Tony Fretton: Minis

In occasione della recente mostra “Minis” alla galleria londinese Betts Project, abbiamo incontrato la curatrice Marie Coulon e Tony Fretton per parlare dei suoi disegni tracciati a mano su iPad, al limite tra le possibilità della tecnologia più avanzata e il disegno primitivo.

“Minis” ha messo in mostra gli schizzi digitali che Tony Fretton disegna sul proprio iPad, fondamentalmente per se stesso, come delle note personali utili a testare le possibilità di un progetto in via di elaborazione. La mostra è la quarta della galleria londinese Betts Project, specializzata in disegni prodotti da architetti.
Vista della mostra “Tony Fretton Minis” alla galleria Betts Project di Londra
Gli architetti disegnano. E, a differenza degli artisti, gli architetti disegnano con intenzione. Ovvero con un fine che travalica quello del disegno in sé per farsi progetto. Così, i disegni di Pier Vittorio Aureli esposti nel 2014, sono una ricerca astratta di principi formali che inevitabilmente abbiamo visto o vedremo nei progetti del suo studio DOGMA. E quelli di Peter Märkli, esposti nel 2013, lungi dall’essere la rappresentazione di un preciso edificio, sono vivai di forme e di elementi per le sue architetture. Nel caso di Fretton, ciascuno schizzo è diligentemente associato a un progetto, con un’etichetta – Deinze, Entrez lentement, Fuglsang Kinstmuseum, Fulham, Neuhausen, Westkaai Towers, Roupel, Tomb Kempe, Olympic Park, Nyborg – ma, anche in questo caso, la relazione non è di puro biunivoco determinismo tra disegno e costruzione. Essi hanno, infatti, un’intenzionalità zoppicante, che registra l’incertezza e i limiti dell’architettura stessa. Una volta riconosciuta la loro proiezione nel dominio del reale – il dominio degli edifici realmente costruiti e della loro incerta occupazione e percezione – ma anche in maniera indipendente da tale proiezione, gli schizzi digitali di Fretton acquisiscono un valore proprio che li rende materiali da esposizione. La loro riproduzione su carta è l’atto che media questo passaggio.
Vista della mostra “Tony Fretton Minis” alla galleria Betts Project di Londra. Photo Amelie Pignarre
La curatrice Marie Coulon guarda ai disegni degli architetti dal punto di vista di una studiosa dell’arte contemporanea. Gli schizzi digitali di Fretton sono interessanti, spiega, perché al limite tra le possibilità della tecnologia più avanzata e il disegno primitivo. Molti di essi sono stati disegnati senza la mediazione di una matita, tracciando direttamente con un dito sullo schermo dell’Ipad. Sono disegni di piccola dimensione e scarsa risoluzione, la cui portata sta nella prolifica produzione più che nella bellezza e precisione del singolo disegno, e nel loro paradossale essere al contempo estremamente personali, intimi, e potenzialmente destinati alla condivisione. Betts Project incornicia i piccoli disegni in passe-partout quadrati e li organizza ed espone in modo seriale, giocando con la distanza tra l’osservatore e le piccole opere. Per poterli davvero apprezzare bisogna avvicinarsi, intrattenere una relazione personale con i mini-disegni. Ma è solo la loro convivenza numerosa sulla parete che aiuta a ricostruirne il senso.
Vista della mostra “Tony Fretton Minis” alla galleria Betts Project di Londra

Sabrina Puddu: Come vi siete conosciuti e come vi è venuta l’idea di allestire una mostra dei disegni digitali di Tony?

Tony Fretton: Ho conosciuto il Betts Project di Marie quando ha allestito delle belle mostre di disegni di Peter Märkli e poi di Pier Vittorio Aureli, in un loft fantastico. Non avevo mai esposto i miei disegni e iniziammo a parlare di una mostra. Marie venne nel mio studio e demmo un’occhiata ai disegni del mio portfolio, che non erano poi molti e perciò non si potevano mettere in vendita; e questo per Marie era un problema. Poi non mi sono fatto più vivo per…

Marie Coulon: … Un anno buono.

Tony Fretton: Ho messo insieme i disegni digitali che avevo fatto dal 2000, prima su un organizer Palm, poi su un cellulare e infine su un iPad. Ho sempre disegnato su un taccuino per far vedere ai miei colleghi come si poteva realizzare un certo particolare. Questi disegni erano talmente enigmatici, una volta passata l’occasione del discorso, che non li si poteva esporre. I disegni digitali erano un’altra cosa: un modo di riflettere tra me e me sul progetto. Quando li riunii in un solo file sul mio computer sembravano un unico foglio continuo, e pensai: “Niente male!”. E poi ci siamo visti nella nuova galleria di Marie, un negozietto al numero 100 di Central Street che lei stava ristrutturando.

Marie Coulon: E tu hai fatto un gran buco nel muro, quasi un cratere, con un martello.

Tony Fretton: Beh, mi avevi chiesto di che cosa erano fatte le pareti della galleria e così ho fatto una prova… Dopo di che, ci trasferimmo nel pub di fronte, dove c’era uno scotch sorprendentemente buono.

Marie Coulon: Al pub mi ha fatto vedere i disegni sul suo cellulare. Ho pensato che l’idea fosse straordinaria: disegni fatti con le dita sull’iPad. Non ne avevo mai visti, in una mostra d’architettura, e pensai che sarebbe stato rivoluzionario.

Vista della mostra “Tony Fretton Minis” alla galleria Betts Project di Londra

Sabrina Puddu: Era anche la prima volta che allestivi una mostra di disegni digitali. Come hai risolto il problema della riproduzione?

Marie Coulon: Si fa solo una certa quantità di stampe numerate, come per la fotografia e per la pittura digitale, come fanno David Hockney e parecchi altri. Ma, a differenza di queste opere d’arte, i disegni di Tony non erano pensati per essere stampati e nemmeno per essere esposti.

Tony Fretton: Quando Marie ha provato a stamparli ha scoperto che la definizione era molto bassa e che non si poteva aumentarla. Perciò ha avuto la brillante idea di stamparli in dimensioni piccolissime e di chiamarli “Minis”.

Sabrina Puddu: Ti piace il titolo, Tony?

Tony Fretton: All’inizio non ne ero sicuro, ma ora sì. In qualche modo chiarisce che non si tratta di una mostra di disegni d’arte, ma di architettura, la quale non è decisamente arte.

Vista della mostra “Tony Fretton Minis” alla galleria Betts Project di Londra

Sabrina Puddu: Mi chiedo, Marie, se nel Betts Project ci sia un filo conduttore coerente. Voglio dire: come fai a scegliere gli architetti?

Marie Coulon: Facile: la vita è troppo corta per lavorare con la gente complicata. E io ho scelto in base alla qualità delle opere. La prossima sarà una mostra di bei disegni degli anni Settanta e Ottanta di Lars Lerup, già preside della Rice University, in Texas, e aprirà giovedì 16 giugno. Voglio esporre una gamma molto variegata di persone e di lavori. Credo che sia bene mescolare architetti di primo piano, come te, con persone che non hanno mai esposto le loro opere, oppure lo hanno fatto parecchio tempo fa.

Tony Fretton: Quello che ammiro dell’atteggiamento di Marie è la sua indipendenza economica e intellettuale. A parte il Camden Arts Centre e poche altre realtà, per la maggior parte le istituzioni pubbliche dell’arte di Londra dono state trasformate dall’ideologia dei loro finanziatori in luoghi d’intrattenimento dove è sempre meno possibile vedere mostre che abbiano delle idee.

Vista della mostra “Tony Fretton Minis” alla galleria Betts Project di Londra

Sabrina Puddu: Tu, Tony, parli spesso dell’architettura come di una professione collettiva –  hai scritto che “progettare, costruire, dare senso agli edifici sono azioni collettive” – e ti riferisci più volte agli edifici come a entità formali realizzate dagli architetti per la sfera pubblica, aperti all’interpretazione, all’uso e all’abuso da parte di chiunque. Nel testo scritto per la mostra (www.muf.co.uk) Katherine Clarke colloca i tuoi schizzi digitali non all’inizio del percorso progettuale ma più avanti, come un modo di aprire una forma che hai disegnato all’incertezza della futura occupazione e percezione da parte degli altri. Afferma che i tuoi schizzi ammettono che “l’architettura è solo il punto di partenza”, perché la compiuta realizzazione di un edificio richiede sempre il contributo di “altri”.

Tony Fretton: È molto acuta. Un progettista deve riconoscere che i suoi edifici – e i suoi disegni – per gli altri avranno un significato differente. Mi affascina il modo in cui gli oggetti fisici sono assolutamente aperti all’interpretazione. Uno che abita vicino alla Red House ha detto che gli sembrava il mausoleo di Lenin. Nella sua arrabbiatura aveva ragione, me ne sono reso conto l’anno scorso a Mosca. Assomiglia proprio al mausoleo di Lenin, che per altro è piuttosto bello… Tu sai che la Libera Università di Berlino, che è fatta di acciaio Corten, viene soprannominata “la baracca arrugginita” e che la sede della Philarmonie è stata battezzata “l’ostrica incinta”. I tuoi edifici smettono di essere tuoi e diventano di qualcun altro. Lo accetto e ci lavoro sopra. E i disegni diventeranno anche loro di qualcun altro.

Marie Coulon: Credo che sia questo ciò che i visitatori cercavano nella mostra. Questo disegno delle Westkaai Towers, per esempio, è fatto davvero bene. Appare così fragile e così poetico. Si avverte questa atmosfera. Non è solo un disegno di lavoro, c’è qualcosa di più. All’inaugurazione vedevo che alcuni li consideravano disegni tecnici, più o meno pilastri e mattoni, mentre altri vedevano solo il disegno e quel che ci potevano aggiungere del loro. E poi nei tuoi schizzi c’è parecchio umorismo. Il disegno a linee arancione con la freccia che dice “Si sale da questa parte” e punta di lato… è piaciuto a parecchi. C’è il senso dell’umorismo perché sono fatti per te solo, sono molto personali.

Tony Fretton: Be’, quando si lavora così l’umorismo viene spontaneo. Come per il titolo Porco olimpico di uno dei disegni. Stavamo lavorando a un progetto per il Parco olimpico ed era assolutamente ovvio che non avremmo vinto. In America usano l’espressione “porcate di politica locale”, ed era a questo che pensavo quando ho scritto il titolo.

Tony Fretton e la curatrice Marie Coulon

Sabrina Puddu: A quanto pare i tuoi schizzi sono una specie di spazio di libertà dove dici tutto quel che pensi. Un po’ come il tuo account di Twitter!

Tony Fretton: Ah, certo. Soffro d’insonnia e di notte leggo un sacco di giornali. Ritwitto gli articoli che mi fanno arrabbiare, o le foto delle cose che vedo. Twitter è come gli schizzi. È bello far vedere che si è politicamente impegnati, specie di questi tempi.

Sabrina Puddu: Tu fai un’architettura politicamente impegnata?

Tony Fretton: Credo di fare un’architettura socialmente impegnata. Alla galleria Lisson il rapporto tra la gente del mondo dell’arte che sta dentro e gli abitanti del posto che stanno fuori presenta una certa polarizzazione… La Festival Hall di Southbank, fatta per il Festival of Britain del 1951, è socialmente impegnata. La parte inferiore dell’auditorium fa vedere chiaramente che di sopra si esegue Beethoven, mentre il piano di sotto è stato pensato per il ballo e per la musica pop. Delle foto del festival of Britain mostrano gente che balla fuori della sala con addosso l’impermeabile. La combinazione di cultura popolare e cultura alta mi attrae particolarmente. Forse è un punto vista socialdemocratico fuori moda, ma credo che abbia ancora valore. Per me l’architettura deve sforzarsi di rivolgersi direttamente alle persone a un polo del suo spettro, e all’altro essere un contributo alla cultura della forma.

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