Il design come architettura: Aldo Rossi designer raccontato dall’archivio di Domus

Caffettiere, forme pure e memorie di oggetti cari: ripercorriamo la storia degli oggetti progettati dall’architetto italiano e pubblicati su Domus soprattutto negli anni Ottanta, ora in mostra a Milano.

Il lavoro di Aldo Rossi come designer interessa la Domus degli anni Ottanta, quella diretta da Alessandro Mendini prima, e da Mario Bellini poi. È proprio Rossi a inaugurare la copertina del primo numero della direzione mendiniana, dove Manfredo Tafuri riflette sulla genesi e i significati del progetto del suo Teatro del Mondo, l’architettura-oggetto allestita in occasione della Biennale di Venezia del 1979/1980, quando prende piede l’idea di fare mostre di architettura attraverso le architetture. 

Negli anni a seguire, è raro incontrare su Domus approfondimenti sulla sua attività di designer, passata forse come un’attività accessoria e non ascrivibile al gruppo degli architetti divenuti poi più noti per i prodotti di design che per l’architettura costruita.

Come documenta ampiamente la mostra milanese oggi al Museo del Novecento, curata da Chiara Spangaro con l’allestimento di Morris Adjmi, quando si confronta con l’oggetto o il mobile, Rossi applica lo stesso linguaggio progettuale che impiega nell’architettura. Passa con naturalezza dalla grande alla piccola scala, riflette ed elabora “oggetti d’affezione”, desunti dai ricordi di viaggi e di luoghi amati, come le cabine dell’Elba, le cupole delle chiese e dei monumenti, i coronamenti, il linguaggio dell’architettura antica – torri, timpani, colonne, finestre – e delle sue forme pure – triangoli, coni, piramidi, sfere. Nascono così le immortali caffettiere La cupola e La conica e i prodotti per Alessi. 

  

La passione per le caffettiere

È Mendini a introdurlo, alla fine degli anni Settanta, nell’azienda di Omegna, con il progetto Tea&Coffee Piazza, un’occasione di “ricerca di carattere principalmente formale” che coinvolge 12 architetti, tra cui Rossi, Michael Graves, Robert Venturi, Richard Meier, nel disegno di un servizio da te e caffè che esprima il loro linguaggio architettonico. (Domus 623, 1981). Il risultato è una collezione di “urbanistica da tavola” che Rossi interpreta come un set di pezzi con inserti azzurri e coronati da sfere, raccolti in un piccolo teatro d’argento e vetro, ferro, cristallo, quarzo, rame, coronato da un timpano e da un orologio.

La progettazione intorno agli strumenti dedicati al caffè diventa per Rossi una passione, quasi un’ossessione; le caffettiere diventano un soggetto reiterato nei suoi schizzi. Lavora con entusiasmo con l’ufficio tecnico dell’azienda; come ricorda Alberto Alessi in un’intervista del 2015 “all’epoca avevamo in ufficio una piccola cucina dove si facevano le prime prove con i prototipi e Aldo era contento come un ragazzino quando vedeva venire fuori davvero il caffè” (Domus 992, giugno 2015). Le caffettiere, per l’architetto milanese, sono strutture “abitabili”, architetture da vivere e vedere dall’interno e dall’esterno. 

Il servizio Tea and Coffee Piazza per Alessi, 1983. Courtesy Fondazione Aldo Rossi
Il servizio Tea and Coffee Piazza per Alessi, 1983. Courtesy Fondazione Aldo Rossi

La collaborazione con Alessi

“Una caffettiera in alluminio alta 25 cm” è il titolo con cui Marco Romanelli presenta il nuovo progetto di Rossi per Alessi, nel gennaio del 1988, riportando l’attenzione sul forte legame che lega i suoi progetti di architettura agli oggetti di design; così come lo era stato per la caffettiera La conica, del 1984, anche per La cupola c’è un ritorno alle forme pure e ai coronamenti delle chiese e dei monumenti, un ritorno “alla forma sferica, alla lezione di Boullé”. Il saggio è accompagnato dal disegno tecnico progettuale di Rossi ma anche da un suo disegno poetico, dove la caffettiera prende parte del panorama urbano, accanto alla Basilica di San Gaudenzio di Novara (Domus 691, gennaio 1988).

Alla collezione si aggiunge Il bollitore il Conico, pubblicato per la prima volta nel 1986, in una fotografia di Luigi Ghirri alla mostra in Triennale “il progetto domestico,” curata da Mario Bellini nel 1986, che raccoglieva gli interventi progettuali di 26 artisti e progettisti che interpretavano gli archetipi della casa dell’uomo nell’età moderna. Nell’installazione di Rossi, il bollitore e le caffettiere sono sovradimensionati e inseriti in un enorme scaffale: è così che interpreta la sua idea di “spazio domestico”, dove gli oggetti sono simbolicamente parti di quel “teatro” in cui l’uomo si muove, contribuendo a creare lo scenario dell’esistenza. (Domus 671, aprile 1986).

Rossi trova in Alessi il giusto interlocutore per sperimentare, spingendo l’azienda a confrontarsi anche con oggetti mai prodotti, come penne, sedie e orologi. Momento, l’orologio da polso con la cassa in acciaio, che può anche diventare un orologio da tasca, è presentato accanto a quello di Richard Sapper, “Uri.Uri”, in una campagna pubblicitaria giallo squillante del 1988: “Momento va letto come forma pura”, recita lo slogan (Domus 699, ottobre 1988).

Gli arredi di Rossi tra forma e sperimentazione

Al principio degli anni Ottanta, introdotto dal collega Luca Meda, Rossi entra in contatto con la famiglia Molteni e si confronta con il mondo del mobile. Progetta le librerie modulari Cartesio, in lamiera e sportelli vetrati, e Piroscafo, “che si ispira alle architetture di Perugia”, il tavolo Consiglio, dalle gambe a sezione quadrata, la sedia Parigi, dal bracciolo curvilineo che rompe la rigida simmetria della seduta e la sedia Museo, oggi prodotta da UniFor e disegnata come arredo per il suo Bonnefanten Museum di Maastricht.

I mobili sono presentati in rubriche o pubblicità che documentano la rivoluzione dello spazio dedicato all’ufficio, in evoluzione sull’onda dei cambiamenti provenienti dagli Stati Uniti – gli “open office”. Sono anche gli anni di sperimentazione delle forme: tra le novità del gennaio 1988, il mobiletto portadocumenti di Rossi, Carteggio, una forma totemica dotata di cassettini e sportelli, compare sulle pagine di Domus affiancato da una credenza “cubista” di Gaetano Pesce e una minimale libreria di Franco Raggi (Domus 690, gennaio 1988).

Nel 1989 esce la serie Teatro, progettata nel 1982 insieme a Meda, e che comprende una poltroncina e un divanetto imbottiti, pensati per l’allestimento di un piccolo teatro milanese (Domus 708, settembre 1989).

La Cabina dell’Elba per Bruno Longoni Atelier d'Arredamento, 1982. Courtesy Fondazione Aldo Rossi
La Cabina dell’Elba per Bruno Longoni Atelier d'Arredamento, 1982. Courtesy Fondazione Aldo Rossi

Nel confronto con l’artigianato, Rossi trova un felice interlocutore in Bruno Longoni e il suo atelier del legno di Cantù, per il quale realizza, tra gli altri, la credenza AR4 in legno con le ante in vetro “verde cattedrale”, che ha un riferimento diretto a un mobile caro all’architetto e che conserva nella sua abitazione (Domus 662, giugno 1985). Bruno Longoni è anche il produttore dell’armadio La Cabina dell’Elba, simbolo del linguaggio poetico rossiano, una piccola unità abitativa che è anche un “oggetto d’affezione”, che Rossi attinge dalla memoria di momenti e luoghi cari; la Cabina, compare su Domus solo nel 2018, in occasione dei 90 anni della rivista, selezionata tra i 1000 oggetti più significativi della storia del design (Domus 1000, 2018).

La sperimentazione con i materiali, come il marmo, antico materiale dell’architettura, lo porta a disegnare il tavolo Rilievo, realizzato dall’azienda Up&Up (oggi Up Group): il modello di riferimento è ancora una volta un vecchio mobile che Rossi aveva in studio, dalle gambe in legno tornite: una sfida per gli abili artigiani di Massa Carrara e pubblicata all’interno di un approfondimento sui diversi atteggiamenti di alcuni progettisti nei confronti del marmo.

Il design di Rossi è un calibrato linguaggio fatto di forme pure, geometrie e rigore progettuale, guidato dalla memoria di oggetti cari, comuni, che riportano a momenti della vita quotidiana; come osserva Romanelli, la memoria per Rossi è “la volontà inconsapevole, perché poetica e non dogmatica, di costruire un linguaggio civile […]”, e l’attenzione tecnico costruttiva, nelle caffettiere, “porta con sé la volontà di migliorare la bevanda senza per questo penalizzare la forma dell’oggetto, o meglio arricchendola”. (Domus 691, gennaio 1988).

Immagine in apertura: Aldo Rossi con la caffettiera La conica, Courtesy Fondazione Aldo Rossi

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