Michele De Lucchi è un cantastorie del nostro tempo: la figura austera lancia timidi sorrisi nascosti dalla barba sempre pettinata, mentre il suo carisma emerge dal racconto delle sue vicende, storie di vita, di lavoro, di sogni.
Il fascino di un passato denso – così come il suo presente – è costellato da esperienze diverse fra loro condensate oggi in una delle personalità più affascinanti dell’architettura e del design contemporaneo. Nel suo ultimo libro dal titolo I miei orribili e meravigliosi clienti (pubblicato da Quodlibet, con una nota di Domitilla Dardi) De Lucchi guarda indietro solo per immaginare il futuro salutando e prometterci, nell’ultima pagina, di andare avanti.
Il titolo è di per sé emblematico e racconta bene dell’approccio nei confronti di quei clienti che non hanno mai varcato la soglia del suo studio in tutti questi anni di attività, ma sono sempre stati bene presenti nel suo cuore e nella sua coscienza. Eterogenei, educati (chi più e chi meno), i personaggi sono tutti trattati con lo stesso candore che caratterizza il Designer in Generale che strillava sui gradini della Triennale di Milano il 20 settembre del 1973.
