Giù nella Milano sotterranea con gli scatti del reporter di guerra Gabriele Micalizzi

C’è una città sotto la città. Le fotografie del progetto “Milano Underground” compongono un’esplorazione inedita per scoprire tutto ciò che vive e anima i sotterranei. 

Un fotografo che ama definirsi un outsider per mostrare il volto di Milano più sconosciuto e difficile da immaginare. È da questo incontro che è nato il progetto “Milano Underground” (in mostra alla Centrale dell’Acqua fino al 31 ottobre 2023), il viaggio che Gabriele Micalizzi ha fatto tra i cunicoli, i rifugi, il sistema fognario di una città che ha ormai scelto di crescere in altezza e di mostrare al mondo esclusivamente la sua superficie. Sotto c’è dell’altro, qualcosa di unico, e le fotografie di Micalizzi lo rivelano.

“Volevo mostrare Milano sotto un’altra ottica” dice il fotografo, tra i fondatori del collettivo Cesura e da sempre impegnato in modo trasversale - per questo, un outsider - in incarichi che possono portarlo nel giro di pochi giorni e con lo stesso impegno dai fronti di una guerra al set per un ritratto destinato alle riviste patinate, dalle rotte dei migranti ai servizi commissionati dai brand della moda. “Stavo ragionando su un punto di vista per nulla conosciuto di Milano e ho pensato che il sottosuolo di questa città fosse uno di questi”.

Così Micalizzi, insieme ad un gruppo di speleologi urbani, si è messo in movimento alla ricerca dei varchi d’accesso per entrare nel sottosuolo. Li ha trovati nei posti più inaspettati, sotto il Castello Sforzesco, tra le fontane del Parco Sempione, in mezzo alle navate di Santa Maria delle Grazie a Brera, e da qui sono scesi fino a diciassette metri di profondità.

“Per un appassionato di Indiana Jones come me è stato davvero affascinante” dice Micalizzi “ho scoperto che moltissimi palazzi di Milano e quasi tutti gli edifici pubblici, per lo meno quelli costruiti tra le Guerre, sono dotati di sotterranei che servivano da rifugio antiaereo. La Stazione Centrale, oltre al conosciuto Binario 21 da cui partivano i treni delle deportazioni, ha due ulteriori livelli sotterranei. Sotto questi edifici, spesso, sono ancora intatte le frecce che indicavano dove scavare nel caso il palazzo fosse stato bombardato”.

Non è stato solo di un viaggio nel sottosuolo, ma è stato un modo per esplorare e ricostruire la stratificazione storica e culturale di una città. “È questo che mi interessava fare” spiega Micalizzi “non volevo portare a casa un lavoro alla National Geographic, ma volevo costruire un racconto che parlasse anche di mito, di leggende, di trasformazioni, di strutture costruite con uno scopo e poi, nei secoli, utilizzate per nuovi progetti. Le fondamenta di una città raccontano tutto questo aspetto culturale che, spesso, in superficie con il tempo viene perduto.”

Questo approccio che rimanda all’esplorazione è stato reso visibile anche nelle immagini, grazie ad un particolare utilizzo delle luci. “Chi scende là sotto lo fa utilizzando le torce fissate alla testa” spiega Micalizzi “per questo non volevo illuminare la scena con i flash, nei sotterreanei non c’è una luce diffusa. Ho preferito utilizzare una luce-spot generata da una torcia a mano, una MagLite, per ottenere un effetto molto più vicino al percorso di scoperta che stavo facendo in prima persona.”

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