Atlante Pontiano

Nel 1928, Aby Warburg comincia a lavorare al suo ultimo lavoro, che sarebbe rimasto incompiuto: Mnemosyne o L’Atlante delle immagini. L’enigmatico progetto di Warburg consiste in una massiccia raccolta di materiale, per lo più iconologico: circa un migliaio di fotografie, incorniciate, montate, assemblate secondo una logica precisa benché del tutto personale, che nelle intenzioni di partenza sarebbe dovuto servire a rappresentare la mappa del valore espressivo delle immagini nella storia della cultura occidentale.

Atlante Pontiano

Francesco Vezzoli
Gio Ponti, 1999
Ricamo in cotone su tela_Cotton embroidery on canvas 16 x16 cm

Pubblicato in origine su Speciale Domus Gio Ponti / anno 2008

Le tavole di Mnemosyne sono utilizzate come il materiale inesauribile
di un’esperienza culturale ancora viva, che può essere riattivata continuamente nel suo contenuto di contemporaneità. Nell’Atlante le riproduzioni fotografiche di pitture, icone e affreschi, allineate secondo un punto di vista non-monumentale, vivono di una nuova logica dell’attualità attraverso un ininterrotto processo di ricontestualizzazione. Quello che di straordinario accade con l’Atlante è che le immagini rianimate dal medium fotografico dismettono gli abiti della prova circostanziata, del documento compiuto, per trovarsi re-innestate in un circuito di esperienze che incidono direttamente sulla pelle dell’attualità. Ottant’anni fa, nel 1928, Gio Ponti fonda Domus. In occasione di questa ricorrenza, abbiamo voluto ricordare e rievocare la traiettoria creativa di Gio Ponti, senza ricadere nella retorica celebrativa e ridondante della commemorazione. Abbiamo immaginato di confezionare un numero speciale di Domus, di farne un numero unico, che in sé possa essere considerato come un piccolo oggetto pontiano. Per cimentarci con questo proposito, abbiamo chiamato in causa tredici artisti visuali – Pablo Bronstein, Jeff Burton, Martino Gamper, Arturo Herrera, Mimmo Jodice, Luisa Lambri, Salvatore Licitra, Walter Niedermayr, Martin Parr, Lisa Ponti, Tobias Rehberger, Tom Sandberg, Francesco Vezzoli, in rigoroso ordine alfabetico – ai quali è stato chiesto di usare Ponti come pretesto, ovvero come infra- o sotto- testo, come corpus, come segnavia, per esplorare l’universo pontiano con uno sguardo contemporaneo.
Si tratta, come per l’Atlante di Warburg, di tracciare una mappa che consenta di orientarsi, per il presente e per il futuro, in un viaggio al culmine dell’opera di Ponti. Un viaggio sicuramente simbolico, poiché comporta un perdersi e un ritrovarsi negli oggetti e nei concetti del designer e dell’architetto. Ma anche un viaggio reale, geografico: una mappa dei luoghi fisici in cui si trovano dislocate le creazioni di Ponti: Milano, Sanremo, Taranto, e poi Stoccolma, Parigi e Caracas.
In questo Atlante pontiano, concetti e oggetti costituiscono al tempo stesso il mezzo e il fine del viaggio. Trattate come materiale, come elementi di un discorso creativo di secondo grado, che si innesta come per concrezione sullo strato originario, le creature di Ponti sono sottoposte a reinquadrature stranianti, a sguardi attenti e decisi a spiazzarne le prospettive, a deviarne la semantica, in una parola,a reintepretarle in funzione di una novitas.
Abbiamo voluto chiedere a questi occhi d’artista un gesto provocatorio, sebbene non irriguardoso, nei confronti di Ponti. Lo sguardo può inquadrare il mondo a differenti profondità: si può interpretare, anziché registrare; si può essere uno sguardo, prima ancora di una retina. Invitando alla provocazione, abbiamo chiesto a questi artisti di intendere il termine nel suo senso letterale: pro-vocare Ponti significa chiamare in causa le sue opere mediante operazioni di interpretazione, di spostamento e di riterritorializzazione degli elementi percettivi e simbolici, in modo da obbligarle a esibire il tasso di influenza sul presente che oggi esse sono in grado di esercitare. Significa sottrarle
ai processi di monumentalizzazione, molto spesso sinonimo di mummificazione, per rendere loro giustizia ri-vitalizzandole come oggetti della nostra estetica quotidiana.
Le riproduzioni fotografiche, i collage e le immagini generati da questi interventi sono il precipitato di molteplici sforzi mentali e muscolari con cui questi artisti si sono misurati, ciascuno a proprio modo, ciascuno mettendo in cornice o sottoponendo a una nuova prospettiva uno o più momenti dell’universo pontiano. Il risultato è un itinerario iconografico affascinante, un vademecum creativo, funzionante come un accumulatore di energia che potenzia al massimo le forze latenti, trasformando l’immobilità in flusso, il sé in altro da sé, usando l’opera
di Ponti come sostanza e sostrato di un rinnovato discorso estetico. Nell’accezione classica, la sostanza definisce ciò che permane nel mutamento. Usare Gio Ponti, la sua opera, come sostanza di una
nuova narrazione, come grammatica di una nuova poesia, è un modo
per riconoscerla come presente nella più viva contemporaneità.

Flavio Albanese

Speciale Gio Ponti

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