20 occhiali da sole che hanno fatto la storia del design e della cultura pop

Icone senza tempo, intuizioni di design e maschere velleitarie, gli occhiali da sole sono un accessorio tanto utile quanto provocatorio che ci portiamo appresso da duemila anni. Ne ripercorriamo l’evoluzione.

1. Ray-Ban Aviator (1936) Gli Aviator sono stati uno dei primi esempi di occhiali da sole che hanno saputo lasciare un’impronta nella moda. Nonostante gli studi per dotare i piloti statunitensi di un accessorio capace di agevolare il volo risalissero già al 1929, non è fino alla metà dei ‘30 che i soldati della US Air Force vengono forniti con occhiali dotati di questa particolare silhouette esile e affusolata. Tra i molteplici fornitori del governo a Stelle e Strisce è Bausch & Lomb ad affermarsi nel tempo sui rivali con i suoi Ray-Ban Aviator, arrivando a brevettare ufficialmente il modello nel 1939 a due anni dalla sua immissione sul mercato civile. La montatura esile in monel, acciaio o titanio si accompagna a lenti leggermente convesse con lo scopo di coprire l’intero campo visivo dell’occhio umano. Molteplici sono, poi, le varianti che includono dagli uno ai tre ponti, come gli Shooter – comprensivi di un mirino trai punti focali – resi celebri dallo scrittore e giornalista gonzo Statunitense Hunter S.Thompson. Popolarissimi soprattutto a cavallo tra i ‘60 e i ‘70, gli Aviator hanno poi conosciuto una terza stagione di gloria negli anni ‘80, grazie al film Top Gun, che li fece addirittura diventare un caposaldo dell’abbigliamento Paninaro.

Foto: Ray-Ban

2. Moscot Miltzen (1930s) La storia dell’eyewear negli Stati Uniti non è fatta di soli Ray-Ban. Tra i più noti e affermati produttori di occhiali da sole a Stelle e Strisce svetta, dal 1915, Moscot. Tanti i suoi clienti VIP tra artisti, attori e intellettuali, che ne hanno tramutato le montature dalle silhouette solide ma eleganti in icone atemporali capaci di riattualizzare a distanza di decenni occhiali disegnati nella prima metà del Novecento. Tra questi si ricordano i Miltzen, originariamente lanciati negli anni ‘30, e adorati – spesso in varianti con montatura trasparente – da Andy Warhol a partire dagli anni ‘70, una volta dismessi I Ray-Ban Clubmaster della sua prima fase Pop. Altrettanto degni di nota sono i Lemtosh, che resero celebre il volto dello scrittore e personalità newyorkese Truman Capote.

Foto: Moscot

3. Ray-Ban Wayfarer (1952) I Wayfarer – disegnati nel 1952 da Raymond Stegman della Bausch & Lomb, storico e originario produttore dei Ray-Ban prima del loro passaggio a Luxottica negli anni 2000 – hanno segnato uno dei primi esempi di coniugazione di design e funzionalità. La loro linea, che ieri come oggi li rende unici tra i molti competitor, è il risultato di quello che a inizio anni ‘50 fu lo sviluppo degli studi sull’impiego industriale della plastica. Ciò rese possibile la progettazione di un modello capace di spingersi oltre il minimalismo funzionalista delle esili montature in fil di ferro. Dal primissimo endorsment di James Dean ne Ribelle Senza Causa del 1955 ai Blues Brothers, passando per Bob Dylan, Muhammad Ali, Miami Vice, Michael Jackson, gli Smiths e le più recenti declinazioni in plastica colorata i Wayfarer hanno saputo imporsi come simbolo di una coolness enigmatica, ribelle e trasversale ai decenni.

Foto: Ray-Ban

4. Oliver Goldsmith Manhattan (1960) Una delle più rappresentative variazioni sul tema delle montature cateye, a occhi di gatto, è quella disegnata da Oliver Goldsmith e resa celebre da Audrey Hepburn nel suo personaggio di Holly Golightly nell’adattamento cinematografico di Colazione da Tiffany di Truman Capote. I Manhattan, come suggerito dal nome stesso, sanno distinguersi in modo esemplare nella loro sobria eleganza da New York mid-century.

Foto: Oliver Goldsmith

5. Persol 714 (1960s) Com’è possibile che una montatura pensata per i tramvieri di Torino sia diventata un’icona di Hollywood? Semplice, è bastato che nel 1967 Steve McQueen si presentasse sul set de Il Caso Thomas Crown con il suo personale paio di Persol 714 per far sì che il regista John McTiernan decidesse, all’ultimo minuto, di integrarli nel costume dell’attore. Gli occhiali ritornarono sul volto di McQueen anche nel successivo Bullit, altro blockbuster dell’americano, facendone impazzire le vendite, a soli sei anni dallo sbarco del brand italiano negli States. Pensati, come suggerisce il nome stesso – Per(il)Sol(e) –, nel 1957 per agevolare la guida ai tramvieri sabaudi, questa versione in acetato Light Havana con lenti Crystal Blue rappresenta l’evoluzione dell’originario modello 649 (già visto sul volto di Marcello Mastroianni in Divorzio all’Italiana) grazie all’introduzione di cerniere sia lungo le stanghette che tra i punti focali, tali da renderli i primi occhiali da sole pieghevoli in acetato. 

Foto: Persol

6. André Courrèges Eskimo (1965) I design di Courrèges sono diventati celebri per la loro capacità di portare nel fashion le lezioni del Modernismo e della Op Art degli anni Sessanta. Gli Eskimo ne sono lo sviluppo nel campo dell’eyewear. Questi occhiali strizzano l'occhio alle primitive montature in avorio degli Inuit, declinandole all'estetica Space Age del tempo, dunque impiegando forme affusolate e plastica bianca. Permettendosi di non curarsi della funzionalità, essi sono uno straordinario accessorio di design; un vezzo estetico capace di trasportare immediatamente all’impareggiabile stagione creativa dei Sessanta, quando moda, arte e design sapevano dialogare come solo abbiamo assistito nell’ultimo decennio. Non a caso gli Eskimo sono stati più che un’ispirazione per gli Shutter Shades di Alain Mikli per Kanye West. Indossati in molteplici servizi fotografici del tempo, gli Eskimo furono anche apprezzati da Salvador Dalì e dalla cantante Mina, che ne sfoggia un paio sulla copertina della sua raccolta Del Mio Meglio Numero Otto

Foto: Pinterest

7. Oliver Goldsmith Pyramid Shades (1966) Nel 1966, anno di grazia per la capitale inglese, A. Oliver Goldsmith – che aveva contribuito a una svolta fashion del piccolo brand fondato dal nonno Phillip Oliver nel 1926 – concepisce un occhiale da sole piramidale lavorando la plastica bianca a mano. La montatura era pensata appositamente per sposarsi con un taglio di capelli del celebre parrucchiere Vidal Sassoon – colui che aveva lanciato il celebre caschetto di Mary Quant –, espletando così l’incredibile sinergia tra moda e design all'apice della Swinging London. I Pyramid Shades di Oliver Goldsmith sono oggi parte della collezione permanente del Victoria & Albert Museum di Londra, a sottolinearne lo status di patrimonio del design britannico.

Foto: V&A Museum, London

8. Hans Hollein Austriennale (1968) Performance o oggetto di design? Gli Austriennale possono essere considerati entrambe le cose, a patto che non si abbia la pretesa di usarli contro i raggi UV. Gli occhiali progettati da Hans Hollein, futuro vincitore del Pritzker Architecture Prize nel 1985 e demiurgo di occhiali al limite del design radicale per AOC, venivano prodotti ogni 15 secondi da una pressa per materie plastiche all’interno del padiglione Austriaco durante la Triennale di Milano del 1968. Gli Austriennale, oggi un pezzo da collezionismo, sono un esempio di incontro tra il design futurista degli anni Sessanta e l’estremizzazione dell’applicazione dei processi industriali nel mondo del design. , Gli occhiali finirono anche sulla copertina dell'edizione italiana (Arnoldo Mondadori Edizioni, 1969) del bestseller di Vladimir Nabokov Lolita, a richiamare quelli a forma di cuore utilizzati nella trasposizione cinematografica di Stanley Kubrick. Chissà cosa scandalizzò di più i lettori del tempo tra i peccaminosi racconti dell'autore russo e gli occhiali di Hollein. 

Foto: Pinterest

9. Oliver Goldsmith Teashades per John Lennon (1968) La fortuna di una montatura è spesso dovuta alle personalità a cui sono associate. E’, dunque, inevitabile che gli occhiali preferiti da John Lennon siano diventati un culto nel campo dell’eyewear. Esili nella loro anima in acciaio, i cosiddetti teashades, erano occhiali da vista popolari tra la seconda metà dell’800 e la prima del ‘900, e che conobbero un revival nella seconda metà degli anni ‘60 grazie alla riscoperta tanto dell’estetica dandy che Art Nouveau. A contribuire a questa moda fu anche John Lennon, che se ne innamorò sul set di Come Ho Vinto La Guerra, film del 1967 ambientato durante la seconda Guerra Mondiale a cui prese parte in un momento di pausa dai suoi impegni discografici con i Fab4. Da allora il musicista di Liverpool iniziò a procurarsene una moltitudine con lenti di varie colorazioni che potevano essere, senza distinguo, tanto occhiali da vista quanto da sole. Tra i produttori preferiti da Lennon c’era Oliver Goldsmith, un cui paio datato 1968 fu dimenticato sul sedile dell’auto del collega Ringo Starr. Ritrovati, danneggiati, dall’autista Alan Herring e conservati per decenni, i teashades di Goldsmith con lenti verdi sono stati recentemente battuti all’asta per 165.000 Euro. 

Foto: Sothebys

10. Renauld Mustang (aka Rossano) (1969) I Renauld Mustang sono la dimostrazione che lusso e eleganza possono armonizzarsi con montature sportive. Pioniere di design wraparound dai rimandi futuristici sin dai primi anni ‘60, Renauld è stato tra I primi brand a anticipare le montature sportive tipiche dei ‘90. I suoi modelli sono stati amati, tra gli altri, soprattutto da Elvis che – leggenda vuole – li scoprì indosso a un suo fan, a cui consegnò $100 per averli immediatamente.   I Mustang sono tra i modelli al tempo stesso più sperimentali e raffinati, con la loro montatura disponibile in molteplici varianti di oro e argento, come recentemente riproposta in un fedele remake il quarantesimo anniversario del modello. Devono la loro fama nella cultura pop soprattutto grazie al cameo sul volto di Rossano Brazzi – da cui la loro nuova nomenclatura – alla guida di una Lamborghini Miura negli scenografici titoli di testa de The Italian Job (1969), prima di finire tragicamente stritolati sotto i piedi di Raf Vallone – nel film un emissario della Mafia. 

Foto: Renauld

11. Rossignol Ski Aviator (1970s) Un altro esempio di occhiale da sole pensato per lo sport che si afferma come icona del lifestyle. Questa tipica montatura fine ‘60/primi ‘70 è mutuata da una rivisitazione più corposa, plastica e con due piccole viti agli estremi della mascherina dei classici Aviator. Nonostante questo modello sia soprattutto associato aglianni ‘70 e alla sua incarnazione Rossignol in palette blu-bianco-rossa con lenti specchiate e logo del brand di skiwear francese collocato tra i punti focali, esso condivide il design con i transalpini Bolle & Cèbè, lanciati alle Olimpiadi Invernali di Grenbole del 1968 dallo sciatore Jean Claude Killy, vincitore di tre ori.

Foto: Pinterest

12. Cazal 607 (1982) I Cazal 607 sono la montatura che ha definito gli anni d’oro dell’Hip-Hop americano, diventando un fenomeno generazionale dal momento in cui Darryl McDaniles del trio Run-DMC li indossò per la prima volta. Un culto tra gli aspiranti MC dei bloc parties newyorkesi come del celebre regista e icona Afroamericana Spike Lee, i Cazzal – fraternamente ribattezzati ‘Cazzy’ dagli adepti – uniscono a una tipica montatura anni Settanta alla Yves Saint Laurent l’opulenza dell’oro tipica degli Ottanta. Le loro radici affondano nelle intuizioni di Cari Zalloni, designer di origini italo-greco-austriache, con un'infanzia trascorsa tra l'archeologia della Grecia antica e le sperimentazioni del design Austriaco dei '60. Dopo essersi fatto le ossa in Carrera, Zalloni fonda il brand nel 1975 per poi trovare, a distanza di pochi anni, un inaspettato successo nelle mondo delle subculture d’oltreoceano. 

Foto: Cazal

13. Issey Miyake IM-101 (1985) Nell’essenziale minimalismo della loro montatura in titanio – due circonferenze e una retta – gli IM-101 sono gli occhiali da sole più rappresentativi dell’opera di Issey Miyake. Il loro status di icona senza tempo è soprattutto dovuto al fatto che Jean-Michel Basquiat li rese parte essenziale del suo look, al punto che il fotografo Henry Leutwyler li utilizzò per celebrarne la figura nella sua celebre serie di still life Document. Il concept di Miyake, sempre attuale a più di 30 anni dalla sua creazione, ritorna in altre montature di design, come quella dei Siza Vieira 0007 di Alvaro Siza per Vava.  

Foto: Issey Miyake

14. Oakley Razor Blade (1987) Se si chiedesse di definire gli Ottanta con una montatura, gli Oakley Razor Blade sarebbero la risposta. Questi occhiali da sole, diretta evoluzione dei simili Blade e dei precedenti Eyeshade introdotti alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984, furono capaci di tradurre un accessorio nato per lo sport in un fenomeno di streetwear. Il design wraparound unito a colorazioni che strizzavano l’occhio alla futura estetica Cyber – dalle montature Planet-X alle lenti Violet Iridium, passando per l’endorsment con pubblicità in stile Terminator del ciclista John Tomac – li rendeva tanto pratici nelle competizioni ciclistiche quanto nei club. Il dirompente successo dei Razor Blade fu anche dovuto alle sue montature componibili, che offrivano possibilità di personalizzazione mai viste prima di allora per un paio di occhiali. 

Foto: Oakley

15. Chloé Crystal Heart (2000s) Un instant classic dei primi anni ‘00, come d’altronde tutto ciò che veniva indossato dall’allora rampante Paris Hilton, questi occhiali da sole Chloé sono scivolati nel dimenticatoio degli obbrobri per un paio di decenni, per poi tornare prepotentemente in voga grazie (o a causa) del recente revival dell’estetica Y2K. Una montatura metallica esile bilanciata da solide lenti rigorosamente sfumate di rosa e, a fare la differenza (anche economica), un piccolo cuore in cristalli Swarovski applicato sulla lente sinistra. I Crystal Heart sono diventati un classico della cultura pop ai tempi del post-moderno, in un costante bilico tra chic e trash che li ha resi – nelle molteplici imitazioni contraffatte – un’immancabile presenza sui banchetti di spiagge e mercati. 

Foto: Pinterest

16. Nike Vision Edgar Davids (2005) A cavallo tra I ‘90 e I ‘00 le montature sportive, grazie al loro design avveniristico e retrofuturista capace di tendere all’ansia per il nuovo millennio, hanno saputo affermarsi nello streetwear, contaminando tanto le passerelle quanto le scene musicali giovanili (abbondano sulla retrocopertina del classico Supercafone di Piotta). Tra I design wraparound più iconici di questi anni ci sono gli occhiali che il dipartimento Vision della Nike studiò per l’olandese Edgar Davids, stella calcistica a cavallo dei due decenni e, anche per via del suo inusuale ma formidabile look, icona dal magnetismo che trascendeva la sola sfera sportiva.

Foto: Pinterest

17. Alain Mikli Shutter Shades (2007) Gli shutter o venetian shades – così chiamati per il design che tanto ricorda persiane e tapparelle – sono un’eredità degli anni ‘50, periodo in cui l’entusiasmo per le nuove scoperte nel campo della plastica portavano a slanci di design sperimentale. Divertissement da party più che veri occhiali da sole, gli shutter shades non proteggono dai raggi UV, anzi più generalmente ostacolano la vista. Se negli ‘80 conoscono grande popolarità grazie ai camei nei videoclip di Glittering Prize dei Simple Minds e Obsession degli Animotion, è solo nel 2007 che vengono elevati a cult grazie a una versione rivistata dal designer Alain Mikli per l'identità visiva del singolo Stronger di Kanye West

Foto:Pinterest

18. Bottega Veneta BV108S (2020) Uno degli ultimi lasciti di Daniel Lee a Bottega Veneta, I BV108S riprendono le lezioni di cinquant’anni di design plastico applicato all’eyewear dando vita a una montatura sorprendentemente originale nei suoi espliciti rimandi a quegli anni ‘90 e ‘00 a loro volta sedotti dalla Space Age dei ‘60. I BV108S sono tra gli occhiali da sole che maggiormente hanno saputo cogliere lo zeitgeist di questi tempi in cui la moda è sempre più un cacofonico supermarket di riferimenti sottoculturali proiettati al Metaverso. Non a caso, sono stati indossati dal rapper inglese Slowthai ospite della discussa sfilata Bottega Veneta Autunno Inverno 2021 tenutasi, nonostante il lockdown, lo scorso Aprile all’interno del leggendario Berghain di Berlino.

Foto: Bottega Veneta

19. Oliver Peoples Gio Ponti Collection Rendere omaggio a una delle figure più influenti nella storia dell’architettura e del design non è certo impresa semplice. Oliver Peoples lo fa traendo spunto dagli occhiali che tanto hanno contraddistinto il volto del fondatore di Domus, declinandoli in una collezione realizzata in collaborazione con l’Archivio Gio Ponti. Il risultato è una serie di montature, sia da sole che da vista, che rimandano all’eyewear design degli anni ‘30, fatto di silhouette arrotondate e in acciaio, disponibili anche in un’originale versione con lenti da sole sovrapponibili che tanto ricordano gli anni d’oro della Riviera italiana. 

Foto: Oliver Peoples

20. Vava x Kengo Kuma CL00015 (2021) Il mondo dell’eyewear è fatto anche di intuizioni che esulano dalla sola ottica, come nel caso della collaborazione tra l’archistar giapponese Kengo Kuma e Vava, brand attento a ospitare nomi eccellenti del mondo del design. Nella loro recente collezione, i modelli CL00015 (in foto) e CL00013 nascono con l’idea di proiettare nella contemporaneità tecniche costruttive tipiche dell’architettura giapponese. Anche la loro realizzazione, mediante l’uso di stampanti 3D che impiegano scarti di ricino, si fa interprete dell’attenzione che l’architettura sta dando alla sostenibilità.

Foto: Vava

“C’è chi si mette degli occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero”, cantava Franco Battiato nella sua Bandiera Bianca. D’altronde, gli occhiali da sole sono stati capaci di trascendere la loro originaria funzione diventando all’occorrenza accessorio alla moda, maschera enigmatica e più generalmente icone pop atemporali.  

Le loro origini addirittura anticipano gli occhiali da vista. E, a dispetto di cosa si possa pensare, non furono creati per proteggersi dal sole. Furono gli Inuit, oltre 2.000 anni fa, a concepire i primissimi esemplari utilizzando l’avorio intagliato, con lo scopo di difendere gli occhi dalle tempeste di neve. 

Se all’imperatore Nerone piaceva assistere agli incontri tra gladiatori dietro due pietre preziose, i giudici cinesi del dodicesimo secolo presenziavano i processi indossando dei quarzi sugli occhi, così da non fare trasparire le loro emozioni – un approccio all’occhiale da sole in realtà sorprendentemente contemporaneo.  

È solamente nell’Inghilterra del 1800 che gli occhiali da sole iniziarono ad acquisire una forma simile a quella oggi conosciuta, tondeggiante come quella tanto amata da John Lennon. Il loro scopo? Filtrare la luce per i pazienti afflitti da sifilide, i cui occhi erano altrimenti troppo sensibili alla luce. Ancora una volta, è però l’America a glamourizzare il tutto. Se le star dell’età d’oro della Hollywood Babilonia dei '30 li indossavamo sul set per proteggersi, con charme, dai fari e flash accecanti, i piloti statunitensi vittoriosi nella Seconda Guerra Mondiale contribuiscono a esportare nel mondo i loro Ray-Ban Aviator, trasformando un oggetto militare in un cardine dello streetwear.  

La loro storia, però, ci racconta anche dell’evoluzione delle tecniche produttive e di lavorazione dei materiali, dei loro flirt con il design e l’architettura, e di come la cultura popolare – con i suoi ciclici revival e le sue follie arbitrarie – sia stata capace di trasformarli in monumenti iconografici capaci di riattualizzarsi costantemente.  

Dalle montature pensate per i tramvieri torinesi e fortuitamente diventate icone di Hollywood a quelle prodotte con scopi performativi alla Triennale del 1968, abbiamo raccolto un compendio di 20 occhiali da sole che raccontano l’evoluzione di questo accessorio.  

Immagine di apertura: Oliver Goldsmith Pyramid Shades, 1966  Foto: V&A Museum, London

1. Ray-Ban Aviator (1936) Foto: Ray-Ban

Gli Aviator sono stati uno dei primi esempi di occhiali da sole che hanno saputo lasciare un’impronta nella moda. Nonostante gli studi per dotare i piloti statunitensi di un accessorio capace di agevolare il volo risalissero già al 1929, non è fino alla metà dei ‘30 che i soldati della US Air Force vengono forniti con occhiali dotati di questa particolare silhouette esile e affusolata. Tra i molteplici fornitori del governo a Stelle e Strisce è Bausch & Lomb ad affermarsi nel tempo sui rivali con i suoi Ray-Ban Aviator, arrivando a brevettare ufficialmente il modello nel 1939 a due anni dalla sua immissione sul mercato civile. La montatura esile in monel, acciaio o titanio si accompagna a lenti leggermente convesse con lo scopo di coprire l’intero campo visivo dell’occhio umano. Molteplici sono, poi, le varianti che includono dagli uno ai tre ponti, come gli Shooter – comprensivi di un mirino trai punti focali – resi celebri dallo scrittore e giornalista gonzo Statunitense Hunter S.Thompson. Popolarissimi soprattutto a cavallo tra i ‘60 e i ‘70, gli Aviator hanno poi conosciuto una terza stagione di gloria negli anni ‘80, grazie al film Top Gun, che li fece addirittura diventare un caposaldo dell’abbigliamento Paninaro.

2. Moscot Miltzen (1930s) Foto: Moscot

La storia dell’eyewear negli Stati Uniti non è fatta di soli Ray-Ban. Tra i più noti e affermati produttori di occhiali da sole a Stelle e Strisce svetta, dal 1915, Moscot. Tanti i suoi clienti VIP tra artisti, attori e intellettuali, che ne hanno tramutato le montature dalle silhouette solide ma eleganti in icone atemporali capaci di riattualizzare a distanza di decenni occhiali disegnati nella prima metà del Novecento. Tra questi si ricordano i Miltzen, originariamente lanciati negli anni ‘30, e adorati – spesso in varianti con montatura trasparente – da Andy Warhol a partire dagli anni ‘70, una volta dismessi I Ray-Ban Clubmaster della sua prima fase Pop. Altrettanto degni di nota sono i Lemtosh, che resero celebre il volto dello scrittore e personalità newyorkese Truman Capote.

3. Ray-Ban Wayfarer (1952) Foto: Ray-Ban

I Wayfarer – disegnati nel 1952 da Raymond Stegman della Bausch & Lomb, storico e originario produttore dei Ray-Ban prima del loro passaggio a Luxottica negli anni 2000 – hanno segnato uno dei primi esempi di coniugazione di design e funzionalità. La loro linea, che ieri come oggi li rende unici tra i molti competitor, è il risultato di quello che a inizio anni ‘50 fu lo sviluppo degli studi sull’impiego industriale della plastica. Ciò rese possibile la progettazione di un modello capace di spingersi oltre il minimalismo funzionalista delle esili montature in fil di ferro. Dal primissimo endorsment di James Dean ne Ribelle Senza Causa del 1955 ai Blues Brothers, passando per Bob Dylan, Muhammad Ali, Miami Vice, Michael Jackson, gli Smiths e le più recenti declinazioni in plastica colorata i Wayfarer hanno saputo imporsi come simbolo di una coolness enigmatica, ribelle e trasversale ai decenni.

4. Oliver Goldsmith Manhattan (1960) Foto: Oliver Goldsmith

Una delle più rappresentative variazioni sul tema delle montature cateye, a occhi di gatto, è quella disegnata da Oliver Goldsmith e resa celebre da Audrey Hepburn nel suo personaggio di Holly Golightly nell’adattamento cinematografico di Colazione da Tiffany di Truman Capote. I Manhattan, come suggerito dal nome stesso, sanno distinguersi in modo esemplare nella loro sobria eleganza da New York mid-century.

5. Persol 714 (1960s) Foto: Persol

Com’è possibile che una montatura pensata per i tramvieri di Torino sia diventata un’icona di Hollywood? Semplice, è bastato che nel 1967 Steve McQueen si presentasse sul set de Il Caso Thomas Crown con il suo personale paio di Persol 714 per far sì che il regista John McTiernan decidesse, all’ultimo minuto, di integrarli nel costume dell’attore. Gli occhiali ritornarono sul volto di McQueen anche nel successivo Bullit, altro blockbuster dell’americano, facendone impazzire le vendite, a soli sei anni dallo sbarco del brand italiano negli States. Pensati, come suggerisce il nome stesso – Per(il)Sol(e) –, nel 1957 per agevolare la guida ai tramvieri sabaudi, questa versione in acetato Light Havana con lenti Crystal Blue rappresenta l’evoluzione dell’originario modello 649 (già visto sul volto di Marcello Mastroianni in Divorzio all’Italiana) grazie all’introduzione di cerniere sia lungo le stanghette che tra i punti focali, tali da renderli i primi occhiali da sole pieghevoli in acetato. 

6. André Courrèges Eskimo (1965) Foto: Pinterest

I design di Courrèges sono diventati celebri per la loro capacità di portare nel fashion le lezioni del Modernismo e della Op Art degli anni Sessanta. Gli Eskimo ne sono lo sviluppo nel campo dell’eyewear. Questi occhiali strizzano l'occhio alle primitive montature in avorio degli Inuit, declinandole all'estetica Space Age del tempo, dunque impiegando forme affusolate e plastica bianca. Permettendosi di non curarsi della funzionalità, essi sono uno straordinario accessorio di design; un vezzo estetico capace di trasportare immediatamente all’impareggiabile stagione creativa dei Sessanta, quando moda, arte e design sapevano dialogare come solo abbiamo assistito nell’ultimo decennio. Non a caso gli Eskimo sono stati più che un’ispirazione per gli Shutter Shades di Alain Mikli per Kanye West. Indossati in molteplici servizi fotografici del tempo, gli Eskimo furono anche apprezzati da Salvador Dalì e dalla cantante Mina, che ne sfoggia un paio sulla copertina della sua raccolta Del Mio Meglio Numero Otto

7. Oliver Goldsmith Pyramid Shades (1966) Foto: V&A Museum, London

Nel 1966, anno di grazia per la capitale inglese, A. Oliver Goldsmith – che aveva contribuito a una svolta fashion del piccolo brand fondato dal nonno Phillip Oliver nel 1926 – concepisce un occhiale da sole piramidale lavorando la plastica bianca a mano. La montatura era pensata appositamente per sposarsi con un taglio di capelli del celebre parrucchiere Vidal Sassoon – colui che aveva lanciato il celebre caschetto di Mary Quant –, espletando così l’incredibile sinergia tra moda e design all'apice della Swinging London. I Pyramid Shades di Oliver Goldsmith sono oggi parte della collezione permanente del Victoria & Albert Museum di Londra, a sottolinearne lo status di patrimonio del design britannico.

8. Hans Hollein Austriennale (1968) Foto: Pinterest

Performance o oggetto di design? Gli Austriennale possono essere considerati entrambe le cose, a patto che non si abbia la pretesa di usarli contro i raggi UV. Gli occhiali progettati da Hans Hollein, futuro vincitore del Pritzker Architecture Prize nel 1985 e demiurgo di occhiali al limite del design radicale per AOC, venivano prodotti ogni 15 secondi da una pressa per materie plastiche all’interno del padiglione Austriaco durante la Triennale di Milano del 1968. Gli Austriennale, oggi un pezzo da collezionismo, sono un esempio di incontro tra il design futurista degli anni Sessanta e l’estremizzazione dell’applicazione dei processi industriali nel mondo del design. , Gli occhiali finirono anche sulla copertina dell'edizione italiana (Arnoldo Mondadori Edizioni, 1969) del bestseller di Vladimir Nabokov Lolita, a richiamare quelli a forma di cuore utilizzati nella trasposizione cinematografica di Stanley Kubrick. Chissà cosa scandalizzò di più i lettori del tempo tra i peccaminosi racconti dell'autore russo e gli occhiali di Hollein. 

9. Oliver Goldsmith Teashades per John Lennon (1968) Foto: Sothebys

La fortuna di una montatura è spesso dovuta alle personalità a cui sono associate. E’, dunque, inevitabile che gli occhiali preferiti da John Lennon siano diventati un culto nel campo dell’eyewear. Esili nella loro anima in acciaio, i cosiddetti teashades, erano occhiali da vista popolari tra la seconda metà dell’800 e la prima del ‘900, e che conobbero un revival nella seconda metà degli anni ‘60 grazie alla riscoperta tanto dell’estetica dandy che Art Nouveau. A contribuire a questa moda fu anche John Lennon, che se ne innamorò sul set di Come Ho Vinto La Guerra, film del 1967 ambientato durante la seconda Guerra Mondiale a cui prese parte in un momento di pausa dai suoi impegni discografici con i Fab4. Da allora il musicista di Liverpool iniziò a procurarsene una moltitudine con lenti di varie colorazioni che potevano essere, senza distinguo, tanto occhiali da vista quanto da sole. Tra i produttori preferiti da Lennon c’era Oliver Goldsmith, un cui paio datato 1968 fu dimenticato sul sedile dell’auto del collega Ringo Starr. Ritrovati, danneggiati, dall’autista Alan Herring e conservati per decenni, i teashades di Goldsmith con lenti verdi sono stati recentemente battuti all’asta per 165.000 Euro. 

10. Renauld Mustang (aka Rossano) (1969) Foto: Renauld

I Renauld Mustang sono la dimostrazione che lusso e eleganza possono armonizzarsi con montature sportive. Pioniere di design wraparound dai rimandi futuristici sin dai primi anni ‘60, Renauld è stato tra I primi brand a anticipare le montature sportive tipiche dei ‘90. I suoi modelli sono stati amati, tra gli altri, soprattutto da Elvis che – leggenda vuole – li scoprì indosso a un suo fan, a cui consegnò $100 per averli immediatamente.   I Mustang sono tra i modelli al tempo stesso più sperimentali e raffinati, con la loro montatura disponibile in molteplici varianti di oro e argento, come recentemente riproposta in un fedele remake il quarantesimo anniversario del modello. Devono la loro fama nella cultura pop soprattutto grazie al cameo sul volto di Rossano Brazzi – da cui la loro nuova nomenclatura – alla guida di una Lamborghini Miura negli scenografici titoli di testa de The Italian Job (1969), prima di finire tragicamente stritolati sotto i piedi di Raf Vallone – nel film un emissario della Mafia. 

11. Rossignol Ski Aviator (1970s) Foto: Pinterest

Un altro esempio di occhiale da sole pensato per lo sport che si afferma come icona del lifestyle. Questa tipica montatura fine ‘60/primi ‘70 è mutuata da una rivisitazione più corposa, plastica e con due piccole viti agli estremi della mascherina dei classici Aviator. Nonostante questo modello sia soprattutto associato aglianni ‘70 e alla sua incarnazione Rossignol in palette blu-bianco-rossa con lenti specchiate e logo del brand di skiwear francese collocato tra i punti focali, esso condivide il design con i transalpini Bolle & Cèbè, lanciati alle Olimpiadi Invernali di Grenbole del 1968 dallo sciatore Jean Claude Killy, vincitore di tre ori.

12. Cazal 607 (1982) Foto: Cazal

I Cazal 607 sono la montatura che ha definito gli anni d’oro dell’Hip-Hop americano, diventando un fenomeno generazionale dal momento in cui Darryl McDaniles del trio Run-DMC li indossò per la prima volta. Un culto tra gli aspiranti MC dei bloc parties newyorkesi come del celebre regista e icona Afroamericana Spike Lee, i Cazzal – fraternamente ribattezzati ‘Cazzy’ dagli adepti – uniscono a una tipica montatura anni Settanta alla Yves Saint Laurent l’opulenza dell’oro tipica degli Ottanta. Le loro radici affondano nelle intuizioni di Cari Zalloni, designer di origini italo-greco-austriache, con un'infanzia trascorsa tra l'archeologia della Grecia antica e le sperimentazioni del design Austriaco dei '60. Dopo essersi fatto le ossa in Carrera, Zalloni fonda il brand nel 1975 per poi trovare, a distanza di pochi anni, un inaspettato successo nelle mondo delle subculture d’oltreoceano. 

13. Issey Miyake IM-101 (1985) Foto: Issey Miyake

Nell’essenziale minimalismo della loro montatura in titanio – due circonferenze e una retta – gli IM-101 sono gli occhiali da sole più rappresentativi dell’opera di Issey Miyake. Il loro status di icona senza tempo è soprattutto dovuto al fatto che Jean-Michel Basquiat li rese parte essenziale del suo look, al punto che il fotografo Henry Leutwyler li utilizzò per celebrarne la figura nella sua celebre serie di still life Document. Il concept di Miyake, sempre attuale a più di 30 anni dalla sua creazione, ritorna in altre montature di design, come quella dei Siza Vieira 0007 di Alvaro Siza per Vava.  

14. Oakley Razor Blade (1987) Foto: Oakley

Se si chiedesse di definire gli Ottanta con una montatura, gli Oakley Razor Blade sarebbero la risposta. Questi occhiali da sole, diretta evoluzione dei simili Blade e dei precedenti Eyeshade introdotti alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984, furono capaci di tradurre un accessorio nato per lo sport in un fenomeno di streetwear. Il design wraparound unito a colorazioni che strizzavano l’occhio alla futura estetica Cyber – dalle montature Planet-X alle lenti Violet Iridium, passando per l’endorsment con pubblicità in stile Terminator del ciclista John Tomac – li rendeva tanto pratici nelle competizioni ciclistiche quanto nei club. Il dirompente successo dei Razor Blade fu anche dovuto alle sue montature componibili, che offrivano possibilità di personalizzazione mai viste prima di allora per un paio di occhiali. 

15. Chloé Crystal Heart (2000s) Foto: Pinterest

Un instant classic dei primi anni ‘00, come d’altronde tutto ciò che veniva indossato dall’allora rampante Paris Hilton, questi occhiali da sole Chloé sono scivolati nel dimenticatoio degli obbrobri per un paio di decenni, per poi tornare prepotentemente in voga grazie (o a causa) del recente revival dell’estetica Y2K. Una montatura metallica esile bilanciata da solide lenti rigorosamente sfumate di rosa e, a fare la differenza (anche economica), un piccolo cuore in cristalli Swarovski applicato sulla lente sinistra. I Crystal Heart sono diventati un classico della cultura pop ai tempi del post-moderno, in un costante bilico tra chic e trash che li ha resi – nelle molteplici imitazioni contraffatte – un’immancabile presenza sui banchetti di spiagge e mercati. 

16. Nike Vision Edgar Davids (2005) Foto: Pinterest

A cavallo tra I ‘90 e I ‘00 le montature sportive, grazie al loro design avveniristico e retrofuturista capace di tendere all’ansia per il nuovo millennio, hanno saputo affermarsi nello streetwear, contaminando tanto le passerelle quanto le scene musicali giovanili (abbondano sulla retrocopertina del classico Supercafone di Piotta). Tra I design wraparound più iconici di questi anni ci sono gli occhiali che il dipartimento Vision della Nike studiò per l’olandese Edgar Davids, stella calcistica a cavallo dei due decenni e, anche per via del suo inusuale ma formidabile look, icona dal magnetismo che trascendeva la sola sfera sportiva.

17. Alain Mikli Shutter Shades (2007) Foto:Pinterest

Gli shutter o venetian shades – così chiamati per il design che tanto ricorda persiane e tapparelle – sono un’eredità degli anni ‘50, periodo in cui l’entusiasmo per le nuove scoperte nel campo della plastica portavano a slanci di design sperimentale. Divertissement da party più che veri occhiali da sole, gli shutter shades non proteggono dai raggi UV, anzi più generalmente ostacolano la vista. Se negli ‘80 conoscono grande popolarità grazie ai camei nei videoclip di Glittering Prize dei Simple Minds e Obsession degli Animotion, è solo nel 2007 che vengono elevati a cult grazie a una versione rivistata dal designer Alain Mikli per l'identità visiva del singolo Stronger di Kanye West

18. Bottega Veneta BV108S (2020) Foto: Bottega Veneta

Uno degli ultimi lasciti di Daniel Lee a Bottega Veneta, I BV108S riprendono le lezioni di cinquant’anni di design plastico applicato all’eyewear dando vita a una montatura sorprendentemente originale nei suoi espliciti rimandi a quegli anni ‘90 e ‘00 a loro volta sedotti dalla Space Age dei ‘60. I BV108S sono tra gli occhiali da sole che maggiormente hanno saputo cogliere lo zeitgeist di questi tempi in cui la moda è sempre più un cacofonico supermarket di riferimenti sottoculturali proiettati al Metaverso. Non a caso, sono stati indossati dal rapper inglese Slowthai ospite della discussa sfilata Bottega Veneta Autunno Inverno 2021 tenutasi, nonostante il lockdown, lo scorso Aprile all’interno del leggendario Berghain di Berlino.

19. Oliver Peoples Gio Ponti Collection Foto: Oliver Peoples

Rendere omaggio a una delle figure più influenti nella storia dell’architettura e del design non è certo impresa semplice. Oliver Peoples lo fa traendo spunto dagli occhiali che tanto hanno contraddistinto il volto del fondatore di Domus, declinandoli in una collezione realizzata in collaborazione con l’Archivio Gio Ponti. Il risultato è una serie di montature, sia da sole che da vista, che rimandano all’eyewear design degli anni ‘30, fatto di silhouette arrotondate e in acciaio, disponibili anche in un’originale versione con lenti da sole sovrapponibili che tanto ricordano gli anni d’oro della Riviera italiana. 

20. Vava x Kengo Kuma CL00015 (2021) Foto: Vava

Il mondo dell’eyewear è fatto anche di intuizioni che esulano dalla sola ottica, come nel caso della collaborazione tra l’archistar giapponese Kengo Kuma e Vava, brand attento a ospitare nomi eccellenti del mondo del design. Nella loro recente collezione, i modelli CL00015 (in foto) e CL00013 nascono con l’idea di proiettare nella contemporaneità tecniche costruttive tipiche dell’architettura giapponese. Anche la loro realizzazione, mediante l’uso di stampanti 3D che impiegano scarti di ricino, si fa interprete dell’attenzione che l’architettura sta dando alla sostenibilità.