

Il negozio Prada è situato sulla Omotesando, l’equivalente, a Tokyo, della via Montenapoleone a Milano, di Bond Street a Londra, e di tutte le altre strade in cui, da Los Angeles a Shanghai, le firme della moda si stringono l’una all’altra come in cerca di calore: non sapendo bene quanto siano loro ad aver bisogno di quell’indirizzo, di quella strada, o quanto sia la strada ad aver bisogno di loro.

A Tokyo le cose sono però un po’ più complicate, anche perché qui la  “crosta” architettonica è molto fragile. I grandi edifici sfolgoranti che la fanno sembrare una città del futuro navigano in un mare di piccole costruzioni di legno, sparse a caso dappertutto. Per una ragione impossibile da capire per uno straniero, questa parte della città, ai margini del Parco Yoyogi, con i suoi giovanissimi frequentatori amanti della moda e della musica pop è stata identificata con la moda fin dagli anni Sessanta.

Domus 861, luglio 2003

È qui che Shiro Kuramata ha costruito il suo primo progetto per Issey Miyake e John Pawson ha realizzato un negozio per Calvin Klein ora scomparso. Qui, per fare un gesto architettonico incisivo, non basta più creare un interno di negozio. Per distinguersi in questo mare in continuo movimento bisogna costruire qualcosa alla scala di una superpetroliera, o addirittura di un’isola artificiale, se si vuole restare negli annali.

Di progetti di questo tipo ce ne sono sicuramente parecchi in via di realizzazione, ma già anni fa qui Kenzo Tange ha costruito la sede di Hanae Mori, ormai non più un fatto eccezionale. Tadao Ando ha realizzato una specie di centro commerciale della moda, Louis Vuitton sta nell’elegante struttura di Jun Aoki, di vetro e maglia metallica, Toyo Ito lavora a un progetto per Tod’s e Kazuyo Sejima sta costruendo un grande negozio per Dior.

Il nuovo negozio a sei piani di Herzog e de Meuron serve a definire questa nuova tipologia edilizia, in parte tabellone pubblicitario, in parte involucro architettonico. Gli architetti hanno concentrato la maggior parte degli spazi di vendita in una piccola torre pentagonale con il tetto a punta, situata in un angolo del lotto, e hanno lasciato libera, come una piazza pubblica, tutta la superficie restante.

Dato l’enorme costo del terreno, è un gesto davvero generoso, addirittura prodigo. Herzog da parte sua afferma di aver voluto abolire la distinzione fra vetrine, interni e architettura, e di avere concepito l’insieme come un tutto unico, senza soluzione di continuità. C’è una serie di spazi a doppia altezza incrociati da tubi d’acciaio che attraversano la struttura, e in alcune zone contengono i camerini di prova, in altre vetrine espositive.

Domus 861, luglio 2003

La torre ha una ‘coda’, uno stretto muro a nastro che si snoda lungo il margine del sito e lo ripara dai vicini, ma non si pone in modo ostile nei loro confronti. La finitura di questa ‘coda’ è davvero particolare: una pelle di muschio verde spunta attraverso piccoli blocchi quadrati, creando un motivo vagamente azteco. E questo dà la chiave per capire l’edificio con i suoi molteplici riferimenti a materiali naturali e a forme organiche, con il suo ondeggiare dal liscio al grezzo, dall’aderente all’ampio. Nella torre si trovano quattro diversi tipi di vetri: alcuni piani e trasparenti, altri intagliati per schermare i camerini di prova, i quali sono tutti addossati ai bordi della struttura a forma di cristallo.

Alcuni sporgono a bolla, altri invece sembrano risucchiati all’interno, come se l’edificio respirasse. All’interno si ritrovano gli stessi temi: dappertutto i soffitti sono di metallo forato, con una serie di buchi neri che ‘aspirano’ delicatamente la superficie verso l’interno per ospitare le luci. Nei corridoi le luci hanno l’andamento opposto, sono masse di gel al silicone che ‘ribollono’ verso l’esterno.

Domus 861, luglio 2003

Se alcune parti dell’edificio si presentano umide e muschiose verso l’esterno, all’interno si nota invece un interesse quasi perverso nel mescolare superfici ‘villose’ a finiture viscose: alcune rastrelliere appendiabiti sono foderate in pelle di cavallino, altre sono rivestite di silicone. Ci sono tavoli per esposizione in vetroresina stampata trasparente, altri riempiti di fibre ottiche, come tentacoli di medusa.

Nel seminterrato il pavimento è di quercia grezza, identico a quello usato da Herzog e de Meuron nella Tate Modern. Ai piani superiori invece i pavimenti sono di vari tipi: dall’acciaio laccato delle scale a una moquette color avorio masochisticamente delicata, che persino i giapponesi faticano a tenere pulita e senza macchia. È un’architettura molto fisica, molto tattile, ma anche spazialmente complessa, con aste d’acciaio che penetrano nel volume, scale multiple e una forma cristallina, ma irregolare.

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