G: An Avant-Garde Journal of Art, Architecture, Design, and Film, 1923–1926

Un'analisi critica che fa rivivere una dimenticata, ma influente, rivista d'avanguardia.

G: An Avant-Garde Journal of Art, Architecture, Design, and Film, 1923–1926, a cura di Detlef Mertins e Michael W. Jennings, Los Angeles, Getty Research Institute, 2010 (pp. 280, $ 40)

Le avanguardie europee degli anni Venti, ansiose di rivoluzionare la prassi e la teoria del mondo moderno ma prive dei mezzi per sperimentare le loro idee nella pratica, presentarono il loro lavoro in numerose, piccole ma influenti riviste internazionali. Contemporanea di periodici più noti come De Stijl e L'esprit nouveau fu la testata berlinese G: Material zur Elementaren Gestaltung ["G: materiale per una teoria elementare della forma"], che fino a oggi è stata praticamente ignorata. Un nuovo libro a cura dello scomparso Detlef Mertins e di Michael W. Jennings, entrambi importanti studiosi della cultura dell'epoca di Weimar, recupera G al circuito internazionale illustrandone l'importanza storica come canale del dibattito delle avanguardie.

G: An Avant-Garde Journal of Art, Architecture, Design, and Film, 1923–1926 unisce tre progetti indipendenti in un unico volume dalla vivace copertina rossa. È allo stesso tempo un attento recupero, una traduzione moderna e una storia critica. Se i lettori di oggi devono considerare G come "uno dei primi periodici della moderna cultura visiva", come suggerisce Edward Dimendberg, dovremmo apprezzarne concretamente l'aspetto oltre che i contenuti. E, con nostra grande soddisfazione, è proprio così. Grazie alla precisa ricostruzione grafica e tipografica realizzata dallo studio Chris Rowat Design la recente traduzione del testo si presenta al lettore anglofono proprio come appariva in origine a quello tedesco, compresi i caratteri caduti da tempo nell'oblio e le intricate soluzioni di impaginazione. I primi due numeri sono fedelmente riprodotti in forma di tabloid ripiegati e inseriti nella retrocopertina del volume. I curatori hanno si sono trattenuti dal cercare di correggere o di annotare gli errori e le incoerenze dell'originale, permettendo al lettore di constatare direttamente questi problemi. L'attenzione critica si concentra invece sui saggi di ricerca di Mertins, Jennings, Dimendberg e Maria Gough, cui si aggiunge una prefazione di Barry Bergsoll che analizza G alla luce del luogo e del tempo in cui nacque.
Doppie pagine da <i>G: An Avant-Garde Journal of Art, Architecture, Design, and Film, 1923–1926</i>.
Doppie pagine da G: An Avant-Garde Journal of Art, Architecture, Design, and Film, 1923–1926.
A quasi novant'anni di distanza i cinque numeri originali del periodico rimangono stimolanti perché documentano il fondamento della creazione formale e della cultura dell'età della macchina. Non era in gioco solo il futuro dell'arte e dell'architettura, affermavano i protagonisti di G, ma anche il futuro della civiltà. Le rovine del vecchio ordine, ancora fumanti dopo il cataclisma della Grande Guerra, parevano richiedere un nuovo atteggiamento verso ogni aspetto della vita. In un'atmosfera infiammata da continui cambiamenti e dibattiti, molteplici possibilità di futuro facevano la loro apparizione come aeroplani freschi di fabbrica pronti a decollare in differenti direzioni. Quale sarebbe decollato per primo, chi lo avrebbe pilotato e quanto lontano sarebbe andato? Hans Richter, l'ex artista e regista dadaista che fondò G e la pubblicò dal suo appartamento berlinese, tentò di fare il giro dei vari movimenti stilistici dell'avanguardia. Insieme con un gruppo di collaboratori di cui fecero parte di volta in volta El Lissitzky, Theo van Doesburg, Ludwig Mies van der Rohe, Ludwig Hilberseimer, Raoul Hausmann, Tristan Tzara e Werner Graeff, Richter compì un'esplorazione completa della elementare Gestaltung, che Mertins e Jennings traducono con elemental form-creation (teoria elementare della forma).
Da Mies van der Rohe, "Industrial Building", pubblicato in <i>G: Materials for Elemental Form-Creation</i>, no. 3 (1924).
Da Mies van der Rohe, "Industrial Building", pubblicato in G: Materials for Elemental Form-Creation, no. 3 (1924).
La teoria elementare della forma era più un processo che un prodotto. Mirava alla ricerca di moduli costruttivi comuni – alla pittura come all'architettura, alla scultura, all'architettura al cinema e al disegno industriale – che si sposassero all'assoluta chiarezza e trasparenza di propositi. Come scrive Mies van der Rohe nel primo numero: "Il massimo risultato con il minimo dispendio di mezzi". Arte e progetto dovevano fondersi con le forze produttive, proclamava G, dimenticando le gerarchie elitarie che separavano l'artista dall'operaio, il genio dal tecnico e la cultura dall'economia. E tuttavia i collaboratori di G osteggiarono spesso il materialismo logico-tecnico adottato da altri contemporanei come i membri del gruppo ABC di Hannes Meyer. "Occorre conservare sempre la consapevolezza della miseria della conoscenza razionalistica", recita un saggio postumo del regista Viklog Eggeling in G4. Come notano Mertins e Jennings "la moderna sottolineatura materialistica del processo […] si pone in tensione pagina dopo pagina con l'adesione idealistica a una Geistigkeit aristocratica, un misto di spiritualità e di intellettualismo che ha sostanziato l'umanesimo tedesco fin dall'Illuminismo". Così come un tessuto spiritualista permea il pragmatismo materialista di Walter Gropius nel programma del Bauhaus del 1919, i collaboratori di G erano alla ricerca di qualcosa che andasse oltre la nuda strumentalità dei mezzi che sostenevano. Costituendo per così dire uno strumentario creativo universale e funzionale Richter e soci andavano alla ricerca della "possibilità di una cultura nel profondo caos dei nostri giorni" che non era nostalgia del passato né insensibile nei confronti della psiche umana.
Le rovine del vecchio ordine, ancora fumanti dopo il cataclisma della Grande Guerra, parevano richiedere un nuovo atteggiamento verso ogni aspetto della vita. In un’atmosfera infiammata da continui cambiamenti e dibattiti, molteplici possibilità di futuro facevano la loro apparizione come aeroplani freschi di fabbrica pronti a decollare in differenti direzioni.
Da <i>G: Materials for Elemental Form-Creation<i>, n. 5/6 (1926).
Da G: Materials for Elemental Form-Creation, n. 5/6 (1926).
Alcuni dei contributi più interessanti di G ripercorrono l'evoluzione della sperimentazione e delle teorie del cinema, linguaggio ancora nuovo negli anni Venti. Gli scritti di Richter e di Haussmann, tra gli altri, anticipano i classici saggi degli anni Trenta di Walter Benjamin sul cinema, sulla modernità e sulla politica. L'avvento del cinema richiedeva una nuova estetica del movimento e una nuova strategia della produzione e della fruizione collettiva. Richter in quel periodo considerava il cinema prevalentemente come ritmo, ma si interessava anche all'analisi dei suoi rapporti con gli altri linguaggi. Come descrivono Mertins e Jennings il servizio principale di G1 "offre una straordinaria e inedita collezione di immagini, invitando i lettori ad analizzare le corrispondenze" tra un'intera sequenza di Richter, una proposta di palazzo per uffici di Mies van der Rohe, dei diagrammi di Theo Van Doesburg e l'impaginato tipografico costruttivista di Lissitzky.
Una tasca sulla terza di copertina di <i>G: An Avant-Garde Journal of Art, Architecture, Design, and Film, 1923–1926</i> contiene copie anastatiche di inserti pieghevoli.
Una tasca sulla terza di copertina di G: An Avant-Garde Journal of Art, Architecture, Design, and Film, 1923–1926 contiene copie anastatiche di inserti pieghevoli.
Il nuovo G pubblicato dal Getty Research Institute è di struttura talmente salda che è difficile farne la critica, sia per la presentazione dei materiali storici sia per il quadro analitico. Come in un edificio di Mies l'espressione finale, apparentemente assiomatica, nasce da una progettazione intensa e da una realizzazione ispirata che spesso richiede la definizione di particolari complessi. Ovviamente nella sua qualità storiografica l'opera solleva più domande di quante non possano trovare risposta nelle sue pagine. Ulteriori ricerche richiederà, per esempio, scoprire in che modo G sia stata accolta dai contemporanei e in che modo possa aver influito su vari progettisti a essa non direttamente legati. Data l'importanza e il successivo esodo delle avanguardie dell'epoca di Weimar un seme piantato nell'humus culturale di Berlino poteva diffondersi in un'area vasta e lontana. E quindi si può considerare G non solo un prodotto culturale ma anche una fonte di cultura? Un altro interrogativo riguarda l'eredità successiva dell'idea di elementare Gestaltung, la ricerca dei processi creativi fondamentali che sono contemporaneamente ideali, pratici e democratici. Dato che gli architetti di oggi continuano a ripensare le origini della forma e della teoria della forma tramite strumenti digitali dobbiamo continuare a chiederci: qual è la responsabilità dell'architetto nei confronti della cultura? E dell'economia e della tecnologia? E delle altre discipline creative?

Nel suo duplice carattere di risorsa primaria e secondaria, insieme con la sua attitudine a inserirsi senza soluzione di continuità nei dibattiti attuali sulla cultura visiva, il nuovo G offre al lettore strumenti di particolare ricchezza per affrontare attivamente un documento storico. E indubbiamente riesce, per quanto possa farlo uno strumento accademico, a realizzare quella comunicazione reciproca che Maria Gough attribuisce all'opera pionieristica di Bertolt Brecht e di El Lissitzky.
Inserti pieghevoli, <i>G: Materials for Elemental Form-Creation<i>.
Inserti pieghevoli, G: Materials for Elemental Form-Creation.
Detlef Mertins, scomparso nel gennaio 2011, viene ricordato dai suoi colleghi dell'università di Pennsylvania e da molti come un docente lungimirante e un attento studioso, che ha messo in discussione le certezze storiche del settore e ha affrontato la questione del futuro dell'architettura in un'epoca di rapide trasformazioni tecnologiche. Dopo la pubblicazione di G sono attese nel 2011 altre due opere di Mertins: Architecture Words 7: Modernity Unbound, antologia di saggi pubblicata dall'Architectural Association di Londra, e un'ampia monografia dedicata a Ludwig Mies van der Rohe.

Gideon Fink Shapiro sta preparando il dottorato di ricerca in Architettura presso il PennDesign, la scuola di progettazione dell'università di Pennsylvania. Suoi scritti sono stati pubblicati da DomusWeb, Architect Magazine, Abitare, Crit, Gothamist e Streetsblog.
Inserto spiegato, <i>G: Materials for Elemental Form-Creation, n. 1 (1923).</i>
Inserto spiegato, G: Materials for Elemental Form-Creation, n. 1 (1923).
Inserto spiegato, <i>G: Materials for Elemental Form-Creation, n. 1 (1923).</i>
Inserto spiegato, G: Materials for Elemental Form-Creation, n. 1 (1923).
Inserto spiegato, <i>G: Materials for Elemental Form-Creation, n. 2 (1923).</i>
Inserto spiegato, G: Materials for Elemental Form-Creation, n. 2 (1923).
Inserto spiegato, <i>G: Materials for Elemental Form-Creation, n. 2 (1923).</i>
Inserto spiegato, G: Materials for Elemental Form-Creation, n. 2 (1923).

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