13 opere di architettura brutalista tropicale

Sotto il sole dei Tropici, il Brutalismo, seppure in continuità con i principi fondativi del movimento, dismette la sua aura grave per abbracciare un linguaggio euforico e in sinergia con la natura.

A partire dall’Europa, dove si sviluppa nel secondo dopoguerra come linguaggio architettonico in aperta contrapposizione all’estetica del Movimento Moderno, presto il Brutalismo travalica i confini del Vecchio Continente per approdare in paesi lontani e culturalmente molto diversi tra loro esportando quegli elementi concettuali che ne hanno caratterizzato l’immagine originaria, dall’uso di materiali grezzi come il calcestruzzo a vista, alle forme imponenti, alla ricerca della funzionalità piuttosto che dell’estetica.

Tuttavia, al di là delle innegabili affinità tra il Brutalismo europeo e quello extra continentale, tra gli anni ’50 e ’70 molti paesi equatoriali vivono – contrariamente all’Europa che si rialzava dalle macerie – un’era di prosperità (America Latina) o di agognata indipendenza dal colonialismo (Asia e Africa), con il risultato di un accentuato entusiasmo creativo forse incentivato anche dalla natura lussureggiante di quelle latitudini e dal clima decisamente più gradevole di quello della fosca Londra. In America Latina i corposi edifici in cemento grigio, avvolti da floridi giardini, a volte sono insolitamente “morbidi”, accoglienti e luminosi, con una maggiore propensione all’estroversione e al contatto con la natura (Lina Bo Bardi, Paulo Mendes da Rocha, Marcos Acayaba, Clorindo Testa, Biselli Katchborian Arquitetos Associados); a volte sono vivacizzati da tonalità accese in contrasto con la consueta monocromia grigia (Ruy Ohtake).

In Asia e in Africa, i maestri a livello internazionale esportano il loro consolidato e riconoscibile linguaggio (Le Corbusier, Oscar Niemeyer) mentre architetti locali si cimentano con soluzioni per contrastare situazioni emergenziali (PRISM) o rispondono ad un insopprimibile “richiamo della foresta”, realizzando interventi in totale simbiosi con il paesaggio tropicale (Patisandhika Sidarta). In tutti i casi le opere dimostrano che le architettura brutaliste non sono solo “pesanti” e cupe come i cieli fuligginosi delle metropoli europee ma sono anche l’espressione di un’energia gioiosa e vitale, soprattutto se accarezzate dal fogliame verdeggiante dei tropici.

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