Un marxista a Disneyland

di Pierluigi Cervellati

Celebration, la città perfetta. L’utopia urbanistica finanziata dalla Disney, Andrew Ross, arcanapop, Roma, 2001 (pp. 411, euro 17,00)

Quando decide di passare l’anno sabbatico a Celebration, Andrew Ross è perplesso. Non lo dice, ma si capisce che è prevenuto verso questa nuova città appena costruita dalla Disney nell’ultimo decennio del Novecento. Da antropologo-sociologo che insegna alla New York University vuole convincere se stesso di essere ‘oggettivo’. Di non provare repulsione o attrazione per questo nuovo insediamento. Gli articoli redazionali favorevoli si alternano a critiche spietate. ‘Disneyficare’, del resto, è ovunque sinonimo di kitsch. Fustigare la Disney, lo dice in premessa, è uno degli sport più praticati a New York City.
(Forse) snobbisticamente decide di andarci dopo aver studiato i precedenti insediamenti e in particolare il ‘fallimento’ di EPCOT, Orlando: regione della Florida, la stessa di Celebration. EPCOT doveva essere una città più che utopica, avveniristica: Experimental Prototype Community of Tomorrow. Con la morte di Walt, invece, diventò Disney World. Solo una macchina mangiasoldi. Ma anche il progetto iniziale rispecchiava una visione urbanistica obsoleta quanto velleitaria. Costruire un modello urbano capace di risolvere mediante la tecnologia tutti i grandi problemi della vita metropolitana di allora (che sono gli stessi di oggi).
Degrado e insicurezza, isolamento e intasamento, ingorghi stradali e inquinamento. Nel film di presentazione del progetto, Walt Disney fa una dichiarazione (che in molti, e non solo in America, hanno ripetuto da quel lontano 1966). “Con EPCOT si vuole affrontare la sfida urbana… a cominciare dai bisogni della gente, che non aspira a curare vecchie malattie di vecchie città. Noi crediamo che la gente abbia bisogno di incominciare da zero in un territorio vergine… EPCOT costituirà una comunità speciale che non cesserà mai di essere un progetto del futuro. Tutto sarà finalizzato alla felicità di quanti ci vivranno, lavoreranno, giocheranno e di quanti verranno a visitarla… L’industria deve rispondere ai bisogni che la gente esprimerà qui in questa comunità sperimentale”. Gli eredi non fecero nulla di tutto questo. Si limitarono a costruire una disneyland tecnologica. Ross sottolinea la retorica che aveva accompagnato EPCOT. Raffronta Celebration con la lunga lista di antenati illustri, sia tra i filantropici capitalisti vittoriani che nei non meno raffinati apologeti dell’utopia sociale; con in più un’aggravante: Celebration è costruita con intenti palesemente speculativi.

Sempre più perplesso Ross parte per Celebration. Tuttavia, mano a mano che si avvicina si accorge come il suo pregiudizio sia incrostato di luoghi comuni. Gli piace perfino la cartellonistica stradale che reclamizza la città: due ragazze in altalena contro un cielo azzurro. In grande la scritta: “Non è una ragione sufficiente per Celebration?”.
Incominciando a viverci i dubbi si stemperano. (Un po’ com’era già successo a un altro celebre antropologo – Marc Augè – invitato a descrivere la Disneyland parigina. Nonostante tutte le prevenzioni contro, si diverte. E molto anche).

Non c’è dubbio: al di là della campagna pubblicitaria, questa nuova città mette in risalto il progetto, il programma, la volontà pianificatrice che la caratterizza. Nota subito il forte controllo della pianificazione e della progettazione. Un’attenzione al piano e alla vita comunitaria, difficilmente riscontrabile negli insediamenti vicini, e tanto meno nei “parchi a tema”. (Impossibile da vedere dalle nostre parti. Non importa pensare a Milano 2, venduta pressapoco nello stesso modo. Pensiamo alla quantità di nuovi insediamenti ricco-balneari o urbano-popolari o similari diffusi in tutta Italia. Si pensi alle nuove leggi urbanistico-regionali o provinciali dov’è scomparso il piano regolatore, sostituito da una specie di piano del Sindaco; ossia da interventi avulsi da qualsiasi criterio pianificatorio).

Ross lo ammette esplicitamente; Celebration presenta aspetti positivi. Nonostante tutto. Nonostante sia stata costruita per togliere dal bilancio della Disney Company il passivo dato dagli ettari acquisiti negli anni Settanta. Nonostante i benefici ricavati con i finanziamenti statali per realizzare infrastrutture di cui hanno beneficiato altri insediamenti di proprietà della Disney. Nonostante le case – che costano il doppio che nel resto della Contea – siano costruite male, spesso con finiture dozzinali. Nonostante il controllo che la stessa Disney ha cercato di imporre alla comunità alla quale ha dato molto meno di quanto non avesse promesso all’inizio. A Celebration si vive bene. Ross, antropologo marxista, ha il coraggio di ammetterlo, puntualizzando gli aspetti negativi ma sottolineando anche quelli positivi con l’oggettività che si era imposto all’inizio della sua ricerca. La gente partecipando attivamente ha trasformato la scuola fino a farla diventare d’avanguardia. L’ospedale – pare anch’esso di prim’ordine – è considerato un centro di salute. Certo, il 99% degli abitanti è bianco. Un quinto è dipendente – ma assunto dopo essersi insediato – della stessa Disney. Ross a Celebration si trova a suo agio. I vicini di casa sono simpatici. Non è vero che siano tutti straricchi. Anzi. La maggioranza ha fatto fatica a comprare la casa e non riesce a completare l’arredamento.

È stato il movimento che negli Stati Uniti si è definito New Urbanism a sollecitare la riscoperta delle vecchie città americane. A valorizzare il loro impianto urbano quale alternativa ecologica e ambientale al crescere indiscriminato della periferia. (Tutto il mondo ormai si è omologato; pensiamo ai nostri centri storici minori, alle stupende città del passato o ai centri dell’Appennino, abbandonati dopo essere stati scempiati dai fautori della cosiddetta architettura moderna che ancora sostengono il diritto di tramandare la loro impronta. Si consideri che la popolazione delle città capoluogo di Regione – in Italia – è diminuita del 12%, mentre il costruito periferico quanto diffuso e/o disperso nell’ex campagna è aumentato del 30%). Per Celebration si è fissato un tetto massimo di 20.000 abitanti. Il catalogo delle case presenta una vasta gamma di tipi e di stili in rapporto all’ubicazione del lotto. L’amministrazione della città (unitamente ai cittadini) esercita un rigido controllo estetico esteso alla specie degli alberi, al colore e alle insegne. Il logo della Disney è stato tolto dalla torre piezometrica per volontà di questa nuova comunità, che si è formata anche in virtù di un disegno urbanistico ancorato alla tradizione. La struttura urbana è infatti tesa a favorire i contatti anche casuali tra i suoi abitanti. La presenza del portico è esaltata: i celebrationisti passano (o dovrebbero passare, se ne hanno voglia) le sere a chiacchierare con i vicini… Sicuramente potrebbe essere scambiata per un set cinematografico. (Tutti pensiamo a The Truman Show, e all’altra città modello – Seaside – sulla costa nord della Florida. Di gran lunga più confortevoli di altri set, ugualmente reali e diffusi, e non solo periferici, in cui chi abita, anche se ricco, è costretto a vivere nel degrado estetico e nello squallore ambientale). Senza dimenticare però che anche architetti di fama hanno qui lavorato: il Municipio, ad esempio, è stato disegnato da Aldo Rossi.

È il senso di appartenenza alla città ad affascinare Ross. La partecipazione alla vita pubblica – e i luoghi adatti per farlo non mancano – sarà anche sollecitata da interessi venali: il degrado potrebbe abbassare il valore della casa in proprietà. Però i cittadini partecipano alla vita della comunità di cui sono autori e attori. Ben poche comunità sono paragonabili a quella di Celebration, afferma alla fine Ross, per il suo forte e congenito impegno a far rinascere la vita pubblica. Sarà interessante studiare in futuro questa comunità. Non tanto per valutare se il valore degli immobili continua a crescere, quanto se i celebrationisti riusciranno ad estendere quel surplus di vita comunitaria – i diritti di cittadinanza – anche ai vicini meno fortunati, quelli che soffrono del maggior isolamento sociale.

La qualità urbana è sempre stata misurata dall’attenzione che pongono gli abitanti al futuro dello scenario fisico in cui abitano. Per difendere l’identità del luogo stesso. Per evitare che il degrado, come sostengono altri antropologi, impoverisca, produca ignoranza, scateni violenza. Come avviene negli altri insediamenti dei dintorni, costruiti sempre dalla Disney con intenti meramente speculativi. Questo ampio saggio di Ross su Celebration è molto istruttivo. Specie per noi che abbiamo svalutato l’utopia. Che abbiamo invocato la deregulation e che abbiamo rigettato il piano regolatore. Incapaci di costruire comunità, consideriamo la tradizione una pesante, antistorica, eredità. Istruttivo per tutti: architetti e amministratori. Un impianto urbano teso a far rinascere la partecipazione pubblica supera qualsiasi velleità architettonica e qualsiasi macchiavello anti-pianificatorio.

Pierluigi Cervellati, docente di Recupero e riqualificazione urbana allo IUAV di Venezia
Celebration promette l’utopia ma offre case e parchi in stile vittoriano
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