Pensare per modelli

Il libro di Spector Books schiude l’immaginario di Frei Otto con una narrazione affidata alle immagini fotografiche, attuali e di archivio. #fridayreads

Georg Vrachliotis (a cura di), Frei Otto. Thinking by modelling, Spector Books, Leipzig 2016, 250 pp.
Georg Vrachliotis (a cura di), Frei Otto. Thinking by modelling, Spector Books, Leipzig 2016, 250 pp.

 

Un formato rettangolare da leggere in verticale: altezza ÷ base = 1,5. Carte diverse: solo bianco e nero usomano per apparati critici e frammenti d’archivio; colore patinato per le fotografie dei modelli con salti ottici dagli affondi nel dettaglio alle aperture aeree. Tutti su fondo nero bordati di bianco. I neri, con la loro diversa tattilità grafica, con i rientri e gli sbordi oltre i valichi del foglio, disegnano in spessore il taglio del libro segnalandone l’ordinamento in blocchi stratificati di materiali diversi per contenuto e forma di rappresentazione. Il volume è consistente e lo spessore importante, ma la sovraccoperta, con i neri e bianchi vellutati, è senza pieghe e avvolge la brossura assecondando la morbidezza del corpo delle pagine, lasciandone percepire già a un primo contatto la duplice vocazione: monografia e strumento di studio. Una copertina rigida sarebbe stata un controsenso per le tensostrutture di Frei Otto, che aprono e chiudono l’esperienza tattile e visiva del volume con piani-sequenza particolareggiati dei modelli. 12+12 ingrandimenti resi cangianti dall’inchiostro argentato, anticipano la chiave di lettura di questa pubblicazione su Frei Otto: Thinking by Modelling, pensare per modelli, come unità metodologica tra analisi, progetto, prototipo e produzione di spazi.

 

Curato da Georg Vrachliotis, con Joachim Kleinmanns, Martin Kunz e Philip Kurz, per Spector Books, il libro arriva sugli scaffali a mostra già conclusa, come uno sguardo ulteriore, tassello mancante che, emancipato dalla scenografia dell’architettura allestita allo ZKM di Karlsruhe, schiude l’immaginario di Frei Otto con una narrazione affidata alle immagini fotografiche, attuali e di archivio. La composizione del libro è organizzata in tre comparti – Saggi, Modelli, Progetti – differenziati graficamente in modo da favorire una lettura trasversale dei materiali come esperienza intrinseca alla ricerca di Frei Otto, in costante tensione tra espansione materica ed essenza strutturale.

Come nella mostra, il corpus centrale del libro è la galassia dei modelli, da cui dirama una complessa articolazione di letture critiche e varianti progettuali: ossatura spaziale fluttuante tra ingegneria e architettura a cui si agganciano come satelliti i singoli componenti costruttivi, per un sillabario del progetto che si esperisce nella modellazione di “infiniti” mondi di forme. Tende, scocche metalliche, piastre sospese, involucri pneumatici, armature molecolari, archi multiarticolati, strutture fluide, vele proteiformi, network spaziali, calotte in lattice, torri elastiche, agglomerati abitativi in forma di paesaggio lunare, rampe a levitazione magnetica-ecologica, gusci mobili: sono alcuni dei titoli che inquadrano i modelli spaziali utili alla pratica del progetto che qui può avvalersi degli esiti di sperimentazioni concrete che lasciano intravedere ulteriori sviluppi. Ossia: nanomacrostrutture per un’estetica operativa, Operative Aesthetics, è il binomio usato da Georg Vrachliotis per intitolare il suo saggio introduttivo al lavoro di Frei Otto.
Fig.7 Georg Vrachliotis (a cura di), Frei Otto. Thinking by modelling, Spector Books, Leipzig 2016, 250 pp.
Fig.7 Georg Vrachliotis (a cura di), Frei Otto. Thinking by modelling, Spector Books, Leipzig 2016, 250 pp.
L’apparato dei saggi è anticipato da quattro emblematici ritratti di Frei Otto, dove il modello funge da caleidoscopio per macro o micro invenzioni spaziali da testare con diverse posture del corpo: quello del progettista di forme che sbuca dalle vele in tensione, quello dello strutturalista che ne costruisce e verifica la tenuta in cantiere, quello del teorico che lavora in equipe e, infine, quello del critico intento a predisporre stativo e macchina fotografica per valutare lo spazio anche da visioni fuori scala.
La liaison tra Frei Otto e lo ZKM, che già emerge nell’uso dei media come strumenti di progetto nella mostra, si apre in profondità nei testi critici e in particolare in quello di Vrachliotis dove si ritrovano le impronte di un percorso comune nella multivisione delle arti. Nel suo saggio, Vrachliotis fa riferimento a Heinrich Klotz, fondatore del museo di Architettura di Francoforte e dello ZKM, estraendo uno stralcio su Frei Otto dal suo Vision der Moderne (1986), scritto in quello stesso periodo di impegno museale. Klotz mette in luce le connessioni tra le strutture leggere di Frei Otto, lightweight, e gli studi costruttivi approntati nel New Building movement da Le Corbusier e da Gropius, individuando nell’ingegneria strutturale “un’altra radice della modernità”. Vrachliotis allarga l’orizzonte storiografico tratteggiato da Klotz, soffermandosi su un aspetto chiave, e tuttavia non ancora adeguatamente riconosciuto dalla critica, del lavoro di Frei Otto, che egli definisce come draftman precursore di una visione dello spazio come insieme di relazioni. Seguendo Vrachliotis: il tipo di utensili e le attrezzature che Frei Otto usa nell’insieme della loro specificità operazionale, correlata alle pratiche tecniche, sociali, mediatiche, intrinseche ai sistemi di conoscenza delle relazioni tra le cose (Du mode d’existence des objects techniques, G. Simondon Paris 1958), formano la base indispensabile a concepire un edificio come prodotto.
Concetto che riapre l’ultimo ramo del libro. La raccolta dei progetti esordisce, sorprendendo il lettore, con Student Research Projects: gli albori di una ricerca che Frei Otto comincia a Berlino, allievo di Hellmuth Bickenbach, Gerard Jobst e Hans Freese, e che riprende dopo la prigionia in Francia, tra il 1948 e il 1952, muovendosi già allora tra ecologia e leggerezza della costruzione edilizia. Backup-brick, mattoni forati, usati come pelle climatica/involucro, scrive il giovane Frei Otto per Baumeister. E tra il 1951/52, sostenuto anche dalla conoscenza diretta delle architetture di Mies van der Rohe e di Frank Lloyd Wrigth, Frei Otto riassume nel disegno della Torre hight-rise shell, l’intuizione di una vita propria dello spazio-prodotto, determinata dalla relazione tra le forme, i materiali che le compongono e l’uso che potrebbe assolvere. Questa prima ipotesi di torre residenziale è un blocco di 12 piani, di cui il progettista-costruttore consegna solo lo scheletro, lasciando agli abitanti la libertà di organizzare il proprio spazio e il rapporto con l’environment. Concetto che nella combinazione tra qualità di vita, privacy, e natura, trova la sintesi nel progetto di insediamento Siedlung Waidmannslust, suo diploma di tesi del 1952. Waidmannslust, la libidine del cacciatore nella radura che si distingue dal cacciatore di bosco e dal flaneur cacciatore di città. Ossia: luce naturale e più alto grado di privacy, che più tardi sfocia nel motto: “insediamenti umani sono organismi umani ma non sono ereditabili”: Occupying and Connecting (Frei Otto, 2009).
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