Il centro visitatori di Valerio Olgiati in Bahrain celebra la pesca delle perle, ormai scomparsa

Nel cuore dell’ex capitale del Bahrain, un grande sito con un patrimonio storico unico è stato riqualificato per ricordare l’ormai defunto settore della pesca delle perle in città. Il progetto-chiave è il centro visitatori di Valerio Olgiati.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1042, gennaio 2020.

Sono già le prime ore del pomeriggio e Muharraq se ne sta ancora quieta sotto il sole, che in questa giornata d’autunno non è ormai più molto alto nel cielo. Una brezza costante spira dal mare che circonda quasi completamente la vecchia capitale della pesca delle perle protesa, a forma di goccia, sul Golfo Persico. Di fronte alla stazione municipale degli autobus attira l’attenzione il lato stretto di un edificio singolare. Sopra un muro di cemento rossastro si eleva un tetto piano ad ampia campata.

È il centro visitatori del Pearling Path (nome ufficiale Pearling Path, Testimony of an Island Economy) nella vecchia capitale di Muharraq, uno degli attuali tre siti del Bahrain inseriti nel Patrimonio mondiale dell’UNESCO. La città ha dovuto cedere il suo ruolo politico ed economico alla vicina Manama, ma in compenso ha conservato il carattere di una città orientale con il suo stretto intrecciarsi di abitazioni, luoghi di lavoro e attività di culto. Lungo un percorso tortuoso di 3,5 km, il Pearling Path comprende – oltre a tre banchi di molluschi in mare aperto e a un vecchio forte situato davanti all’isola – 17 edifici storici, tutelati come monumenti e sottoposti ad adeguato restauro e, insieme, una serie d’interventi architettonici nella frammentata struttura urbana. Il più significativo di questi interventi è il centro visitatori di Valerio Olgiati.

L’edificio di Valerio Olgiati in Bahrain fa parte del progetto Pearling Path. Foto Iwan Baan
L’edificio di Valerio Olgiati in Bahrain fa parte del progetto Pearling Path. Foto Iwan Baan

Il boom petrolifero del tardo XX secolo strappò i più piccoli Stati rivieraschi del Golfo Persico alle loro condizioni in un modo senza precedenti e li proiettò nel presente, anzi piuttosto in una sorta di futuro. Dimenticati dalla storia, avevano condotto fino a quel momento un’esistenza ai margini della mappa politica globale, prima che la fame di energia fossile li conducesse al centro degli avvenimenti mondiali. Quanto più grande fu la ricchezza improvvisa che dall’estrazione delle risorse minerarie locali si riversò inaspettatamente sui piccoli Stati feudali come in una favola delle Mille e una notte, tanto più violento fu il salto in una condizione che sembrava conformarsi piuttosto alle fantasie futuristiche delle esposizioni universali della metà del secolo scorso che non a uno sviluppo comprensibile. La condizione precedente, compresa la stessa struttura feudale dello Stato, fu messa da parte e occultata da grattacieli scintillanti, autostrade a più corsie e isole artificiali.

Valerio Olgiati, Pearling Site Visitor Centre, Muharraq, Bahrain, 2019. Foto Iwan Baan
Valerio Olgiati, Pearling Site Visitor Centre, Muharraq, Bahrain, 2019. Foto Iwan Baan

Il sorprendente e stimolante contributo del Bahrein alla Biennale di Architettura di Venezia del 2010, premiato con il Leone d’oro, documentava il senso di perdita appena descritto con testimonianze di singoli cittadini e alcuni tentativi privati di recuperare il precedente rapporto con il mare servendosi, tra l’altro, della costruzione di capanne da spiaggia temporanee. Ma proprio a Muharraq, un tempo centro della pesca e del commercio delle perle, il rapporto con il mare è stato letteralmente sepolto da riporti di terra che, collocati tutto intorno alla penisola, hanno eliminato l’antico litorale frastagliato creando tra l’altro al suo posto lo spazio per un’autostrada a più corsie che separa completamente la città dal mare. Gli inserimenti di tre siti nella lista del Patrimonio mondiale UNESCO sono una componente importante della National Strategy for the Economic Vision 2030 del Bahrain.

Dal punto di vista di un approccio critico all’architettura, la sfida di un sito del Patrimonio mondiale provvisto di una tale determinazione funzionale consiste nel renderne riconoscibili le componenti non fisiche ovvero, viceversa, nel caratterizzare e rendere comprensibili i documenti materiali presenti, e in particolare gli edifici, secondo un significato che si spinge al di là della loro mera natura di costruzioni.

È solo in questo contesto che si comprende il centro visitatori di Valerio Olgiati. Quando si accede all’edificio dalla porta d’ingresso attraverso l’alto muro perimetrale appare un’ampia e lunga superficie coperta da un tetto orizzontale sorretto da pilastri, che viene sfondato da torri snelle e bucato da aperture pentagonali. È un’evidente interpretazione moderna delle antiche torri del vento, che venivano erette in molti Paesi orientali per ventilare e rinfrescare gli ambienti in modo naturale.

Valerio Olgiati, Pearling Site Visitor Centre, Muharraq, Bahrain, 2019. Foto Iwan Baan
Valerio Olgiati, Pearling Site Visitor Centre, Muharraq, Bahrain, 2019. Foto Iwan Baan

Il tetto si staglia a un’altezza di 10 m dal suolo; tuttavia non copre un edificio, e anche le torri del vento non conducono all’interno di una costruzione. I fori pentagonali della copertura non svolgono altra funzione se non quella di far giungere senza ostacoli i raggi del sole sul pavimento, creando in tal modo un affascinante gioco di luci e ombre continuamente mutevole. Tutto intorno, l’intera superficie, straordinariamente ampia, è circondata da alte pareti di calcestruzzo. Più vicino al lato stretto anteriore si erge una costruzione a forma di blocco, quasi senza finestre. La sua forma è quella di un edificio con un tetto a doppia falda, ma in realtà è realizzato come un monolite. In modo abbastanza sorprendente, è collocato in una posizione non centrale e prolunga nello spazio contiguo la linea di colmo del tetto con i suoi spigoli vivi.

In profondità sull’area si alternano torri del vento e pilastri più sottili, distribuiti in file diritte sulla superficie piana pavimentata in calcestruzzo. All’improvviso appaiono rovine e lunghe mura di leggera pietra locale, tipica dei banchi conchiliacei marini. Nell’ulteriore estensione del terreno si aggiungono file di pilastri in muratura, in parte controventati l’un l’altro con tondi di legno che molto probabilmente avevano la funzione di sostenere tettoie o tende – l’impalcatura di un suk, il mercato tradizionale.

Sotto il livello del suolo sono stati isolati e conservati alcuni spazi, quali scavi di fondazioni e resti murari di edifici precedenti. Questi reperti accuratamente tutelati non sono antichi – si tratta di costruzioni del mercato risalenti al 1930, che nel corso della trasformazione economica del Bahrain sono andate in rovina. Il messaggio è evidente per chiunque: l’odierna Muharraq si erge sui resti del precedente insediamento urbano e lo scavo fisico in profondità denota contemporaneamente la consapevolezza dello stratificarsi del tempo passato.

È il rifiuto di qualsiasi citazione architettonica a conferire all’edificio il suo particolare significato

Il centro visitatori spicca nella città vecchia densamente edificata. È più imponente di ogni altra costruzione nelle immediate vicinanze e non fa capire se si tratta semplicemente di una piazza coperta o di un grande complesso. È al tempo stesso aperto e protettivo, non ha pareti e nondimeno presenta una chiara delimitazione grazie a mura e porte. Il fatto che sotto il tetto ci sia un edificio autonomo, caratterizzato dalla sua forma monolitica, rende la restante superficie coperta tanto più simile a uno spazio libero. D’altra parte le rovine che sorgono nell’area posteriore del terreno e le zone di scavo danno l’impressione di trovarsi in un rifugio, simile alle coperture di protezione costruite a Coira da Peter Zumthor all’inizio della sua attività progettuale.

Il significato non univoco della costruzione fa sì che il visitatore cerchi di capire che cosa può e che cosa deve fare in questo luogo. Allo stesso tempo, l’indeterminatezza apre possibilità che devono essere ancora trovate e sperimentate dagli abitanti di Muharraq. Nel complesso l’opera è un esempio dell’“architettura non-referenziale”, teorizzata da Olgiati, un’architettura che non si riferisce a niente che si trovi al di fuori di sé. Solo con le torri del vento l’architetto ricorre a un tipo di costruzione tradizionale, a qualcosa di regionale, ma lo fa solo in rapporto alla sua funzione e non alla sua concreta messa in forma. Olgiati evita ogni citazione, ogni accostamento a forme costruttive locali o regionali. È anche vero, del resto, che per il progetto di costruzione di un centro visitatori o, più in generale, di un’ampia area coperta, non esistevano prototipi già noti; a meno di non volersi riferire a modelli dell’architettura orientale molto lontani non solo geograficamente, ma anche tipologicamente, quali per esempio il padiglione Hasht Behesht nella Isfahan del periodo persiano dei Safavidi o la sala delle udienze del periodo Moghul nell’indiana Fatehpur Sikri.

L’unico volume chiuso dell’edificio è l’enigmatico blocco con funzioni di accoglienza e museali, articolato su tre piani. Foto Iwan Baan
L’unico volume chiuso dell’edificio è l’enigmatico blocco con funzioni di accoglienza e museali, articolato su tre piani. Foto Iwan Baan

Lo stesso Olgiati rifiuta energicamente la possibilità del riferimento. In un ampio saggio teorico egli parla di “architettura non-referenziale”, intendendo con ciò la perdita di un metro di riferimento oggettivo: “È fuori dubbio che l’architettura avrà sempre anche un compito sociale”, scrive in Architettura Non-Referenziale (Park Books, 2019), “ma oggi gli edifici non possono più ispirarsi a un ideale sociale comune”. Gli “edifici non-referenziali”, assume, “sono entità che rivestono un significato e un senso solo di per se stesse”. Su questo sfondo teorico l’impressione di estraneità suscitata dal centro visitatori rispetto a un ambiente dal carattere tradizionale come Muharraq sembra l’espressione del rifiuto di stabilire un riferimento sia di carattere storico sia stilistico. “L’architettura non-referenziale”, scrive Olgiati, “non rappresenta uno stile particolare di edificio o di città, né richiede un qualche tipo di ideologia: non offre quindi stili o ideologie cui un architetto, un cliente, un urbanista o un politico potrebbe attingere per progettare edifici e pianificare città”.

È proprio il rifiuto di qualsiasi citazione architettonica a conferire all’edificio il suo particolare significato. Ciò attesta che la necessaria opera di conservazione delle strutture storiche lungo il Pearling Path risulta conciliabile con un ripensamento produttivo dell’architettura. L’economia e la realtà sociale della pesca delle perle appartengono al passato, nulla le potrebbe riportare in vita. Possono essere conservate solo nella forma del documento storico e solo nel caso che questo entri in uno scambio vitale con la realtà contemporanea.

Il problema del complesso architettonico è il muro che, come in una fortificazione, circonda da tutti i lati il lotto ed è interrotto solo da quattro porte doppie in acciaio che non risultano meno respingenti. La tutela delle rovine e degli scavi in un Paese caratterizzato da una rapida trasformazione e da una demolizione per molti versi sconsiderata degli edifici antichi richiede indubbiamente una particolare attenzione. Tuttavia, e al tempo stesso, l’accesso spontaneo e non intenzionale all’area viene reso psicologicamente più difficile. Un viavai spontaneo – come quello che avviene nello spazio aperto di piazza Djemaa el Fna a Marrakech – sarebbe impensabile a Muharraq, anche se nel caso del centro visitatori non si tratta di una vera e propria piazza collocata nel mezzo del tessuto urbano, ma piuttosto di un terreno che si apre all’interno della densa edificazione. È probabile che il completamento del vicino Suk Al Qaysariyyah di Anne Holtrop porterà all’uso condiviso dello spazio libero coperto.

Una delle sale interne, illuminata da lucernari. Foto Iwan Baan
Una delle sale interne, illuminata da lucernari. Foto Iwan Baan

Se la dimensione del centro visitatori sia troppo grande o, quanto meno, se le mura circostanti siano troppo respingenti, queste sono domande a cui non trova risposte semplici nemmeno Noura al Sayeh, responsabile del settore Architettura presso il ministero della Cultura del Bahrain e curatrice del contributo alla Biennale del 2010. Negli ultimi decenni, secondo lei, le persone avrebbero fatto esperienza della privatizzazione delle aree pubbliche, o accessibili al pubblico, e per questo non accetterebbero ancora l’offerta di spazi pubblici di nuova creazione.

“La soglia d’inibizione è alta” – così Al Sayeh in un’intervista – “e gli abitanti in un primo momento hanno evitato anche le piccole piazze urbane del Pearling Path”. Proprio per questo motivo ci sarebbe una grande offerta di eventi anche e soprattutto nell’edificio del centro visitatori, al fine di superare gradualmente questa resistenza attraverso la partecipazione. Le mura circostanti, invece, sarebbero necessarie per proteggere da danni le rovine e gli scavi.

Il significato non univoco della costruzione fa sì che il visitatore cerchi di capire che cosa può e che cosa deve fare in questo luogo

Di fronte al grande formato dell’opera architettonica di Olgiati anche il Pearling Path finisce per sembrare quasi poco appariscente. La sua ambizione tuttavia è grande: “Il progetto mette in luce la storia della pesca delle perle in città, ma mira anche a riequilibrare la sua composizione demografica con il richiamo delle famiglie locali attraverso il miglioramento dell’ambiente e la fornitura di spazi comunitari e culturali”, si legge nella descrizione del progetto che è stato alla base dell’assegnazione del prestigioso Aga Khan Award for Architecture 2019. Il percorso in quanto tale fu creato dal belga Office Kersten Geers David Van Severen. Gli architetti hanno segnato il percorso con lampade collocate a distanza irregolare lungo la strada, ma soprattutto agli angoli e agli incroci.

Inoltre, lo stesso studio ha creato 16 piazze, di piccole dimensioni ma grandi per il loro effetto urbano. Per la pavimentazione delle piazze, il rispettivo arredo e le stele illuminanti lungo il percorso è stato utilizzato un seminato in graniglia di marmo alla veneziana con madreperla – un riferimento al “sentiero delle perle” come ricordo della passata economia della città. In ogni caso, la straordinaria posizione centrale del centro visitatori non è solo un’opportunità, ma anche un impegno a giocare un ruolo significativo nella compagine urbana di Muharraq: innanzitutto per i suoi abitanti, alla ricerca di un ruolo nuovo e duraturo per la loro città in un mondo in costante trasformazione.

Progetto:
Pearling Site
Tipologia:
centro visitatori
Architetto:
Valerio Olgiati
Team di progetto:
Sofia Albrigo (project manager), Anthony Bonnici
Impresa principale:
Almoayyed Contracting Group
Architetto in loco:
Emaar Engineering
Committente:
Bahrain Authority of Culture and Antiquities
Luogo:
Muharraq, Bahrain
Area costruita:
6.726 mq
Completamento:
2019

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