R.Murray Schafer da "Il Paesaggio sonoro"
Quando Francesco mi ha chiesto di oscillare insieme agli altri amici, appesa ad una maniglia nel vuoto, per la realizzazione del suo nuovo lavoro per la mostra al Bocs, credevo che quell'attimo di condivisione sarebbe stato un gioco, un momento di partecipazione da concludersi nell'essere lì e basta, un'azione sul tema dell'amicizia, da consumarsi leggera nella durata dell'happening. Eravamo lì, e uno alla volta ci cimentavamo nell'impresa, divertiti e incuriositi, leggermente spaesati; lentamente l'azione, fissata dalla ripresa attenta della camera, diventava cadenza temporale eterna ed immutabile, inconsumata estenuazione dell'attimo perpetrato ossessivamente mediante sequenza incorruttibile dei corpi in movimento.
Restiamo appesi allo scorrere del tempo, al divenire delle situazioni, delle possibilità, delle aspettative. Quanta rilevanza c'è tra ciò che siamo, dal punto di partenza a quello ipotetico di arrivo, che non ci è dato sapere in anticipo per misurare le forze del nostro impegno a vivere? L'accidentalità della caduta possibile, si avviluppa nelle variabili di caratteristiche individuali sempre diverse, il rapporto di fragile equilibrio tra peso, altezza, coraggio, stabilità emotiva, paura del vuoto, forza fisica, ci rende capaci. Ma essere appesi nel vuoto non è così piacevole, si assume improvvisamente la consapevolezza del proprio peso ed il limite delle proprie forze, facendo i conti con la gravità, senza sconti.
Lo spazio, espositivo del Bocs, non nasce come galleria, ma come garage. Il Bocs è una scatola contenitore e prima ancora che garage era un laboratorio per la panificazione, lo testimonia la targa consumata dal tempo e quasi cancellata posta sopra l'apertura d'ingresso; ora è spazio chiuso, nella propria identità autonoma di astrazione temporale d'uso e dunque autoreferenziale come gli eventi artistici che ospita; Francesco lo ha definito "claustrofobico, implosivo"; "L'idea" – mi ha detto quando sono andata a trovarlo nel suo studio abitazione – "è quella di lavorare sul suono dello spazio ostile, garage come bunker, inospitale e incapace di creare un contesto da condividere. Scatolone, greve come architettura scavata nel cemento…".
L' installazione video degli oscillanti le si oppone compressa nel monitor 10x15, come cartolina mnemonica della funzione oscillatoria perduta.
Infine, il foglio di sala della mostra dove, oltre al testo di Gianluca Lombardo, c'è la foto di un uomo sovrastato dalle campane e da esse ricoperto dal busto fin sopra la testa, impedito nell'atto di vedere, sentire ed essere visto e sentito. Le campanelle fotografate, sono quelle di ottone utilizzate per l'installazione prima dell'intervento, scintillanti, dorate, integre del loro batacchio sonanti come vive per i vivi.
Tante,come le immagini moltiplicate in mano ai visitatori che le porteranno fuori, per farle suonare ancora. Stefania Perna
15 ottobre–12 novembre 2011
Ass. culturale Becocs
Via Grimaldi 150, Catania