Artigianato 4.0: l’arte del sapere fare unita all’innovazione

Partendo dal recente intervento di Annie Warburton del Craft Council UK, Stefano Maffei indaga la complessa via al nuovo dell’artigianato contemporaneo: tra contaminazione del saper fare tradizionale con l’approccio della cultura dei maker.

La discussione su cosa sia il craft contemporaneo sta riscaldando il dibattito disciplinare in tutto il mondo e anche in Italia. L’occasione per riflettere viene dal recente intervento di Annie Warburton dello scorso novembre alla Triennale di Milano, che ci ha raccontato una prospettiva molto più articolata della tradizionale relazione tra artigianato e manifattura.

È una visione che va oltre quella che è la tradizione italiana dell’artigianato artistico e dei Mestieri d’Arte o dell’artigianato produttivo da sempre legato ai processi manifatturieri di piccola e media scala tipici della storia economica e sociale Italiana. I nuovi processi, strumenti e materiali dell’artigiano contemporaneo sono parte di un processo d’innovazione che lei definisce come through craft, ovvero legato a un fil rouge sperimentale e multidisciplinare che in realtà mescola in un’area sfumata, complessa e articolata la dimensione scientifica, quella tecnologica e quella artistica. Ma che allo stesso tempo è innervato anche di nuovi processi e tecniche supportate dal digitale. Una mistura di manifattura digitale e skill artigianali sedimentati che si ricombinano in maniera nuova (come nei casi da lei citati dell’Artisan Electronique di Unfold Studio, Open Desk o di Kniterate).

Unfold

l’Artisan Électronique

Unfold

L’Artisan Électronique

Unfold

L’Artisan Électronique

Unfold

L’Artisan Électronique

Unfold, l’Artisan Électronique
Unfold, l’Artisan Électronique

Per il Craft Council esiste una roadmap per passare dagli “happy accident” creativi a una fase di sviluppo strategico, sino a trasformare quella che lei chiama l’intelligenza della mano in una cultura dell’innovazione (che è stata oggetto di una ricerca di KPMG assieme al Craft Council stesso dal titolo Innovation through crafts: routes to growth. È evidente come in questa visione risuoni un fenomeno di contaminazione del saper fare tradizionale con il fare bottom-up e open-ended che viene dall’approccio della cultura dei maker. È un modello d’innovazione sicuramente interessante che non entra però in un confronto profondo con la complessità del solido e articolato potenziale produttivo del sistema delle imprese artigiane italiane, storicamente legate ad aree di specializzazione e capacità settoriali che sono ancora un punto di forza del sistema produttivo nazionale.

Probabilmente in medio stat virtus: ovvero nella capacità di liberare l’energia della sperimentazione degli individui e delle organizzazioni che fanno parte del sistema dell’artigianato in un territorio di problem finding (così come fa il Craft Council britannico) e mescolarla con lo straordinariamente creativo problem solving personalizzato, di nicchia e capace di talvolta uno scale-up tipico dei modelli d’impresa artigianale originali e vincenti espressi dal sistema italiano. In questa visione i processi di sviluppo di prodotto-servizio sono da considerarsi – in maniera complementare – sia analogici sia digitali e possono rinnovare le pratiche e i processi tradizionali grazie alla diminuzione della scala tecnologica necessaria per molti strumenti e/o tecnologie di produzione; alla capacità di usare processi di collaborazione progettuale disintermediata; alla possibilità di attivare processi di crowdfunding del lancio imprenditoriale di prodotti e servizi, sino alla opportunità di costruire una distribuzione alternativa utilizzando piattaforme e strumenti web per implementare relazioni one-to-one che abilitano produzioni personalizzate di beni ad alto valore simbolico-tecnologico-economico.

È una strategia 4.0 alternativa che non punta solo a superincentivi per le tecnologie produttive canoniche – molto più obsolescenti delle capacità delle persone – ma che deve pensare a superincentivi per la costruzione di soft skill come la comprensione e gestione dei processi collaborativi, l’apprendere ad apprendere (in una prospettiva di lifelong learning) e così via per immaginare e alimentare allargamenti o approfondimenti del fare che allevino portatori sani di ricerca sperimentale innovativa. Che forse – in fondo – coincide con quel mondo di diversità curiosa, appassionata e capace e di trasversalità tra scienza, tecnologia, arte e produzione di cui è fatta la storia dell’impresa (non solo) artigianale in Italia.

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