Tutto in una mappa

Per festeggiare 128 anni, il National Geographic riunisce in un volume “oversize” edito da Taschen alcune delle più interessanti infografiche, che hanno creato lo stile proprio della rivista, senza mai lasciare che fosse il software a dettare i canoni delle  illustrazioni.

National Geographic Infographics
Julius Wiedemann, National Geographic Infographics, Taschen, 2016, 480 pages.

 

Dominare il sovraccarico informativo, quell’enorme e crescente quantità di dati prodotti e distribuiti ogni secondo in tutto il mondo, è da molti anni uno degli obiettivi – mai conseguiti – dell’evoluzione tecnologica. Il problema si poneva già nel 1945, quando l’ingegnere americano Vannevar Bush ipotizzò un complesso strumento che avrebbe dovuto risolverlo: si trattava del Memex (combinazione di Memory ed Extension). Mai costruito e soltanto progettato, il Memex era una sorta di scrivania meccanizzata che avrebbe aiutato a gestire meglio i propri documenti, combinandoli fra loro in un modo non lineare, ma più simile al funzionamento del pensiero, che associa i vari concetti in base a collegamenti (link), anticipando così l’idea di ipertesto, cuore del World Wide Web. Con strumenti innovativi – era l’idea da cui partiva Bush – sarebbe stato possibile dare forme nuove alla conoscenza, governando in qualche modo il sovraccarico informativo. Oggi è chiaro che il web non solo non è riuscito a risolvere il problema, ma lo ha semmai notevolmente aggravato.

 

Parecchi anni prima di Bush, nell’ottobre del 1888, nasceva uno strumento, apparentemente votato a tutt’altro compito – esplorare e spiegare il nostro mondo – che però si sarebbe trovato ad affrontare problemi molto simili a quelli descritti dall’ingegnere anticipatore dell’ipertesto e a risolverli, spesso brillantemente. Parliamo della rivista della National Geographic Society che, per celebrare i suoi 128 anni di vita, ha pubblicato il volume National Geographic Infographics, dove riunisce alcune delle più interessanti infografiche pubblicate nel corso dei decenni.

Il libro, in un’edizione “oversize” (24,6 x 37,2 cm) particolarmente curata sia dal punto di vista editoriale sia grafico, è suddiviso in sette sezioni: Storia, Pianeta, Esseri umani, Mondo animale, Regno vegetale, Scienza e tecnologia, Spazio. Un prezioso indice finale sintetizza data di pubblicazione e tema delle varie immagini. Dalla prima illustrazione, pubblicata nello stesso anno di uscita della rivista, con la rappresentazione a colori dell’attività di una tempesta al largo della Nuova Scozia, si arriva fino a una complessa ricostruzione dello scioglimento dei ghiacci nella calotta artica, passando per descrizioni minuziose di monumenti, come la Colonna Traiana (quattro pagine dense di dettagli e spiegazioni), rappresentazioni dell’invisibile struttura dei buchi neri, della materia oscura, o di processi vitali come il ciclo del sonno.
National Geographic Infographics
Julius Wiedemann, National Geographic Infographics, Taschen, 2016
La prestigiosa rivista, cui collaborò nei primi anni anche Alexander Graham Bell, l’inventore del telefono, fin dall’inizio fece grande uso della grafica come strumento per semplificare e rendere più accessibili le informazioni. Alle carte geografiche dettagliate si affiancò fin da subito una visione più ampia secondo la quale la mappa poteva essere utilizzata per rappresentare i contenuti più vari. Che si trattasse dell’interno di una piramide o della storia dello sci (si viene a scoprire che i suoi primi esemplari risalgono all’8.000 avanti Cristo), il linguaggio scelto privilegia gli aspetti visivi, fornendo al lettore un’immediata percezione sintetica dell’argomento. Alle illustrazioni fatte a mano da Fernando Baptista si alternano nei vari numeri immagini più complesse, in cui si condensa graficamente una grande quantità d’informazioni, senza mai compromettere la qualità estetica del risultato.
Nigel Holmes, illustratore e graphic designer del National Geographic, spiega nell’introduzione al volume, che la rivista non si è mai abbandonata a eccessi grafici, come l’abuso della tridimensionalità. In altri termini, non ha mai lasciato che fosse il software a dettare i canoni delle proprie illustrazioni, come purtroppo capita spesso: se un effetto è tecnicamente possibile si finisce per esagerare, con il risultato di perdere la propria originalità per piegarsi a un’uniformità in cui diventa difficile distinguere un prodotto editoriale da un altro. Nel caso del National Geographic, si può dire esattamente il contrario: proprio la scelta di raccontare i fatti attraverso la grafica ha fatto nascere uno stile proprio della rivista, e sfogliando il libro se ne trovano continue conferme.
Il riconoscimento più importante arriva dai lettori, che nel 1988, centenario della pubblicazione, erano 14 milioni. Anche oggi la cifra resta al di sopra di quel record, per una rivista stampata in 43 lingue e diffusa su tutti i canali digitali. Le infografiche spaziano ormai tra diversi generi, dai contorni di una regione a cartine con rilievi tridimensionali a immagini satellitari corredate da minuziose didascalie esplicative. Ma la rivista mantiene una certa cautela riguardo alla Data visualization o dataviz, ovvero la visualizzazione dei dati, l’utilizzo della grafica per dare una forma visiva a basi di dati anche molto complesse e renderle comprensibili al pubblico. Qui l’illustratore lavora con l’indispensabile aiuto del software e i risultati possono essere di altissimo livello estetico, ma non sempre di facile comprensione.
Esplorare un’immagine di questo tipo, densa d’informazioni, spesso stratificate, che in alcuni casi richiedono tecnologie interattive per essere recuperate, è un compito impegnativo. La scelta di National Geographic, per il momento, è mantenere l’accento su immagini di comprensione immediata (esemplare al proposito è la raffigurazione del progetto Mose, pubblicata a pagina 167). Per il futuro, forse, c’è da attendersi più spazio per sperimentazioni di data visualization, che è poi un modo concreto in cui la tecnologia può provare a domare il caos informativo e coronare il sogno di Bush. Ma la storia della rivista è qui a dimostrare che lo schizzo di un bravo illustratore può ancora aiutarci meglio di un computer a conoscere il mondo. E a dargli un senso.
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