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Cinque libri fotografici che raccontano la famiglia
Qualunque sia la sua declinazione, la famiglia è da sempre uno dei soggetti preferiti della fotografia. Abbiamo scelto cinque libri appena usciti che ne raccontano altrettante versioni.
Deanna Dikeman, Leaving and Waving, Chose Commune, 2021 (Ph. Andreas B.Krueger)
È probabilmente il gesto più universale del mondo, ma anche quello in cui ognuno trova la propria declinazione degli affetti e dei sentimenti più spiccatamente personali. Il saluto, quel modo così umanamente infantile di dirsi ciao, arrivederci o addio, è anche uno dei codici più sottovalutati tra quelli che definiscono le attività umane, forse proprio per il suo status di apparente semplicità e sostanziale istintività. Per 23 anni la fotografa americana Deanna Dikeman ha scattato una foto dei genitori ogni volta che lasciava la loro casa di Sioux City dopo una visita. Ognuna di queste foto mostra invariabilmente un segno di saluto, qualunque sia l’ora del giorno, la condizione del meteo o il periodo dell’anno. Quella che nel 1991 era iniziata quasi casualmente come parte del più ampio Relative Moments, diventa pian piano un rituale, attraverso il cui resoconto iconografico passa però, silenziosamente e con leggerezza, tutto il senso della relazione tra l’artista e i suoi genitori. Al bianco e nero segue il colore, nel tempo si aggiungono personaggi ed altri scompaiono, poi resta una mamma sola che continua imperterrita a salutare dalla porta della casa di riposo, e alla fine non c’è che un vialetto vuoto, il luogo amato di un’assenza ormai incolmabile.
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Deanna Dikeman, Leaving and Waving, Chose Commune, 2021 (Ph. Andreas B.Krueger)
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Deanna Dikeman, Leaving and Waving, Chose Commune, 2021 (Ph. Andreas B.Krueger)
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Deanna Dikeman, Leaving and Waving, Chose Commune, 2021 (Ph. Andreas B.Krueger)
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Deanna Dikeman, Leaving and Waving, Chose Commune, 2021 (Ph. Andreas B.Krueger)
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Deanna Dikeman, Leaving and Waving, Chose Commune, 2021 (Ph. Andreas B.Krueger)
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Gus Powell, Family Car Trouble, TBW, 2019
Si può fare narrativa a tutti gli effetti senza scrivere o pronunciare una parola? L’ultimo libro di Gus Powell dimostra che è un’operazione non solo possibile ma anche potente, poetica e preziosa. Impaginato come un vero e proprio romanzo, Family Car Trouble ha almeno due protagonisti: da un lato il papà dell’artista, malato e sempre più vicino al momento dell’addio; dall’altro la Volvo station wagon che da anni accompagna Powell e la sua famiglia e che ha un continuo bisogno di manutenzione. In mezzo ci sono un uomo, una donna e le loro due figlie che, anche se vero fulcro del racconto, si mantengono in un limbo sia espressivo che concettuale che gli permette di essere specchio degli eventi, e di interagire di volta in volta con gli altri due personaggi. Fino a quando sarà possibile o avrà senso accanirsi nel voler riparare quell’auto? Fin dove resistenza e resilienza saranno le parole non scritte di questa narrativa così evocativa? Nella metafora che sussiste tra riparazione meccanica e cure mediche e nel rapporto tra vite che crescono e vite che se ne vanno, si gioca uno dei libri più belli degli ultimi anni dove, senza effetti speciali ma coi soli strumenti base di selezione e sequenza—allo stesso tempo sorprendenti e perfette—si dice incidentalmente cosa l’editoria fotografica può e deve essere in grado di fare oggi.
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Gus Powell, Family Car Trouble, TBW, 2019
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Gus Powell, Family Car Trouble, TBW, 2019
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Gus Powell, Family Car Trouble, TBW, 2019
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Gus Powell, Family Car Trouble, TBW, 2019
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Charlie Engman, MOM, Edition Patrick Frey, 2020
Fin dalla copertina di MOM sappiamo di essere di fronte a una personalità sfaccettata, a un’entità multipla e mutevole la cui immagine, volutamente frammentaria, sfugge alle definizioni e alle etichette. Quello che stiamo per sfogliare non è però solo il resoconto di un modo di essere e di vivere, ma è anche e anzi un lavoro di costruzione e collaborazione, l’intenso dialogo di una madre con un figlio, artista e queer, che domanda, pretende e ottiene qualcosa che molto difficilmente si può ottenere: un accesso non solo privilegiato ma anche completo. Frutto di una fiducia reciproca costruita negli anni attraverso una biografia familiare libera da preconcetti, la proiteiforme serie di fotografie che compone MOM nasce nel 2009 e vede ora una prima forma editoriale. Le modalità iconografiche esplorate sono molteplici, e richiamano fashion e performance, allestimento e ritratto, pittura olandese e manga giapponese, videoarte e cosplaying, Antonioni e von Trier, Bowie e Björk, Viviane Sassen e Cindy Sherman, Juergen Teller e Andy Warhol. Ma quel che in modo più sottile e determinante viene fuori via via che ci si addentra in questo denso racconto, assieme ossessivo e terapeutico, è un continuo lavoro personale che permette sia a Charlie Engman che a Katleen McCain Engman di diventare altro da sé e paradossalmente sempre più sé stessi, per arrivare a qualcosa che vive ben al di fuori e oltre la forma del libro e del progetto fotografico.
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Charlie Engman, MOM, Edition Patrick Frey, 2020
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Charlie Engman, MOM, Edition Patrick Frey, 2020
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Raymond Meeks, Somersault, MACK, 2021
Da tempo Raymond Meeks ci ha abituati alla possibilità, decisamente anche se non esclusivamente fotografica, di passare tra un regno e l’altro, di attraversare la soglia che esiste, benché invisibile, tra il mondo sensibile e quello, interiore e misterioso, della percezione che di quello stesso mondo abbiamo. Con Somersault il passaggio è forse meno audace, per lo meno da un punto di vista strettamente concettuale, ma si fa in compenso più arduo e sostanziale, non solo e non tanto perché rappresenta uno dei tanti momenti di cui si compone il reiterato tentativo di entrare nel mondo di una figlia, ma anche e soprattutto perché è la stessa Abigail Meeks a trovarsi di fronte a una soglia, quella tra una delle molte possibili versioni di adolescenza e una tra le molte possibili declinazioni dell’età adulta. A un passo dal college, poco prima di lasciare casa, quella che era stata una delle tante possibili forme di una figlia regala al padre la possibilità di essere raccontata in questo delicato momento di passaggio: è una conversazione, in cui ai ritratti si alternano i paesaggi familiari, dove dettagli della natura romanticamente indifferente s’intrecciano a quelli di un corpo—e di una personalità—in continuo mutamento.
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Raymond Meeks, Somersault, MACK, 2021
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Raymond Meeks, Somersault, MACK, 2021
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Raymond Meeks, Somersault, MACK, 2021
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Raymond Meeks, Somersault, MACK, 2021
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Tealia Ellis Ritter, The Model Family, Loose Joint, 2022 (courtesy Loose Joint)
The Model Family è la prima monografia di Tealia Ellis Ritter, ma l’intrigante serie di immagini che la compongono ha avuto inizio nel 1989, quando l’artista americana era meno che adolescente e il padre le regalò una macchina fotografica analogica. La prima cosa che colpisce allo sfoglio del libro è il contrasto tra il suo contenuto e l’aggettivo che, benché in modo tipograficamente minimale, qualifica la famiglia di cui stiamo guardando la rappresentazione. Ma lo smarrimento è solo momentaneo: che l’autrice usi la formula “famiglia modello” non vuol certo dire che la sua—quella famiglia ritratta per tanti anni, con tanta attenzione e tanto affetto ma anche senza sconti—coincida con quella che tutti vorremmo o dovremmo avere, ma solo che è, appunto, un modello, un termine che indica “qualsiasi oggetto reale che l’artista si propone di ritrarre”. La questione si sposta quindi su un altro piano semantico: non tanto cosa, ma come. Maternità, infanzia, morte, adolescenza, vecchiaia, conformismo, anticonformismo, banalità, bellezza, malattia, quotidianità, ogni cosa, per quanto comune o speciale, è filtrata da uno sguardo che è assieme amorevole e spietato, e che riesce nel difficile intento di vedere la vita come qualcosa di perturbante, che accade a noi stessi e contemporaneamente a qualcun altro. (The Model Family di Tealia Ellis Ritter è pubblicato da Loose Joints).
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Tealia Ellis Ritter, The Model Family, Loose Joint, 2022 (courtesy Loose Joint)
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Deanna Dikeman, Leaving and Waving, Chose Commune, 2021 (Ph. Andreas B.Krueger)
È probabilmente il gesto più universale del mondo, ma anche quello in cui ognuno trova la propria declinazione degli affetti e dei sentimenti più spiccatamente personali. Il saluto, quel modo così umanamente infantile di dirsi ciao, arrivederci o addio, è anche uno dei codici più sottovalutati tra quelli che definiscono le attività umane, forse proprio per il suo status di apparente semplicità e sostanziale istintività. Per 23 anni la fotografa americana Deanna Dikeman ha scattato una foto dei genitori ogni volta che lasciava la loro casa di Sioux City dopo una visita. Ognuna di queste foto mostra invariabilmente un segno di saluto, qualunque sia l’ora del giorno, la condizione del meteo o il periodo dell’anno. Quella che nel 1991 era iniziata quasi casualmente come parte del più ampio Relative Moments, diventa pian piano un rituale, attraverso il cui resoconto iconografico passa però, silenziosamente e con leggerezza, tutto il senso della relazione tra l’artista e i suoi genitori. Al bianco e nero segue il colore, nel tempo si aggiungono personaggi ed altri scompaiono, poi resta una mamma sola che continua imperterrita a salutare dalla porta della casa di riposo, e alla fine non c’è che un vialetto vuoto, il luogo amato di un’assenza ormai incolmabile.
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Deanna Dikeman, Leaving and Waving, Chose Commune, 2021 (Ph. Andreas B.Krueger)
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Deanna Dikeman, Leaving and Waving, Chose Commune, 2021 (Ph. Andreas B.Krueger)
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Deanna Dikeman, Leaving and Waving, Chose Commune, 2021 (Ph. Andreas B.Krueger)
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Deanna Dikeman, Leaving and Waving, Chose Commune, 2021 (Ph. Andreas B.Krueger)
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Deanna Dikeman, Leaving and Waving, Chose Commune, 2021 (Ph. Andreas B.Krueger)
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Gus Powell, Family Car Trouble, TBW, 2019
Si può fare narrativa a tutti gli effetti senza scrivere o pronunciare una parola? L’ultimo libro di Gus Powell dimostra che è un’operazione non solo possibile ma anche potente, poetica e preziosa. Impaginato come un vero e proprio romanzo, Family Car Trouble ha almeno due protagonisti: da un lato il papà dell’artista, malato e sempre più vicino al momento dell’addio; dall’altro la Volvo station wagon che da anni accompagna Powell e la sua famiglia e che ha un continuo bisogno di manutenzione. In mezzo ci sono un uomo, una donna e le loro due figlie che, anche se vero fulcro del racconto, si mantengono in un limbo sia espressivo che concettuale che gli permette di essere specchio degli eventi, e di interagire di volta in volta con gli altri due personaggi. Fino a quando sarà possibile o avrà senso accanirsi nel voler riparare quell’auto? Fin dove resistenza e resilienza saranno le parole non scritte di questa narrativa così evocativa? Nella metafora che sussiste tra riparazione meccanica e cure mediche e nel rapporto tra vite che crescono e vite che se ne vanno, si gioca uno dei libri più belli degli ultimi anni dove, senza effetti speciali ma coi soli strumenti base di selezione e sequenza—allo stesso tempo sorprendenti e perfette—si dice incidentalmente cosa l’editoria fotografica può e deve essere in grado di fare oggi.
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Charlie Engman, MOM, Edition Patrick Frey, 2020
Fin dalla copertina di MOM sappiamo di essere di fronte a una personalità sfaccettata, a un’entità multipla e mutevole la cui immagine, volutamente frammentaria, sfugge alle definizioni e alle etichette. Quello che stiamo per sfogliare non è però solo il resoconto di un modo di essere e di vivere, ma è anche e anzi un lavoro di costruzione e collaborazione, l’intenso dialogo di una madre con un figlio, artista e queer, che domanda, pretende e ottiene qualcosa che molto difficilmente si può ottenere: un accesso non solo privilegiato ma anche completo. Frutto di una fiducia reciproca costruita negli anni attraverso una biografia familiare libera da preconcetti, la proiteiforme serie di fotografie che compone MOM nasce nel 2009 e vede ora una prima forma editoriale. Le modalità iconografiche esplorate sono molteplici, e richiamano fashion e performance, allestimento e ritratto, pittura olandese e manga giapponese, videoarte e cosplaying, Antonioni e von Trier, Bowie e Björk, Viviane Sassen e Cindy Sherman, Juergen Teller e Andy Warhol. Ma quel che in modo più sottile e determinante viene fuori via via che ci si addentra in questo denso racconto, assieme ossessivo e terapeutico, è un continuo lavoro personale che permette sia a Charlie Engman che a Katleen McCain Engman di diventare altro da sé e paradossalmente sempre più sé stessi, per arrivare a qualcosa che vive ben al di fuori e oltre la forma del libro e del progetto fotografico.
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Raymond Meeks, Somersault, MACK, 2021
Da tempo Raymond Meeks ci ha abituati alla possibilità, decisamente anche se non esclusivamente fotografica, di passare tra un regno e l’altro, di attraversare la soglia che esiste, benché invisibile, tra il mondo sensibile e quello, interiore e misterioso, della percezione che di quello stesso mondo abbiamo. Con Somersault il passaggio è forse meno audace, per lo meno da un punto di vista strettamente concettuale, ma si fa in compenso più arduo e sostanziale, non solo e non tanto perché rappresenta uno dei tanti momenti di cui si compone il reiterato tentativo di entrare nel mondo di una figlia, ma anche e soprattutto perché è la stessa Abigail Meeks a trovarsi di fronte a una soglia, quella tra una delle molte possibili versioni di adolescenza e una tra le molte possibili declinazioni dell’età adulta. A un passo dal college, poco prima di lasciare casa, quella che era stata una delle tante possibili forme di una figlia regala al padre la possibilità di essere raccontata in questo delicato momento di passaggio: è una conversazione, in cui ai ritratti si alternano i paesaggi familiari, dove dettagli della natura romanticamente indifferente s’intrecciano a quelli di un corpo—e di una personalità—in continuo mutamento.
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Raymond Meeks, Somersault, MACK, 2021
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Raymond Meeks, Somersault, MACK, 2021
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Raymond Meeks, Somersault, MACK, 2021
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Tealia Ellis Ritter, The Model Family, Loose Joint, 2022 (courtesy Loose Joint)
The Model Family è la prima monografia di Tealia Ellis Ritter, ma l’intrigante serie di immagini che la compongono ha avuto inizio nel 1989, quando l’artista americana era meno che adolescente e il padre le regalò una macchina fotografica analogica. La prima cosa che colpisce allo sfoglio del libro è il contrasto tra il suo contenuto e l’aggettivo che, benché in modo tipograficamente minimale, qualifica la famiglia di cui stiamo guardando la rappresentazione. Ma lo smarrimento è solo momentaneo: che l’autrice usi la formula “famiglia modello” non vuol certo dire che la sua—quella famiglia ritratta per tanti anni, con tanta attenzione e tanto affetto ma anche senza sconti—coincida con quella che tutti vorremmo o dovremmo avere, ma solo che è, appunto, un modello, un termine che indica “qualsiasi oggetto reale che l’artista si propone di ritrarre”. La questione si sposta quindi su un altro piano semantico: non tanto cosa, ma come. Maternità, infanzia, morte, adolescenza, vecchiaia, conformismo, anticonformismo, banalità, bellezza, malattia, quotidianità, ogni cosa, per quanto comune o speciale, è filtrata da uno sguardo che è assieme amorevole e spietato, e che riesce nel difficile intento di vedere la vita come qualcosa di perturbante, che accade a noi stessi e contemporaneamente a qualcun altro. (The Model Family di Tealia Ellis Ritter è pubblicato da Loose Joints).
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Tealia Ellis Ritter, The Model Family, Loose Joint, 2022 (courtesy Loose Joint)
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Tealia Ellis Ritter, The Model Family, Loose Joint, 2022 (courtesy Loose Joint)
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Tealia Ellis Ritter, The Model Family, Loose Joint, 2022 (courtesy Loose Joint)
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Tealia Ellis Ritter, The Model Family, Loose Joint, 2022 (courtesy Loose Joint)
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Tealia Ellis Ritter, The Model Family, Loose Joint, 2022 (courtesy Loose Joint)
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La fotografia si è occupata molto spesso di famiglia, la documentazione (o meglio la rappresentazione) di quel che è più vicino essendo uno dei due cardini principali su cui si è sempre mossa la relazione tra autore e decodificazione della realtà. Dall’affresco borghese di Jacques Henri Lartigue all’istantanea popolare di Richard Billingham, dall’intima e rurale Immediate Family di Sally Mann alla disperata ballata di Nan Golding, dall’autoritratto autoironico di Elinor Carucci ai reportage partecipati di Donna Ferrato o Darcy Padilla, dalla poesia quotidiana di Matt Eich al resoconto imparziale di Mitch Epstein, dal viaggio nel tempo di Nicholas Nixon alle snapshot di Issei Suda, tante e variegate sono le forme di famiglia che il libro fotografico ha saputo raccontare.
E se proprio di Suda l’editore francese Chose Commune ha da poco pubblicato il delizioso Family Diary, gli scatenati inglesi di MACK hanno appena dato alle stampe le riedizioni di due classici come Pictures From Home di Larry Sultan – omaggio colorato e senza sconti del grande fotografo ai suoi genitori – e Family di Masahisa Fukase – album di una famiglia corale e aperta che rappresenta il lato più leggero e divertito dello sfortunato autore giapponese.
Nella gallery di questo articolo abbiamo selezionato altri cinque tra gli esempi più interessanti e più recenti di libri che parlano di famiglia in alcune delle sue tante possibili declinazioni.