Il Cairo

All’indomani della caduta del presidente Mubarak, nel gennaio 2011, la fotografa Elena Perlino ha ritratto Il Cairo, raccontando una metropoli fatta di contrasti, tra bellezza e decadenza.

Elena Perlino, Cairo
Per Elena Perlino, classe ’72, emigrata da due anni a Parigi, è fondamentale che il protagonista dello scatto accetti la presenza della macchina fotografica. Una filosofia e un modo di lavorare che sposa in ogni suo reportage, ed è forse anche per questo che si fa notare. “Dovete stare così vicino ai vostri soggetti fotografici, da sentire l’odore delle loro ascelle”. Era il consiglio – che la fotografa ha fatto proprio – del fotogiornalista americano nato nella Repubblica Ceca membro fondatore dell’Agenzia VII Antonin Kratochvil, incontrato durante il workshop al TPW.

Selezionata per il Magnum Emergency Fund 2013, ha ricevuto, sempre nel 2013, il Prix Portfolio Ani, mentre nel 2006 ha vinto una borsa di studio dal Consiglio regionale Rhône-Alpes per un lavoro sulla prostituzione in Francia.

Nel 2003 è stata selezionata per partecipare al Reflexions Masterclass a Parigi, le sue immagini vengono esposte nel mondo: dal Lawndale Art Center a Houston, in Texas, ad Arles ai Rencontres Internationales de la Photographie, dal Festival Internazionale di Roma al PhotoEspaña di Madrid. Nel 2015 sarà a Gaspésie in Canada per esporre ai Rencontres Internationales de la Photographie.

Elena Perlino, Cairo
Elena Perlino, Il Cairo

Francesca Esposito: In uno dei suoi più recenti lavori, ha ritratto la città del Cairo, la sua gente e, per l’appunto, il suo odore. Come è nato il progetto?

Elena Perlino: Il lavoro è cominciato all’inizio del 2011 dopo diversi rinvii, proprio nel momento in cui è iniziato quello che avrebbe portato 18 giorni dopo, il 25 gennaio, a destabilizzare il Paese e, quindi, alla caduta del presidente Mubarak. In quel momento eravamo in due e stavamo facendo un lavoro sui Paesi del Mediterraneo

FE: Cos’hanno visto i suoi occhi al Cairo?

EP: Ci sono foto in cui si possono vedere sullo sfondo i palazzi del Ministero che sono stati attaccati e incendiati, mentre in primo piano ci sono ragazze che danzano su imbarcazioni che vengono affittate a gruppi di gente che fanno il giro sul Nilo sorseggiando the. Insomma, scene di vita quotidiana, più o meno di tipo normale.

FE: Cosa avvertiva nell’aria?

EP: C’era un’atmosfera di attesa, quasi sospesa e alla fine del mese, prima della manifestazione di piazza Tahrir, si vedevano poliziotti giovanissimi in tenuta antisommossa con le camionette, tanti posti di blocco e metal detector ovunque per entrare e uscire dagli hotel. Nel momento in cui è scoppiato tutto sono ripartita e sono ritornata a ottobre.

Elena Perlino, Cairo
Elena Perlino, Il Cairo

FE: Cosa è cambiato da un momento all’altro?

EP: Da un passaggio all’altro, si avvertiva più tensione, la gente era più diffidente nel farsi fotografare. Non sono una conflict photographer, per cui non ho fatto cose diverse da quelle che faccio di solito. Ho cercato di raccontare la metropoli nella sua quotidianità, dal centro storico islamico, a Bourse Neighborhood (progettata da architetti italiani e francesi del Cairo), dalla zona residenziale di Zamalek, al bazar di Khan el Khalili. Da Garden City a Heliopolis, da Downtown a Garbage City, fino alla surreale Città dei Morti.

FE: Cos’ha, il Cairo, rispetto ad altre città, quale il suo quid?

EP: C’è un senso di decadenza. Nel quartiere dove si trovano le ambasciate o i vari musei, zone che leggi sui libri, ti danno un senso della storia che è passata. C’è della sabbia nell'aria e sembra di essere in una città fantasma, la Città dei Morti è un posto incredibile perché è una città di gente viva nella zona destinata ai cimiteri. Nella Garbage City ogni angolo del quartiere è dedicato a una raccolta differenziata diversa. C’è plastica, materiale riciclabile, mentre l’odore del compost si trova ovunque. Ma ci sono anche tante contraddizioni: università bellissime, linee metropolitane perfettamente funzionanti, divise, volendo anche in base ai sessi. Ma poi c’è anche il traffico.

Elena Perlino, Cairo
Elena Perlino, Il Cairo

FE: L’architettura nella sua forma cerca di contenere un contenuto particolarmente caotico, ovvero l’essere umano. Cosa l’ha attratta dal punto di vista architettonico?

EP: Ci sono grandi contrasti. Dove si trovano i grandi hotel del turismo vedi una metropoli contemporanea ma, appena esci, nelle zone dei sobborghi, puoi avere delle case con la terra al posto del pavimento. Può anche capitarti di vedere le galline in un angolo. La bellezza della metropoli è anche questa, degli elementi ultramoderni affiancati ad altri che appartengono a un altro tempo. Appena usciti dalle zone residenziali ci sono quartieri dove c’è una fetta della popolazione che vive con un dollaro al giorno.

FE: Tante mostre per il mondo, quali sono i progetti più significativi?

EP: L’attività più recente e significativa è il progetto sulla tratta nigeriana in Italia, che è stato selezionato dalla Magnum Emergency Fund. Verrà pubblicato un libro fra due o tre mesi, anche grazie alla piattaforma di crowdfunding Kickstarter e alla Open Society Foundation.

Elena Perlino, Cairo
Elena Perlino, Il Cairo

FE: Ha studiato Lettere Moderne a Torino, con l’indirizzo in storia e critica del cinema. Quanto il cinema ha influito sul suo lavoro?

EP: Sicuramente ha influito, così quanto il lavoro di alcuni fotografi che ho seguito nel corso degli anni. Michael Akerman, Jim Goldberg, Dolores Marat, Alec Soth, Antoine D’Agata.

FE: A proposito degli scatti di Antoine D’Agata: sono stati esposti nel 2013 allo Spazio Forma di Milano che, lo scorso ottobre, ha annunciato un cambio di sede e di programma per mancanza di fondi. Il suo spostamento in Francia si aggiunge la lista dei cervelli – e occhi – in fuga?

EP: Ho sentito il destino dello Spazio Forma, mi sembra incredibile e, sì, è anche per questo che sono andata via. In realtà, ho pensato di farlo perché, una volta compiuti i 40 anni, mi sono detta “O adesso o mai più”. Avevo studiato a Parigi per un Master e questo mi ha fatto conoscere la città e un’amica davvero cara. A giorni, devono decidere se prendermi un’agenzia con cui sono in contatto e, a livello lavorativo, devo dire che è stata una buona mossa.

Elena Perlino, Cairo
Elena Perlino, Il Cairo

FE: Meglio l’Italia o la Francia?

EP: Sicuramente in Italia la situazione non è rosea e c’è da dire che in Francia a livello fotografico fra agenzie e spazi espositivi ti togli delle soddisfazioni, ma c’è comunque tanta concorrenza e competizione. Non basta arrivare e pensare che aspettino solo te. È un po’ come voler fare la modella a New York. Per di più Parigi è stata fotografata in tutti i modi, Nel nostro quartiere, a Château Rouge è appena sorto il Centro di Culture Islamiche con sovvenzioni e produzioni per lavori sul quartiere molto interessanti.

FE: Ci sono spesso donne nei suoi scatti, com’è essere donna dietro la macchina fotografica?

EP: A livello fotografico mi muovo bene, ma non voglio fotografare solo donne. L’importate è che si crei una minima empatia, voglio essere vista, voglio che il soggetto sia consapevole della mia presenza, che lo accetti o meno. Come suggeriva il mio insegnate Antonin Kratochvil, bisogna sentire l’odore delle ascelle.

FE: Un bravo fotografo riesce anche a fartelo sentire?

EP: Di sicuro deve esserci fiducia reciproca, che si trova anche senza tante parole, avvicinandosi e capendo le intenzioni. Poi è necessario passare tanto tempo su un tema che comunque t’interessi. Se non ti prende nelle viscere, non riesci a rendere l’intimità. Quello che m’interessa documentare con la fotografia è spesso lo scarto tra il previsto e il non previsto, un contrasto che genera spesso un risultato visivo ed emotivo forte.

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