È interessante analizzare in Italia il confronto tra l'architetto francese e Napoli, la città in cui riescono a convivere, in un equilibrio instabile, molteplici stratificazioni storiche, paesaggistiche e culturali. Inserendosi negli strati urbani Perrault ha concepito una grande copertura vetrata per proteggere la piazza ipogea e la stazione della metropolitana preesistente, instillando nuova vita a uno dei principali spazi pubblici della città.
Margherita Guccione: Lei ha progettato e realizzato in molti paesi tra cui anche l'Italia. Cosa significa lavorare nel nostro Paese?
Dominique Perrault: È una questione di ritmo! Lavorare in Italia significa lavorare moltissimo, molto prima che il progetto trovi i finanziamenti, e lavorare ancor di più quando i fondi sono stati ottenuti!

La storia è un metodo per esplorare uno specifico settore. La storia dell'architettura è un modo per trattare e comprendere l'architettura. L'Italia, come la Francia, ha una storia lunga e ricca, scandita da rivoluzioni culturali. La linearità della storia è rivelata dalla successione degli stili architettonici: Antico, Classico, Romanico, Medievale, Gotico, Rinascimentale, Barocco, Moderno, Contemporaneo, Postmoderno… Questa classificazione consente di parlare dell'architettura e leggerla attraverso la sua realtà fisica: forme, materiali e principi costruttivi legati allo stato dell'arte. La storia è una costruzione intellettuale che funziona come un racconto autosufficiente. La storia ha la propria realtà che io non ritengo sia però sufficientemente dinamica per comprendere la realtà fisica dei territori. Per certi versi, mi riferisco alla storia come a un mezzo per comprendere il valore di un luogo; per me non è mai un fine. Quest'anno abbiamo vinto il concorso per la ristrutturazione del padiglione Dufour nella Reggia di Versailles. Due anni fa, quello per il rinnovamento del Museo Archeologico Dobrée a Nantes. Entrambi i luoghi hanno un alto valore storico. Nel mio lavoro ho chiaramente tenuto conto di questa realtà storica ma ho impiegato la situazione esistente come materiale per creare nuove situazioni. Direi che il mio atteggiamento verso la storia non è eretico, prendo semplicemente le distanze dai discorsi troppo storicisti e conservativi.

Non contrappongo la geografia alla storia. È piuttosto una questione di metodo, di priorità. Non nego la realtà storica dell'architettura per promuovere quella geografica. Come architetto, nonostante la formazione architettonica di tipo classico che ho ricevuto, il mio lavoro mira a costruire l'architettura sulla geografia. Considero la geografia, ovvero le caratteristiche e le specificità dei territori, con la loro topografia, l'altimetria e i loro elementi circostanti che rivelano l'interiorità dei territori come i veri materiali dell'architettura. Uso il contesto come un materiale, proprio come il cemento, il vetro o il metallo. Benché sia possibile analizzare un luogo dal punto di vista storico, percependo le mediazioni dialettiche della sua storia, integrando gli edifici che si costruiranno all'interno di un processo lineare, onestamente credo che le prospettive geografiche siano più forti di quelle storiche. Per l'architettura, la verità e l'evidenza del territorio sono più importanti della storia. L'approccio storico è distante dalla realtà del contesto, è un approccio intellettuale il cui metodo non offre chiavi per comprendere l'attuale complessità dei territori. Comprenderei e analizzerei i territori attraverso le relazioni fisiche degli elementi dell'architettura.
Direi che il mio atteggiamento verso la storia non è eretico, prendo semplicemente le distanze dai discorsi troppo storicisti e conservativi

L'architettura è qualcosa di autoritario. Gli architetti costruiscono, trasformano i territori, cambiano l'ambiente da un tipo all'altro. Hanno il potere di liberarsi del passato per disegnare il futuro. Quando nasce l'architettura, appaiono nuovi volumi che modificano la realtà preesistente del paesaggio, cancellando o creando viste, ombre, modificando la percezione dell'ambiente circostante. Riguarda l'intera organizzazione umana circostante. Ritengo che un tale potere comporti grandi responsabilità. Per quanto i riguarda, provo a minimizzare l'aspetto autoritario della costruzione per consentire situazioni ulteriori. Talvolta, quando il contesto lo richiede, faccio scomparire l'architettura. Non mi piacciono i muri. Come architetto contemporaneo, credo sia necessario ricreare lo spazio interstiziale: tra pubblico e privato, tra interno ed esterno, tra cultura e natura. Provo a sfumare i confini di architettura e paesaggio. Per materializzare questa unificazione, faccio un uso specifico dei materiali per conferire all'architettura la fisicità o l'assenza necessarie: vuoto, vegetazione, rete metallica, vetro…
Considerando la situazione attuale (crisi ambientale ed economica, temi demografici…) sono molto sensibile al lavoro di BIG. Il loro studio porta vitalità e freschezza all'architettura, mettendo in discussione forme e usi. Con la loro tecnologia, stanno reinventando i limiti del costruire e gli spazi interstiziali. Portano l'architettura dove dovrebbe andare: oltre la stessa architettura.
Dominique Perrault. Underground
MAXXI — Museo nazionale delle arti del XXI secolo
Auditorium
Margherita Guccione, architetto, è direttore del Museo di architettura moderna e contemporanea del MAXXI (MAXXI Architettura). Ha diretto il Servizio architettura contemporanea della DARC (2002-2009) ed è stata Soprintendente per i beni architettonici ed il paesaggio e il patrimonio storico-artistico e demoetnoantroplogico di Caserta e Benevento (2000-2001).