Bruno Latour

(1947-2022)


Tutti gli editoriali scritti in esclusiva per Domus dal grande filosofo, sociologo e antropologo francese.


Bruno Latour

“Politica del tempo, politica dello spazio”

 “Sapevamo come ordinare le cose nel tempo, ma non abbiamo idea dello spazio in cui metterci insieme”. L’editoriale del dicembre 2004, per il numero 876 di Domus.

Immaginate di avere la responsabilità di riunire una gamma di voci disordinate, di interessi contrastanti e di pressanti rivendicazioni. Immaginate poi che, proprio nel momento in cui perdete la speranza di armonizzare tante posizioni differenti, vi venga offerto, come per miracolo, di eliminarne la maggior parte. Non accogliereste questa soluzione come un dono del Cielo?

È proprio quello che succedeva quando gli interessi pubblici contrastanti venivano distinti in base alla seguente formula magica: “Sono progressisti o reazionari? Illuminati o arcaici? D’avanguardia o di retroguardia?”. Le voci di dissenso c’erano ancora, ma la maggior parte di esse rappresentava tendenze retrograde, oscurantiste e regressive. La marcia redentrice del progresso le avrebbe rese superate. Se ne potevano tranquillamente dimenticare due terzi, e così il compito di metterle d’accordo veniva a essere semplificato nella stessa percentuale.

Ma neppure nel rimanente 30% bisognava far caso a tutto quanto, dato che la maggior parte delle posizioni veniva in breve resa obsoleta dal trascorrere del tempo. Tra gli schieramenti contemporanei in discussione gli intelletti progressisti dovevano prendere in considerazione solo i pochi che erano reputati precursori del futuro a venire. E così, grazie al magico potere ordinatorio del progresso, la politica era un gioco da ragazzi, visto che il 90% delle passioni contrastanti era stato spazzato via nel limbo dell’irrazionalità. Ignorando la maggior parte dei dissensi si poteva arrivare a una soluzione soddisfacente per tutti, soprattutto per chi faceva parte dell’avanguardia rivoluzionaria. Così la freccia del tempo poteva proiettarsi in avanti con sicurezza.

I filosofi definiscono il tempo come “una serie di successioni” e lo spazio come “una serie di simultaneità”. Certamente, mentre mettevamo a posto tutto sotto l’egida del potere del progresso, vivevamo in tempo di successioni. Crono divorava tutto ciò che di arcaico e irrazionale c’era nella sua progenie, risparmiando solo i predestinati a un radioso futuro.

Domus 876, Dicembre 2004

Tuttavia, con una svolta della storia che né i riformisti né i rivoluzionari avevano mai previsto, Crono ha improvvisamente perduto il suo vorace appetito. Curiosamente abbiamo cambiato tempo così completamente da passare dal tempo del Tempo al tempo della simultaneità. Nulla, a quanto pare, accetta più di risiedere semplicemente nel passato e nessuno si fa più intimidire da aggettivi come ‘irrazionale’, ‘retrogrado’ o ‘arcaico’. Il tempo, il tempo andato della sostituzione per cataclismi, è improvvisamente diventato qualcosa che a quanto pare né la sinistra né la destra erano pienamente preparate ad affrontare: un tempo mostruoso, il tempo della coabitazione. Tutto è diventato contemporaneo.

La domanda non è più: “Sparirai presto? Sei l’espressione di qualcosa di nuovo che viene a sostituire qualcos’altro? Stai spezzando il settimo sigillo del libro dell’Apocalisse?”. Fa la sua comparsa un elenco di domande completamente nuovo: “Possiamo coabitare con te? C’è modo per tutti noi di sopravvivere insieme pur senza eliminare alcuno dei nostri interessi, passioni, rivendicazioni?”. Il tempo rivoluzionario, il grande Semplificatore, è stato rimpiazzato dal tempo della coabitazione, il grande Complicatore. In altre parole lo spazio ha sostituito il tempo come grande principio di ordinamento.

Lo spazio è molto più difficile da incrinare del tempo, perché non ci si può sbarazzare delle contraddizioni.

È facile affermare che i riflessi dei politici, le passioni dei militanti, gli usi dei cittadini, il loro modo di indignarsi, la retorica delle loro rivendicazioni, l’ecologia dei loro interessi non sono i medesimi nel tempo del Tempo e nel tempo dello Spazio. Nessuno pare pronto a porre la domanda: “Che cosa deve essere simultaneamente presente oggi?”.

Che differenza c’è, per esempio, nel rapporto con la religione se ci si attende la sua lenta scomparsa nel remoto paese delle favole oppure se ci esplode sotto gli occhi come una ragione di vita e di morte oggi – e anche domani? Che differenza fa se la natura, invece di un enorme serbatoio di forze e un deposito di rifiuti senza fondo, improvvisamente si trasforma in qualcosa che arresta ogni progresso: qualcosa cui non si può fare appello e di cui non ci si può sbarazzare? Comment s’en débarrasser? domandava Ionesco nel glorioso Trentennio.

Oggi questa è la preoccupazione, il Sorge, il souci di quasi tutti, in ogni lingua. Non possiamo sbarazzarci di nulla e di nessuno. L’ecologia ha probabilmente rovinato per sempre il tempo della Successione e ci ha introdotto nel tempo dello Spazio. Oggi dobbiamo comporre la serie di ciò che significa sopravvivere insieme. Sì, tutto è contemporaneo. Progresso e successione, rivoluzione e sostituzione non fanno più parte del nostro sistema operativo.

Copertina Domus 876

Ma qual è l’OS alternativo? Chi si prende la briga di scriverne le righe di codice? Sapevamo come ordinare le cose nel tempo, ma non abbiamo idea dello spazio in cui metterci insieme. Dobbiamo comunque incanalare nuove passioni politiche in nuove abitudini di pensiero, in una nuova retorica, in nuovi modi di essere interessati, indignati, mobilitati e pacificati. Ogni volta che ci troviamo ad affrontare una questione le vecchie abitudini permangono e la voce del progresso ancora grida: “Non ti preoccupare, tutto ciò presto scomparirà, sono troppo arcaici e irrazionali”. E intanto la nuova voce può solo sussurrare: “Ti tocca coabitare perfino con questi mostri, perché non devi indulgere all’ingenua credenza che presto svaniranno; lo spazio è la serie delle simultaneità, tutto questo va preso inconsiderazione  contemporaneamente”.

Non senza nostalgia guardiamo alla politica del passato. Allora la vita del cittadino era facile; i concetti di progresso e di rivoluzione rendevano semplicissimi i problemi. E tuttavia non sono di alcun aiuto a svolgere i nostri nuovi compiti. Si sono rivelati completamente erronei, dato che alla fine solo una cosa è scomparsa per davvero: il tempo come grande semplificatore.

Ciò non vuol dire che alla fine il progresso non ci sia, o che la freccia del tempo non punti in avanti. Significa che procediamo lentamente da un’elementarissima forma di coabitazione – come quella rivoluzionaria – a una molto più ricca, in cui viene considerato un numero crescente di fattori.

C’è progresso, ma va da una mera giustapposizione a una forma intrecciata di coabitazione. Quanti elementi si possono costruire contemporaneamente uno accanto all’altro, generando la serie della simultaneità?

Tra l’altro chi meglio degli architetti conosce questa situazione? Forse, una volta che si siano liberati dall’avvelenamento modernista – e dall’amaro retrogusto del postmodernismo – si renderanno conto che il tempo del Tempo è passato con la stessa velocità del tempo del mito e della poesia epica. Un giorno potrebbero scoprire di aver scritto vaste porzioni di un sistema operativo alternativo. Dopo tutto l’abitare e il coabitare non fanno parte del mestiere dell’architetto? L’architetto non è per definizione l’artigiano dello spazio?

Quando i cavalieri dell’Apocalisse smetteranno di immischiarsi nella politica?

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