Unpacking my library: Bjarke Ingels

Come prevedibile, i libri che hanno ispirato il fondatore di BIG sono eterodossi quanto la sua carriera, spaziando dai fumetti a Nietzsche.

Bjarke Ingels, progettista danese che lavora tra Copenhagen e New York, in procinto di diventare la prossima icona dell'architettura contemporanea, illustra con passione le tappe della sua vita di lettore. Non sceglie sette libri, ma sette piccoli gruppi di titoli, quasi tutti capeggiati da un portabandiera. È un lettore vorace, che spazia dalla fantascienza alla filosofia contemporanea, alla continua ricerca di metafore, idee, concetti che possono innervare la sua ricerca. Predilige l'evoluzione alla rivoluzione, e l'uso sapiente dei generi codificati alla tabula rasa che costringe a cambiamenti formali tragici e radicali. La sua esperienza di creatore di spazi e volumi si riflette con precisione in questo approccio: il cinema e l'immaginario visivo dei fumetti giocano un ruolo fondamentale in una parata di nomi e titoli che, come le sue architetture, potrebbero essere definite adattabili e muscolari. GR


1. Frank Miller, Batman. Il cavaliere oscuro colpisce ancora
2. William Gibson, Neuromante
3. Manuel De Landa, Mille anni di storia nonlineare. Rocce, germi e parole
4. Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale
5. David Lynch, Twin Peaks: An Access Guide to the Town
6. Charlie Kaufmann, Adaptation. The Shooting Script
7. Charles Darwin, L'origine della specie, L'origine dell'uomo e altri scritti sull'evoluzione
8. Umberto Eco, Il pendolo di Foucault
9. Douglas Coupland, Generazione X

Io leggo fumetti da quando ho 8–9 anni, e sono sempre stato un fan dei grandi disegnatori europei degli anni Settanta e Ottanta: Paolo Serpieri, Tanino Liberatore e ovviamente Manara. Ma anche Moebius e tanti altri. Ho sempre divorato questo genere di libri. Ma il cambio epocale per me è stato questo capolavoro di Frank Miller, che stranamente non è mai stato tradotto in linguaggio cinematografico, anche se ha ispirato chiaramente il secondo Batman di Christopher Nolan. Graficamente ha la crudezza di un Hugo Pratt, grandi contrasti nel bianco e nero, ruvidezza. E in termini di struttura narrativa invece ha qualcosa in comune con The Watchmen: una narrazione non-lineare, in cui si seguono diversi filoni contemporaneamente, molto stratificata, in cui diversi punti di vista e diverse realtà sono intercalate: una moltitudine di informazioni viene offerta al lettore, il racconto è molto più ricco e profondo. Credo che Miller sia stato uno dei più sofisticati autori in grado di sperimentare la commistione di immagini e parole.
A sinistra: Frank Miller with Klaus
Janson and Lynn Varley,
<i>Batman®: The Dark Knight®
Returns</i>, DC Comics,
New York 1997. A destra: William Gibson,
<i>Neuromancer</i>, HarperCollins
Publishers, London 1995
A sinistra: Frank Miller with Klaus Janson and Lynn Varley, Batman®: The Dark Knight® Returns, DC Comics, New York 1997. A destra: William Gibson, Neuromancer, HarperCollins Publishers, London 1995
Era il primo anno di liceo, il 1990, quando ho scoperto William Gibson. Avevo un computer, un Commodore 64, già da qualche anno. La cosa più eccitante per me era che si trattava realmente di un universo che conoscevo, molto quotidiano e pieno di tutte le cose che frequentavo nella vita quotidiana, e insieme completamente astratto, lanciato nel futuro. Era una autentica proiezione del presente nel futuro. 'Se le cose procedono in questo modo, andranno come nel libro'. A rileggerlo oggi, nel 2011, è stato veramente profetico. Se si pensa che quando l'ha scritto non c'era internet, e che fra l'altro non l'ha neppure scritto sul computer, ma su una macchina da scrivere. Io possedevo già un Commodore 64 quando lui ha scritto su una macchina analogica il libro che preconizzava l'intera vita digitale. E quel che mi manda completamente fuori di testa, nel libro, ancora adesso, è l'accento posto sulla qualità quasi divina dell'intelligenza artificiale, l'idea che l'informazione possa essere dovunque e comunque. E il lato sorprendente è che la nostra realtà di ogni giorno è diventata esattamente così, informazione capace di arrivare ovunque e comunque.

Sarebbe come dire: Gibson ha inventato Matrix e ha inventato la realtà virtuale. Anche Philip K. Dick e Iain M. Banks sono stati importantissimi per me, e tuttora leggo spesso science-fiction: ora ne sto leggendo uno fortemente influenzato dal problema ambientale, in cui gli esseri umani colonizzano un altro pianeta, e i problemi della preservazione ambientale e dell'ecologia risuonano in modo completamente diverso, alla luce della colonizzazione di un nuovo pianeta. La base di ogni opera di fantascienza che mi interessa è sempre una struttura in cui la trama è accelerata da un'idea, politica, sociale, tecnologica, e l'intera storia è un'esplorazione narrativa di quell'idea: come il semplice cambio di un parametro muta tutto il resto. Trovo che l'intero processo d'invenzione e realizzazione architettonica abbia a che vedere con questo tipo di accelerazione di ipotesi.
Manuel De Landa,
<i>A Thousand Years
of Nonlinear History</i>,
Zone Books, New York 1997
Manuel De Landa, A Thousand Years of Nonlinear History, Zone Books, New York 1997
Sono andato a lavorare da OMA nel 1998, finita l'università, proprio nel momento in cui la villa di Bordeaux era quasi terminata, e ci fu una mostra, Living Reading, in cui era fortemente coinvolto Bruce Mau. Amavo i suoi libri, e Mau aveva appena disegnato la copertina del libro di De Landa. Il libro di De Landa è la storia di mille anni di storia delle idee, ma anch'esso usa metafore geologiche: stratificazione, sedimentazione, segmentazione, cristallizzazione. Il libro illustra lo sviluppo della storia umana attraverso l'uso dei minerali e delle pietre e del modo in cui vengono utilizzate. È un'esperienza di lettura straordinaria, che tocca quasi tutti gli aspetti della convivenza sociale: per esempio, come il linguaggio crea lo spazio, e anche lì il 'liquido' della lingua genera uno spazio cristallizzato, dunque un'ennesima metafora. Fui letteralmente esaltato da questo punto di vista, che mescolava l'idealistico e il materiale, in modo complesso e molto eccitante.

Nietzsche è diventato il mio filosofo preferito, e questo titolo è un classico quasi ovvio. Non ho mai studiato Nietzsche all'università. Ciò che rende Genealogia della morale il mio prediletto tra i suoi libri è quest'idea che a volte, per agire meglio, hai bisogno di focalizzare il percorso che ti ha portato fin lì: ciò che rimane un'abitudine e ciò che cambia. Si tratta di un modo di leggere e imparare dall'accumulo di esperienza: vedere il pianeta come un laboratorio di enorme complessità e dimensione, il che mi ha influenzato profondamente. Nietzsche non è più nichilista di quanto Marx fosse un capitalista: ha identificato il nichilismo come Marx ha identificato il capitalismo. Nietzsche mi ha trasmesso l'eccitazione per la libertà di creare nuovi valori, che è tutt'altra cosa dal non possedere dei valori. Il punto è creare valori in qualità di filosofo attivo. Gli architetti usano la filosofia per cercare immagini, topoi. Prendi Deleuze e Guattari: molti architetti adorano il rizoma perché costruire edifici rizomatici costa poca fatica e poca immaginazione.
Espressione piena della sua generazione, Bjarke Ingels, che ha fondato BIG da ragazzo, è il pensatore antidogmatico e comunicatore carismatico per eccellenza, e ha dimostrato che anche in architettura l’età non conta per il successo.
Charlie Kaufman,
<i>Adaptation. The Shooting
Script</i>, Newmarket Press,
New York 2002
Charlie Kaufman, Adaptation. The Shooting Script, Newmarket Press, New York 2002
Mi piace molto il cinema. Fare un film è l'attività più assimilabile a costruire un edificio che esista oggi: entrambe si basano su lunghe e costose ricerche preventive, e richiedono un'esecuzione altrettanto complessa, che mette in campo diverse competenze: e non si sa mai se si riuscirà davvero a completare l'opera, a metterla al mondo. Inoltre, sia un regista sia un architetto devono costruire modelli di oggetti più grandi, che permettano di persuadere gli investitori della bontà del progetto. Uno dei miei registi preferiti è David Lynch. Nei primi anni Novanta ho visto Twin Peaks, e mi ha letteralmente mandato fuori di testa, e non solo perché Sherylin Fenn era l'attrice più bella del mondo! Due anni prima avevo visto in tv Cuore Selvaggio, e in seguito ho rivisto tutti gli altri film. Ciò che amo di più di Lynch è la capacità di inserire elementi assolutamente eterodossi all'interno di generi codificati, come il thriller, il mistery, la commedia, e perfino la serie tv. Sono un acceso sostenitore, anche in architettura, della necessità dei generi.

Modificare i generi, pur rispettandone i canoni fondamentali, è esattamente ciò che ha fatto questo bravissimo sceneggiatore e regista, sia nei lungometraggi diretti che in quelli sceneggiati. In Adaptation, alla fine, è come se lui volesse davvero fare soltanto un film sui fiori, anche se poi il risultato per lo spettatore è molto più complesso e stratificato. Il rispetto per le forme codificate è un valore anche nella progettazione: sono convinto che sia un grave errore, per chi fa il mio mestiere, concedersi il lusso di gettare nel mondo oggetti amorfi.
Matt Ridley, <i>The Rational Optimist:
How Prosperity Evolves</i>
Matt Ridley, The Rational Optimist: How Prosperity Evolves
Ciò che ho imparato dalla lettura di Darwin è strettamente legato al discorso sulle forme: le mutazioni radicali, troppo radicali, sono spesso l'inizio della fine, la causa per la quale i sistemi cominciano a morire. Le rivoluzioni sono drammatiche, e anche se sono del tutto consapevole che i cambiamenti improvvisi e tragici possono nel tempo essere funzionali all'evoluzione, in linea di massima sono a favore dell'opposizione evoluzione/rivoluzione. Ma, aldilà di questo, mi sento di aggiungere che Darwin è uno scrittore accuratissimo, oltre che uno scienziato capitale: i suoi libri sono insolitamente divertenti e appassionanti, e in tal senso condividono qualcosa con l'ultimo grappolo di titoli che ho scelto per il nostro unpacking.

Ecco due libri bellissimi, e completamente diversi. Il romanzo di Eco è strutturato in modo molto interessante e sottile, pieno di rimandi che non si colgono immediatamente ma solo dopo un po' e naturalmente ha a che fare con i complotti, le società segrete e l'ossessione che gli uomini hanno per la conoscenza. È come se il bisogno di sapere qualcosa sia più urgente del bisogno di verificare se la cosa che si sa è vera. E questo rende il libro un apologo inquietante della natura umana. Quando ho letto Generazione X avevo 22 anni, il mio mito letterario era William Gibson, e rimasi molto colpito e influenzato dal fatto di scoprire che all'epoca Gibson viveva a Vancouver, la stessa città di Coupland. Si tratta di un grande occhio puntato sulla vita quotidiana, che riesce a far notare al lettore minuscoli dettagli altrimenti invisibili. All'epoca, all'università, leggevo solo di studiosi e teorici dell'architettura che detestavano la contemporaneità. Ecco perché mi appassionava così tanto Coupland: mi pareva così incantato dal presente…
Jared Diamond, <i>Guns, Germs, and Steel:
The Fates of Human Societies</i>
Jared Diamond, Guns, Germs, and Steel: The Fates of Human Societies

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