Gli uffici milanesi del ventunesimo secolo

Un viaggio nei paesaggi del retrofitting e degli edifici per uffici nati dalle ceneri dei loro antenati del Novecento. 

A Milano Ovest, nei pressi della downtown di periferia di CityLife, Piuarch ristrutturerà un anonimo edificio per uffici degli anni ’50, già nettamente alterato nel suo rivestimento in epoca più recente. Il progetto dello studio milanese – “Ivory” secondo la denominazione commerciale – sembra complessivamente corretto, gradevole, attuale; ma è la sua presentazione alla stampa a innescare una doverosaa offrire lo spunto per una riflessione sugli uffici milanesi del XX e del XXI secolo.

Alcuni indizi suggeriscono l’esistenza di una consapevolezza ormai diffusa del valore storico-culturale della Milano residenziale moderna, oltre che una sua ritrovata coolness. La testimonia ad esempio il successo di alcune eccellenti pubblicazioni degli ultimi anni, tra cui due molto gettonate del 2017, Ingressi di Milano di Karl Kolbitz (Taschen), Case Milanesi 1923-1973 di Simona Orsina Pierini e Alessandro Isastia e sempre di Hoepli il recentissimo Nelle case. Milan interiors 1928-1978, ancora di Pierini con Enrico Morteo. Sono libri che nascono a valle di un processo decennale di studio e rivalutazione della produzione di edifici residenziali a Milano negli anni ’50 e ’60.

A sinistra: stato di fatto, vista via Turati/via Cavalieri © Park Associati; a destra: vista via Turati/via Cavalieri © Andrea Martiradonna

Gli uffici di Milano: un paesaggio antico e in trasformazione

Gli edifici per uffici della stessa epoca, al contrario, sembrano attendere ancora il momento della loro riscoperta. Certamente, compaiono con regolarità nelle storie e nelle guide dell’architettura le opere maggiori di autori di primo piano, in primo luogo Gio Ponti, e le poche torri terziarie del secondo Novecento milanese, Pirelli e Galfa in testa. Restano nell’ombra, invece, i tantissimi edifici per uffici “minori” che pure sono stati una componente fondamentale delle trasformazioni di Milano nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale. In parallelo, dalla fine degli anni 2000 il retrofitting – aggiornamento tecnologico finalizzato al miglioramento delle prestazioni energetiche e all’adeguamento normativo – si è imposto come una pratica diffusa che, inevitabilmente, ha avuto effetti notevoli anche sugli aspetti più propriamente architettonici, linguistici e materici, degli edifici interessati.

Il paesaggio ordinario degli uffici milanesi moderni sta progressivamente scomparendo o, perlomeno, sta conoscendo profonde alterazioni. Non intendiamo qui gridare allo scandalo né chiamare a raccolta la cultura architettonica e l’opinione pubblica per il suo salvataggio. Piuttosto, ci interessa elaborare qualche considerazione sugli effetti e le modalità di un processo in corso da ormai una quindicina d’anni. 

Onsitestudio, The ED.GE, via Sturzo, 2021. Foto © Johan Dehlin

Retrofitting Milano: estetiche e geografie

I suoi risultati sono stati per il momento piuttosto diseguali. Constatiamo tristi “perdite”, ad esempio dell’ex-Palazzo per uffici Tecnimont di Claudio Longo e Giulio Ricci (1970-1975), che la ristrutturazione di Gbpa architects con Tekné (2017) ha irrimediabilmente compromesso, smaterializzando in una banale trasparenza il potente involucro di pareti continue autoportanti prefabbricate in alluminio anodizzato e cristallo. Registriamo, al contrario, il notevole livello di raffinatezza e sensibilità all’esistente di interventi come quello di Park Associati sull’ex-Sede Campari dei fratelli Soncini di via Turati (1962), che non ha fatto rimpiangere la scomparsa del curtain wall originario. 

Si sono ormai delineate geografie piuttosto chiare della Milano del retrofitting. Del tutto logicamente, le riqualificazioni sono più frequenti laddove lo stock di edifici per uffici degli anni ’50 e ’60 – ma anche ’70, ’80 e ’90 – è più denso.

Sospendiamo il giudizio, infine, su progetti per ora solo annunciati: è dell’agosto 2023 la notizia che Asti Architetti si occuperà di rinnovare l’edificio di Vico Magistretti in Corso Europa (1957), questo sì piuttosto celebre e già oggetto di molte sfortunate alterazioni. Si sono ormai delineate, inoltre, geografie piuttosto chiare della Milano del retrofitting. Del tutto logicamente, le riqualificazioni sono più frequenti laddove lo stock di edifici per uffici degli anni ’50 e ’60 – ma anche ’70, ’80 e ’90 – è più denso. I luoghi in cui verificare la portata alla scala urbana della trasformazione in corso sono in particolare le vie attorno a Porta Nuova e a Porta Garibaldi, dove si distribuiscono i frammenti del Centro Direzionale incompiuto, oltre che l’asse tutto post-bellico di via Vittor Pisani. 

Anche in questi hotspots i molti interventi anonimi, spesso sovrapposti a preesistenze altrettanto poco emozionanti, sono intervallati da qualche momento di qualità. Sono di Onsitestudio, ad esempio, le ristrutturazioni di due ex-hotel che si segnalano per il rigore e l’eleganza dei dettagli delle loro griglie di facciata ridisegnate: l’Executive di via Sturzo (1972), trasformato nel complesso per uffici The ED.GE (in fase di completamento) e il Duca d’Aosta di Mario Bacciocchi (1953, completato nella sua nuova veste nel 2015), affacciato sulla piazza omonima e che mantiene la funzione alberghiera. Al di là del destino dei singoli edifici, però, una visita ai quartieri attorno ai bastioni settentrionali restituisce un’idea abbastanza chiara della ridefinizione in corso dell’immagine complessiva di alcune parti della città.

Scandurra Studio, Spiga26, via della Spiga, 2022. Foto © Filippo Romano

La costruzione collettiva di un paesaggio urbano

Per concludere, esiste una sovrapposizione cronologica tra la diffusione della pratica del retrofitting e l’affermazione nel panorama milanese di un piccolo gruppo di studi professionali, tutti fondati a cavallo del millennio da partner nati tra gli anni ’60 e ’70. Oltre a Piuarch – che prima di Ivory ha ristrutturato o realizzato ex novo a Milano diversi complessi per uffici per Dolce & Gabbana –, a Park Associati – di cui vale la pena citare anche Valtorta 52 a Turro (2002) – e ad Onsitestudio, anche Scandurra Studio Architettura, che ha recentemente trasformato un grigio complesso degli anni ’50 nel building Spiga 26, che riesce a contestualizzarsi nel centro storico meglio del suo antenato. Tutti questi studi hanno una produzione abbondante e varia anche in altri ambiti, ma è vero che la costruzione degli uffici milanesi degli anni ’10 e ’20, spesso risultato del retrofitting di edifici esistenti, è stata fonte d’incarichi frequenti e importanti, a volte determinanti per un cambio di scala dello studio stesso. In parallelo, proprio questi architetti, tutti based in Milano e spesso formati al Politecnico locale, hanno fornito per ora le prove più virtuose in questo ambito.

Il paesaggio ordinario degli uffici milanesi moderni sta progressivamente scomparendo o, perlomeno, sta conoscendo profonde alterazioni.

La loro azione collettiva sta delineando un nuovo paesaggio degli uffici a Milano, alternativo a quello delle grandi torri delle archistar internazionali, un paesaggio ancora in evoluzione e di cui Ivory rappresenta l’aggiunta più recente. Nel momento in cui questi stessi studi stanno accedendo a commesse di scala e ambizioni maggiori – Park Associati lavora in questi mesi al Palazzo Sistema della Regione Lombardia e alla torre MI.C., di fianco alla Stazione Centrale, Piuarch allo Human Technopole Headquarters & Campus nell’area ex-Expo – i tempi sono maturi per uno studio sistematico di questo paesaggio, che metta in evidenza caratteri ricorrenti e specificità, qualità e problematiche, di una genealogia ormai abbondante e matura di uffici milanesi del XXI secolo.

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